È
integrale e tomista l’umanesimo di Jaeger
Conservare
all’Umanesimo un anelito universale - come in san Tommaso e Dante - più ancora
che una sollecitudine testuale, è compito primario, perché nessuna diligenza
filologica invera da sola la dignitas del «te sovra te» sancito da Virgilio
nella Commedia.
Con
l’“Aquinas Lecture” del 1943 il classicista tedesco inaugurò l’interpretazione
della lunga durata della “paideia” greca nel mondo cristiano. La tesi ribalta
come aprioristica l’avversione alla Scolastica E trova consonanze in Maritain
nell’idea della tragedia del pensiero moderno antropocentrico.
La teologia platonica, rivolta al bene e al
Tutto, dovrebbe sfociare nel riferimento a Ficino. Lo studioso la riporta invece a san Tommaso
-
di CARLO OSSOLA
L’Umanesimo
nella Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis nasce su quella
che fu la Waste Land della Teologia, esemplarmente illustrata nel Poliziano: «Nel
Poliziano tutto è concorde e deciso; non ci è più lotta. Teologia,
scolasticismo, simbolismo, il medio evo nelle sue forme e nel suo contenuto, di
cui vedevi ancora la memoria prosaica nella laude e nei misteri, è un mondo in
tutto estraneo alla sua cultura e al suo sentire. Quello è per lui la barbarie.
E non ha bisogno di cacciarlo dalla sua anima: non ve lo trova» (capitolo XI:
Le «Stanze» ). La nascita dell’Umanesimo per sottrazione alla teologia domina
naturalmente anche la storiografia del mondo riformato, sin da Jacob
Burckhardt, che osservava: «Lo scriver trattati sull’educazione dei principi,
fin qui compito dei teologi, diventa ora naturalmente anche loro (degli
umanisti nda) dominio. Enea Silvio, per esempio, stese per due giovani principi
della casa d’Asburgo diffusi trattati sulla loro educazione ulteriore» (La
civiltà del Rinascimento in Italia, 1860).
In
un panorama storiografico così uniforme giunge come freccia acuminata l’Aquinas
Lecture, nel 1943, di Werner Jaeger; iniziate nel 1937 su impulso
dell’Aristotelian Society della Marquette University, queste lezioni avevano
subito avuto un rilievo internazionale. Werner Jaeger (Lobberich, Renania, 1888
– Boston 1961) era allora professore a Harvard e direttore dell’Harvard
Institute for classical Studies. Il suo immenso affresco Paideia. Die Formung
des griechischen Menschen (19341945) si stava imponendo anche nel mondo
anglosassone. Ma quella lezione, Humanism and Theology, non è ricapitolativa,
bensì fondativa di una nuova visione sulla “lunga durata” della “paideia” greca
nel mondo cristiano, che sarà coronata – più tardi – da due importanti volumi:
The Theology of the early Greek philosophers (1948) e soprattutto: Early
Christianity and Greek Paideia (1961), volume che si pone accanto al grande
affresco di Hugo Rahner, Griechische Mythen in Christlicher Deutung (1945) quale
segnale della profonda continuità “umanistica” tra mondo greco e mondo
cristiano, tanto nella fioritura patristica che nelle reviviscenze medievali.
