In un mondo nel quale si affermava che "Chiunque discorre molto con una donna, è causa di male a se stesso, trascura lo studio della Legge e finisce nella Geenna", la rivoluzionaria normalità con la quale Gesù si rapportava con le donne non doveva essere ben vista, come appare nel vangelo di Giovanni dove i discepoli, colto il Signore in colloquio con una samaritana, "si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna" (Gv 4,27).
Perché mai parlare con una donna? Non insegna
la tradizione che "una donna non ha da imparare che a servirsi del
fuso", e che "l’uso della donna è di stare in casa", mentre
"l’uso dell’uomo è di uscire e di apprendere dagli uomini"? La donna
era esclusa dall’istruzione religiosa. Per i rabbini questa esclusione era
giustificata dal fatto che riguardo alla Parola di Dio nella Bibbia è scritto
"la insegnerete ai vostri figli" (Dt 11,19). Se il Signore avesse
voluto che l’insegnamento fosse esteso anche alle donne, avrebbe aggiunto
"alle vostre figlie", invece non l’ha fatto. Gli scribi arrivavano ad
affermare che è meglio che "le parole della Legge vengano distrutte dal
fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne", perché Dio "non
parlò con alcuna donna se non con quella giusta ed anche quella volta per una
causa". Infatti, il Signore, offeso dell'innocente bugia di Sara che,
"poiché aveva paura", negò di aver riso all’annuncio della sua
maternità (Gen 18,1-15), non rivolse più la parola a nessuna donna.
L’emarginazione
della donna ebrea non riguardava solo la sfera religiosa ma la sua intera
esistenza fin dal primo apparire. Infatti, secondo il Libro del Levitico, la
nascita di una bambina rende impura la madre per circa tre mesi (Lv 12,-25).
Per la sua particolare condizione fisiologica la donna viveva inoltre in una
situazione di perenne impurità (Lv 15,19-30), e per questo era considerata
l’essere umano più distante da Dio. Se in tutte le culture la nascita di una
bambina non è mai stata auspicabile ("Auguri e figli maschi!"), nel
mondo giudaico l’arrivo di una figlia era considerato un’autentica sciagura,
come scrive sconsolato l’autore del Siracide: "Una figlia è per il padre
un’inquietudine segreta, la preoccupazione per lei allontana il sonno: nella
sua giovinezza, perché non sfiorisca, una volta accasata, perché non sia
ripudiata. Finché è ragazza, si teme che sia sedotta e che resti incinta nella
casa paterna; quando è con un marito, che cada in colpa, quando è accasata, che
sia sterile" (Sir 42,9-10).
Questa
pessimista visione veniva confermata dal Talmud: "Il mondo non può
esistere senza maschi e senza femmine, ma felice colui i cui figli sono maschi
e guai a colui i cui figli sono femmine", e codificata nella preghiera
recitata tre volte il giorno da ogni maschio ebreo che così ringrazia Dio:
"Benedetto Colui che non mi ha fatto pagano, non mi ha fatto donna, non mi
ha fatto bifolco". Nelle famiglie, quando esistevano già un paio di
bambine l’arrivo di un’altra femmina era particolarmente temuto, per questo era
uso abbastanza comune esporre la nascitura, cioè abbandonarla fuori del
villaggio: "Ti gettarono via in aperta campagna, nauseati di te, nel
giorno della tua nascita" (Ez 16,5). Quando la bambina veniva tenuta nella
famiglia, era per allevarla come serva del padre e dei fratelli e poi, a circa
dodici anni, del marito e, infine, dei figli. In questo contesto culturale non
può pertanto non sorprendere l’eccezionale rilievo che le donne hanno nei
vangeli. Mentre i protagonisti maschili del vangelo sono quasi tutti negativi,
i personaggi femminili sono tutti positivi, eccezione fatta per le due donne
che gli evangelisti ci presentano in relazione con il potere: colei che lo
detiene, Erodiade, adultera e assassina, e colei che lo desidera per i suoi
figli, l’ambiziosa madre dei figli di Zebedèo.
Le
donne nei vangeli vengono presentate come coloro che per prime hanno saputo
accogliere e comprendere il Signore: dalla madre, grande non perché ha dato
alla luce Gesù, ma perché ha saputo diventare discepola del figlio, a Maria di
Magdala, prima testimone e annunciatrice della risurrezione del Cristo. Nella
lingua ebraica non si conosceva un termine per indicare discepola, che esisteva
solo al maschile, e al tempo di Gesù la tradizione insegnava che "un
discepolo dei saggi non deve parlare con una donna per strada neanche se è sua
moglie, sua figlia, sua sorella". Ma per Gesù non "c’è più ne maschio
né femmina" (Gal 3,28), c’è la persona umana, che come tale merita
rispetto e dignità indipendentemente dalla sua identità sessuale. Per questo,
contravvenendo tradizione e morale, Gesù associa al suo gruppo anche
"alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da
infermità" (Lc 8,1), e nei vangeli sono le donne le privilegiate
protagoniste delle azioni del Signore. La prima persona alla quale Gesù si
manifesterà come il Messia atteso sarà una samaritana, essere umano che come
donna, adultera e impura era il meno credibile cui affidare l’importante
rivelazione. Ugualmente l’unico fatto che il Signore chiede espressamente venga
fatto conoscere ovunque è l’unzione compiuta su di lui da una donna: "In
verità io vi dico: dovunque sarà predicato il Vangelo, per il mondo intero, in
ricordo di lei si dirà anche quello che essa ha fatto" (Mc 14,9).
Se
i discepoli maschi scomparvero di scena al momento della crocifissione, le
uniche testimoni della sua morte "erano alcune donne, che osservavano da
lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di
Ioses, e Salome, le quali quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e
molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme" (Mc 15,40-41). Gli
evangelisti affermano che le donne oltre che seguire Gesù lo servono. Di nessun
discepolo è detto questo. Nella concezione religiosa del tempo Dio abitava in
una "luce inaccessibile" (1 Tm 6,16). Gli esseri che gli erano più
vicini erano gli angeli del servizio, gli unici che stavano sempre davanti al
Signore per servirlo.
Nei
vangeli gli unici esseri che servono Gesù sono gli angeli ("e gli angeli
lo servivano", Mc 1,13) e le donne. Per gli evangelisti le donne non solo
sono uguali agli uomini, ma svolgono un ruolo superiore, lo stesso degli
angeli. L’azione di "annunziare", esclusiva prerogativa degli angeli,
i nunzi di Dio, è infatti nei vangeli compito privilegiato delle donne. Per
questo solo le donne sono incaricate dall’Angelo del Signore di annunciare la
risurrezione di Gesù: "Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto
dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho
detto». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a
dare l'annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,7-8). E proprio la donna, che la
Bibbia definiva responsabile della morte ("Dalla donna ha avuto inizio il
peccato, per causa sua tutti moriamo", Sir 25,24), sarà la prima testimone
della vita: "Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho
visto il Signore!»" (Gv 20,18).
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