- Domenica delle Palme - Vangelo
- Commento di p. Ermes
Ronchi
Quanto volete darmi perché io ve lo
consegni? In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai
capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E
quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione
propizia per consegnare Gesù. La Domenica delle Palme ci immerge in uno dei
momenti più festosi della vita di Gesù: un fiume di sorrisi, dal monte degli
ulivi al tempio. E attorno era primavera, allegra e potente, come adesso. Non
ho più dimenticato un dialogo di molti anni fa con un monaco trappista
dell’abbazia di Orval, in Belgio. Davo una mano nella “brasserie”, cercando di
rendermi utile, quando mi venne da chiedergli: «Padre, ma lei non si è mai
stancato di Dio? Di pregare, di pensare a lui, di dargli tutto il tempo? Quando
ci si stanca di Dio, cosa dobbiamo fare?».
Mi aspettavo che dicesse: ma come si
fa a stancarsi di Dio? Vuol dire che siamo credenti da poco... Invece mi guardò
con i suoi occhi profondi, e mi raccontò di una omelia di san Bernardo ai suoi
monaci: «nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i
discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e
stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina. Chi più
vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che
fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è
l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui
è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta
che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina.
È la più vicina a Gesù; eppure,
quella che fa più fatica. Così anche noi» continuò «quando facciamo fatica,
quando sentiamo il peso delle cose di Dio, forse questo accade perché siamo
molto vicini al Signore, stiamo portando lui e insieme il peso del cielo sopra
di noi, con le sue nuvole scure da spingere più in là. L’importante è
continuare: poco dopo c’è Gerusalemme».
La Settimana Santa porta con sé i
giorni supremi della storia, la Sua vita e la nostra un fiume solo, i giorni
della “vendetta” di Dio: quando Dio si vendica di tutta la lontananza, di tutta
la separazione, di tutta l’indifferenza, inventando la croce che solleva la
terra, che abbassa il cielo, che raccoglie gli orizzonti, crocevia di tutte le
nostre strade disperse. La croce è l’abisso dove Dio diviene l’amante. Lassù,
le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio irrevocabile, mai più
revocato, sono le porte dell’eden spalancate per sempre, sono dilatazione del
cuore fino a lacerarsi, ancor prima del colpo di lancia. Nuova genesi dell’uomo
in Dio: l’amato nasce sempre dalla ferita del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce
dal cuore lacerato del suo creatore. Rivelazione ultima che Dio e la vita sono
sempre dono di sé, e non sarai mai abbandonato. Allora nella croce di Gesù
risplende davvero la gloria della vita.
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21;
Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14-27,66)
Nessun commento:
Posta un commento