Cosa vuol dire avere un alunno con tali caratteristiche in classe?
“Sudare sette camicie”.
-
di Fabio
Gervasio
Spesso
la gestione della classe è una delle difficoltà maggiori per un insegnante,
soprattutto per la loro eterogeneità. Tra i problemi da affrontare c’è quello
della gestione di alunni con disturbo del comportamento. Ne abbiamo parlato con
la Dottoressa Marina Papini, psicologa, specializzanda in psicologia
cognitivo-comportamentale e collaboratrice dell’IRCCS Fondazione Stella Maris
in progetti di prevenzione a scuola.
Dottoressa
Papini, lei è co-autrice del libro “DOP – Disturbo Oppositivo Provocatorio
– Scuola Primaria” una guida rapida per insegnanti edito dalla Erickson. Con il
Professor Muratori avevamo definito cos’è il DOP, ma cosa vuol dire avere un
alunno con queste caratteristiche in classe?
Avere
un alunno con queste caratteristiche in classe vuol dire dover sudare sette
camicie con la classe stessa. Sono bambini che possono dimostrare grandissime
potenzialità ed avere un carattere adorabile per poi improvvisamente mutare e
arrivare fin dal primo momento del mattino già con la giornata storta e fare di
tutto per cercare di interrompere la lezione oppure accentrare l’attenzione su
di sé con comportamenti che spesso sono poco piacevoli per chi si trova a
doverli gestire, sia per l’insegnante che per i compagni di classe.
Quindi
avere questo tipo di bambini in classe vuol dire dover imparare a surfare bene
tra le onde, perché a volte c’è più calma ma a volte ci sono onde molto alte.
Con questa metafora voglio dire che è importante saper essere flessibili ed
essere capaci di autodisciplinarsi, perché quando un bambino ti sfida
apertamente o si oppone, soprattutto con bambini così piccoli come quelli della
scuola primaria, è facile cader preda di pensieri che portano
all’autosvalutazione o che portano ad ingaggiare questo tipo di sfide ma che
rischiano di essere atteggiamenti controproducenti. Concludendo è importante
sapersi disciplinare e cercare di comprendere un po’ anche il loro punto di
vista, perché c’è un motivo se si comportano in questo modo, per quanto
spiacevole possa essere.
Stiamo
parlando di un disturbo, a questo punto le chiedo perché è differente gestire
la permalosità e la rabbia in un bambino con disturbo oppositivo provocatorio?
La
rabbia e la permalosità sono caratteristiche che ovviamente si trovano in tutti
i bambini della scuola primaria, anche se queste non si configurano come un
disturbo. Però in termini di frequenza con cui questi episodi di rabbia o
frustrazione avvengono ed in termini di intensità con la quale vengono vissuti
ed agiti sono gli aspetti che caratterizzano i bambini con DOP. Quindi possiamo
affermare che le caratteristiche che distinguono i due tipi di atteggiamento
sono la frequenza e l’intensità.
Non
è un comportamento che succede qualche volta, ma è una cosa che capita quasi
tutti i giorni a questi bambini, capita molto frequentemente di essere
arrabbiati, di impermalosirsi per qualsivoglia gesto, ad esempio del compagno,
perché hanno come un filtro nell’interpretare il gesto dell’altro, e lo
interpretano tendenzialmente in negativo verso di sé, perché il nucleo di fondo
a questi bambini, che tanto sembrano spavaldi, arrabbiati o muniti di una
corazza impenetrabile, in realtà è un abbassamento dell’autostima, una profonda
fragilità, una sofferenza per cui loro utilizzano questi meccanismi come difesa
per non mostrarsi così vulnerabili.
Per
cui il minimo gesto o parola del compagno, anche se in chiave ironica, vengono
subito interpretati con il filtro del proprio schema che li identifica come
sbagliati, insomma viene toccato il loro tallone d’Achille, e reagiscono subito
impermalosendosi. Questo avviene spesso, con facilità, che cose banali, che
possiamo considerare neutre, vengano interpretate con questo filtro, perché
hanno fatto esperienza, nel corso della loro vita, di persone che li hanno
svalutati o che non li hanno saputi capire e quindi immediatamente si attiva
questa modalità, si attiva questo schema che loro hanno e di conseguenza
avranno pensieri come “io sono sbagliato”, oppure “se ne sono accorti tutti che
io sono così” e a questo reagiscono con la rabbia o la permalosità adottando
atteggiamenti come ad esempio la lamentela continua che fanno in sottofondo,
che non è particolarmente piacevole per chi gli sta intorno, però nasce da un
nucleo di fragilità che non è così facile vedere ma che esiste e quindi è
importante avere ben presente quando ci si rapporta con loro.
Abbiamo
detto che questi atteggiamenti sono delle difese che questi bambini adottano verso
l’esterno. Un aspetto particolare è la sfida all’insegnante, ci spiega cosa
vuol dire?
