Un capitolo di storia troppo scomodo per tanti, dunque seppellito.
È a questo silenzio, rotto solo da vent’anni, che vuol porre rimedio. La foiba dei ragazzi, romanzo storico appena edito da Loescher (pagine 160) e scritto da quasi 500 studenti di seconda e terza media di ben 21 classi. Un’operazione che sulla carta avrebbe dell’impossibile, ma che è divenuta realtà nella scuola statale “Parise” di Arzignano e Montorso Vicentino, dove i cinquecento ragazzi, guidati da un team di educatori in scrittura creativa, hanno lavorato per un anno intero al “romanzo collettivo”, documentandosi a fondo e affrontando con delicatezza uno tra i temi più rilevanti della storia nazionale. Il risultato è un romanzo ben scritto, che racconta i fatti attraverso gli occhi di un’adolescente e così colma un vuoto nella narrativa per ragazzi.
La trama.
Come
richiede il genere del romanzo storico, i fatti realmente avvenuti si alternano
alla fantasia: Martina, sedicenne inquieta, parte di nascosto sulle orme del
padre Edoardo, storico dell’Università di Pisa, spinta dall’esigenza di
comprendere tanti misteri e troppe risposte evasive sul passato della sua
famiglia. Approda così in Slovenia e lì non solo incontrerà verità drammatiche
come le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, ma scoprirà amaramente che quella
tragedia la riguarda da vicino. Questa la trama. Ma le indagini di Martina
diventano il pretesto per raccontare con rigore tanti capitoli di questa storia
tuttora troppo sconosciuta, citando fatti veri e testimoni ancora in vita. In
fondo è esattamente ciò che richiede la legge sul Giorno del Ricordo (istituito
nel 2004 da un Parlamento unanime come di rado accade), che alla scuola
attribuisce proprio il compito di approfondire le vicende e tramandare
l’identità degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate.
L’operazione è a dir poco ardita: lavorare in tanti a un’unica opera su un
argomento ancora ostico è una follia, di quelle follie geniali che sfidano
l’omologazione e la rinuncia. Ogni classe ha realizzato un capitolo, passando
alle altre il testimone, e alla fine un ampio apparato didattico approfondisce
concetti odierni come “confine” e “pace”. «Siamo partiti da un articolo del
2020 letto su “Avvenire” che raccontava il ritrovamento in Slovenia di una
foiba in cui erano state gettate 250 persone, un centinaio erano ragazzini»,
spiega il preside Pier Paolo Frigotto, appassionato ideatore del progetto. Un
ritrovamento dovuto alla “Commissione Statale per l’individuazione delle fosse
comuni”, ente sloveno che si occupa del recupero delle vittime uccise dal
regime di Tito nel secondo dopoguerra. In questo caso vittime slovene, non
italiane, ma cadute sotto i colpi della stessa dittatura. «Ci ha colpito molto
la storia di quei ragazzini assassinati in una sola notte del 1945 dalla
polizia segreta del regime comunista, in tempo ormai di pace – spiega il
dirigente scolastico –, anche loro, come migliaia di altre vittime infoibate,
non avranno mai un nome». Proprio da qui, con un salto di decenni, parte
l’avventura di Martina, che nel finale trova la commovente soluzione del giallo
familiare: almeno uno dei cento ragazzini morti trova un nome, è Joze. Nome
inventato, naturalmente, come la sua esistenza, «ma la sua storia rappresenta
in modo toccante quella di tutti i giovani uccisi in quella spaventosa notte».
L’onestà
intellettuale
Il
merito maggiore del libro sta nell’onestà intellettuale degli autori, che non
concedono nulla alla retorica horror: con sobrietà e tono asciutto ripercorrono
le vicende dei giuliano-dalmati, sia le più note (come il “treno della
vergogna”, assalito sui binari di Bologna nonostante trasportasse esuli
affamati e innocenti), sia quelle incredibilmente ancora sconosciute ai più,
come la strage di Vergarolla (la spiaggia di Pola, in Istria), dove il 18
agosto del 1946 l’esplosione di ventotto ordigni causò la morte di un centinaio
di bagnanti, molti dei quali bambini. Fu il primo attentato terroristico nella
Repubblica italiana e il più sanguinoso, ma quasi nessuno ne parla… Questo
libro sì. Notevole anche la “contestualizzazione” con cui i ragazzi del
“Parise” inseriscono la strage dei giuliano dalmati in un contesto molto più
ampio: « È probabile che in questa foiba non ci siano italiani ma sloveni,
croati, cattolici e oppositori di Tito », scrivono, ma poi specificano che
«italiani oppure no non cambierebbe nulla, sono persone che hanno sofferto a
causa della follia umana ». Un passaggio fondamentale, sull’onda di quanto
fanno da qualche anno le repubbliche di Croazia e Slovenia (nate dalla
disgregazione della Jugoslavia), restituendo al maresciallo jugoslavo il suo
giusto posto tra i dittatori che insanguinarono il XX secolo (ancora in Italia
alcune piazze gli sono dedicate…) e a noi popoli del XXI secolo la
riconciliazione e il reciproco perdono.
La
scrittura collettiva
Lo
storico Raoul Pupo, una delle voci più autorevoli, plaude all’“ottima
iniziativa” del “Parise”, “sia per l’idea della scrittura collettiva, sia per i
contenuti: il taglio del racconto è coinvolgente, l’apparato didattico
interessantissimo”. «Un bel lavoro che salutiamo con emozione – commenta anche
Giuseppe de Vergottini, presidente di FederEsuli –. È una storia che provoca
stupore e incredulità in chi per la prima volta ne scopre i dettagli e viene a
sapere che nelle foibe dell’entroterra giuliano, istriano e dalmata giacciono
anche i resti di ragazzini coetanei degli autori».
È
vero, La foiba dei ragazzi è un romanzo di ragazzi per altri ragazzi, il
passaggio di testimone tra una generazione sfortunata, che conobbe la ferocia
del Novecento, e quella di oggi, che può sperare in un’Europa migliore.
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