La
forza della tesi di Jaeger risiede nel fatto che, sin da Paideia, il percorso
dell’educazione filosofica si risolve in una «conversione» che l’autore non
esita a marcare semanticamente in modo più netto che gli usi ordinari del
termine: « La natura, dunque, dell’educazione filosofica è veramente
“conversione” nel significato spaziale (“volgersi”, “voltarsi”) di “tutta
l’anima” alla luce dell’idea del bene, cioè all’origine del Tutto». Ci
aspetteremmo dunque, secondo tradizione, che tale riferimento alla «teologia
platonica» trovi il suo naturale compimento nella tesi umanistica di Marsilio
Ficino, Theologia Platonica de animorum immortalitate. Jaeger invece nella sua
luminosa Aquinas Lecture punta decisamente su san Tommaso e sulla sintesi
ch’egli produsse del pensiero aristotelico e platonico, ribaltando come
aprioristica l’avversione degli umanisti alla Scolastica e alla teologia
medievale. Eugenio Garin, un decennio più tardi, riprenderà quelle posizioni,
citando spesso Jaeger, anche se non mostra di essere a conoscenza del saggio
Umanesimo e teologia: « Il Medioevo amava i classici non meno del Rinascimento;
Aristotele era sulla bocca di tutti, e forse meglio che nel Quattrocento; […]
la valorizzazione dell’uomo era più potente e meditata in san Tommaso che non
in Ficino; mentre naturalismo ed empietà - Machiavelli, Pomponazzi, Bruno -
proprio là dove sembrano più arditi e più nuovi sono più vecchi e lontani:
eredi più o meno consapevoli dell’alessandrinismo medievale» ( Medioevo e
Rinascimento, 1954).
La
storia delle traduzioni di Humanism and Theology è un capitolo alto
dell’itinerario delle meditazioni umanistiche del XX secolo: in Italia apparve
nel 1958 per Corsia dei Servi, nella traduzione di Luciana Bulgheroni. Corsia
dei Servi era un’associazione fondata da David M. Turoldo e Camillo De Piaz,
Servi di Maria, poeta il primo, il cui Udii una voce: poesie era uscito con una
Premessa di Giuseppe Un-garetti. Le edizioni Corsia dei Servi ebbero un ruolo
importante di aggiornamento, impegnato, del cristianesimo lombardo e italiano e
non stupisce trovarvi la conferenza di Jaeger, la quale – tuttavia – non
sarebbe tornata all’attenzione europea, senza la traduzione, di un biennio
precedente, del père Saffrey. L’opera dello studioso domenicano Henri-Dominique
Saffrey (19212021) è imponente tanto sul versante critico che su quello delle
traduzioni e edizioni di classici greci commentate, e continua l’alta lezione
dell’altro Maestro domenicano di studi greci, André- Jean Festugière
(1898-1982). La traduzione italiana di Humanism and Theology passò quasi
inosservata, salvo un caldo elogio di Giuseppe Toffanin; e una non meno attenta
lettura di don Giuseppe De Luca; egli si manifesta in un punto nodale degli
studi sull’Umanesimo italiano. Carlo Dionisotti aveva appena pubblicato il
Discorso sull’Umanesimo italiano, opuscolo ch’egli invia a Giuseppe De Luca, ricevendo
una risposta tiepida: «ho letto due volte le tue pagine sull’umanesimo italiano
– gli scriveva nel maggio del ’58 - ma, dovessi dire, non ti ci trovo. Tu sei
altro uomo, ormai, da sostare su quei temi, anche per dirli superati. Conosci
la conferenza di Jaeger tenuta nel 1943, su “Umanesimo e teologia”?»
Quell’interrogativo: « Conosci la conferenza di Jaeger ?» vale ancor oggi, è
anzi divenuto più urgente nell’isterilirsi delle ipotesi intorno a «una sintesi
della cultura antica e dello spirito cristiano ». Citando nella parte finale
del suo saggio l’Humanisme intégral di Jacques Maritain (1936), Jaeger sembra
aderirvi, trovando in esso ciò ch’egli aveva cercato di definire come «terzo
Umanesimo». Meditando sulla «tragedia dell’Umanesimo » moderno e antropocentrico,
Maritain gli aveva infatti opposto la tradizione aristotelica e tomista, su un
punto essenziale che rimarrà inalterato da Dante a Pico, il destino dell’uomo
sovra- eminente la propria umanità: « Non proporre all’uomo che l’umano –
osservava Aristotele – è tradire l’uomo e volere la sua sventura, perché
attraverso la sua principale natura, che è lo spirito, l’uomo è chiamato a un
destino più alto che una vita puramente umana» (Umanesimo integrale,
Introduzione).
Werner Jaeger Umanesimo e teologia , ed. Vita e Pensiero, pagine 112, euro 13,00),
www.avvenire.it
Nessun commento:
Posta un commento