Questi
bambini si trovano spesso a sfidare apertamente l’insegnante già dal primo no
del docente, oppure assumono un atteggiamento di diretta competizione non svolgendo
il compito richiesto e adottando dei comportamenti negativi o che comunque non
hanno a che fare con la richiesta pur di non fare ciò che l’insegnante ha
richiesto in qualità di autorità.
Fanno
questo perché hanno imparato che spesso l’autorità vuol dire punizione, oppure
l’essere visti negativamente, come sbagliati. È come se giocassero questo ruolo
dove il pensiero fisso è legato al fatto che non si sentono compresi, che
l’autorità non è in grado di comprendere la loro sofferenza, e quindi la reazione
e provare a far sentire gli altri come si sentono loro.
Questa
aperta sfida spesso fa sentire gli altri esattamente così. Li fa sentire
vulnerabili, tocca quelle corde, anche nell’insegnante, che sono le stesse
identiche corde che sono quelle che attivano nel bambino quel nucleo di cui
abbiamo parlato in precedenza. Allora come si affronta questa situazione, come
si può provare a uscirne, per prima cosa bisogna cercare, per quanto più
possibile, di non accettare questo guanto di sfida, altrimenti rinforziamo il
loro concetto che l’autorità è punitiva, è cattiva, e quindi rafforziamo un
atteggiamento di rivoluzione.
Poi
si può provare ad entrare in empatia con il bambino cercando di normalizzare il
fatto che tutti a volte sbagliamo, che abbiamo delle giornate negative, che
tutti a volte siamo inadeguati, quindi normalizzare quell’inadeguatezza che
loro sentono in maniera così forte, come se volessimo entrate in contatto con
questo aspetto per far capire al bambino che va bene che ci sia, perché ce
l’abbiamo tutti, facendo vedere che noi per primi abbiamo quel particolare
aspetto. Questo ci permetterà poi di poter usare questa loro carica, che li
porta alla sfida, in modo positivo e costruttivo.
Ad
esempio potremmo assegnare a turno un ruolo di leader ad alcuni bambini, che
abbiano la responsabilità di gestire alcuni aspetti della classe, come ad
esempio l’uscita dalla stessa, oppure la responsabilità della gestione di una
piantina, o la responsabilità di preparare del materiale, in modo che loro
possano crescere nel loro senso di competenza dimostrando che c’è un’autorità
diversa che crede in loro, anche se questo spesso è difficile da realizzare.
Chiudiamo
con un’ultima domanda. Spesso sono bambini propensi a fare dispetti in classe,
creando una difficoltà nella gestione della stessa. Come possiamo gestire
questo aspetto?
Il
dispetto lo fanno perché sono bravi nel farlo, è una delle cose che gli riesce
meglio. Adottando questo atteggiamento loro ottengono attenzione, perché spesso
a questi dispetti i loro compagni ridono, magari non chi lo subisce, e questo è
gratificante, li fa sentire bene. A questo si aggiunge il fatto che di base
sono un po’ impulsivi e non riescono a pensare bene alle conseguenze più in là
nel tempo di questi comportamenti.
Nel
loro immaginario il dispetto finisce nel momento in cui l’hanno fatto e gli
altri hanno riso, invece poi ci sono delle conseguenze successive alle quali
loro fanno fatica ad accedere. Spesso c’è anche una scarsa empatia, per cui non
valutano le conseguenze reali che questi atteggiamenti possono avere, quindi
mettono in atto questi comportamenti dispettosi creando un po’ di confusione in
classe.
Come
dicevo precedentemente rispetto al ruolo di leader, siccome questa cosa di fare
dispetti gli riesce bene, sono un po’ burloni, si può pensare ad un piccolo
momento durante la giornata scolastica da destinare alla realizzazione di
sketch comici al fine di liberalizzare il dispetto, lo scherzo, di modo che ci
sia un’attenzione positiva verso questi tipi di comportamenti e ci sia un clima
di accettazione all’interno di un tempo strutturato nel quale è possibile
farlo. Un altro strumento utile è quello di aiutare a creare un segnale di stop
condiviso con la classe, ovvero insegnante e compagni di classe.
Sappiamo
che il nostro compagno ama scherzare e a volte non lo fa apposta, non se ne
rende conto quando esagera, questo permette di dare una spiegazione anche agli
altri bambini di comprendere meglio e di evitare atteggiamenti di esclusione
del bambino con DOP. Il segnale di stop permette agli altri soggetti coinvolti
di poter far capire al bambino con disturbo del comportamento che sta
esagerando e che deve fermarsi.
Semplicemente
mostrando il segnale di stop precedentemente concordato permette al bambino di
focalizzare meglio la sua attenzione. Come dicevo prima per quanto riguarda la
scarsa empatia, un segnale di “stop” che fermerebbe un altro bambino lui non lo
vede proprio e va avanti, quindi bisogna aiutarlo in questo. Concludendo
possiamo affermare che non esiste una regola precisa su come interagire con
questi bambini, ogni caso è unico, però spero che queste pillole possano essere
di aiuto a chi si trova ad interagire quotidianamente con loro.
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