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di Roberta Barbi – Città del Vaticano
Perché
un’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, con tutte le tematiche
riguardanti i nostri giovani che poteva affrontare, ha deciso di confrontarsi
proprio con la giustizia riparativa? Certamente perché le persone non sono
quello che hanno commesso né quello che hanno subito, ma c’è di più: “È uno
strumento che mette in risalto sia l’autore sia la vittima del reato, senza
dimenticare nessuno, ma anche senza stigmatizzare nessuno”. Ha le idee chiare,
anzi chiarissime, la dottoressa Carla Garlatti, che spiega come la giustizia
riparativa sia vincente perché lavora sulle persone e non sui fatti, che sono
un’altra cosa.
Empatia
per superare il trauma
L’oggetto
dell’indagine avviata dall’Autorità garante riguarda proprio la diffusione e
l’utilizzo della giustizia riparativa in Italia, uno strumento da tempo usato
nell’ambito della giustizia minorile: “Non si dimentica mai la vittima, che nei
processi con i minorenni non può costituirsi parte civile – spiega – anzi,
ricevere comprensione, nello specifico dall’autore del reato, rende più agile
il superamento del trauma”. “Dal punto di vista dell’autore del reato, invece,
comprendere non solo il danno effettivo causato, ma anche quello emotivo è
fondamentale – aggiunge – anche perché spesso, quando si tratta di minori, si
riscontra quanto non abbiano assolutamente coscienza di ciò che hanno
provocato”.
Non
solo mediazione penale
C’è
un universo intero, dietro il termine giustizia riparativa, che parte dalla
mediazione penale in caso di reato contro la persona – la forma intuitivamente
più applicata – ma comprende anche conference o circle e tutte quelle
declinazioni che coinvolgono le famiglie degli autori di reato, il contesto e
la società stessa, utilizzate in caso di reati contro la collettività. “Sono
strumenti efficaci, ma non ci si deve improvvisare – avverte la Garante – gli
incontri vanno preparati da esperti e non sempre è facile trovare
collaborazione soprattutto da parte delle vittime che temono la
stigmatizzazione sociale che le chiude in una gabbia da cui è poi difficile
venire fuori”.
Un
investimento della società sui giovani
La
Garante racconta ancora a Vatican News come la giustizia riparativa venga a
volte tacciata di buonismo: “In realtà è tutt’altro: è un investimento della
società sui giovani. Quando un autore di reato capisce realmente, nel profondo,
cosa ha causato nell’altro, la recidiva si abbatte da sé”. Necessaria anche
l’introduzione di pene ad hoc per i minorenni: “Ancora di più per i giovani il
carcere deve essere educativo e non repressivo – prosegue – oggi il nostro
ordinamento prevede che a parità di reato un minore sia punito con la stessa
condanna di un adulto, al massimo la pena viene ridotta di un terzo; invece,
sarebbero più utili sanzioni alternative come ad esempio l’obbligo di fare volontariato
come già avviene in Paesi quali Austria e Spagna”.
Le
alternative al carcere: il concetto di comunità
La
dottoressa Garlatti si è fatta spesso portavoce della necessità di applicare le
alternative al carcere che nel caso di autori di reato minorenni sono
molteplici: “Abbiamo la detenzione domiciliare, la semilibertà, l’affidamento
in prova – illustra – tutte le alternative al carcere sono state sistematizzate
nel decreto 121 del 2018 sull’esecuzione penale per i minorenni, che ha
evidenziato come fondamentali la funzione educativa delle misure nei confronti
della comunità”. Infine, l’indagine non può non considerare gli effetti a
breve, ma soprattutto a lungo termine, che la pandemia appena conclusa ha
lasciato e lascerà sui nostri giovani: “La pandemia ha colpito tutti
indistintamente, ma è ovvio che abbia rimarcato le disuguaglianze sociali già
presenti; ciò significa che chi viveva già prima in contesti di marginalità,
oggi è ancora più a rischio devianza e quindi a rischio di entrare nel circuito
penale anche molto presto”.
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