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mercoledì 28 dicembre 2022

LA STELLA DEI MAGI

La stella dei Magi nella notte 

di Cesare Pavese

 

- p. Giuseppe Oddone

 

-   Il 28 dicembre del 1944, in pieno clima natalizio, Cesare Pavese leggeva un libro a lui imprestato dal P. G. Baravalle, il futuro padre Felice de “La casa in collina”, e precisamente A. Gratry, Commentario sul Vangelo secondo S. Matteo, Ed. Marietti, 1923. In quest’opera dapprima viene riportato il testo del Vangelo di Matteo diviso in episodi omogenei ed in versetti e subito dopo segue il commento dell’autore.

Pavese rimase impressionato da quanto viene detto sulla nascita di Gesù e sull’episodio dei Magi e ne “Il Mestiere di vivere” cita espressamente A. Gratry (1805-1871) ed il suo commentario a Matteo annotando: “ ll semplice sospetto che il subcosciente sia Dio, che Dio viva e parli nel nostro subcosciente, ti ha esaltato.

Se ripassi con l’idea di Dio tutti i pensieri qui sparsi de subconscio, ecco che modifichi tutto il tuo passato e scopri molte cose. Soprattutto il tuo travaglio verso il simbolo si illumina di un contenuto infinito”.[i]

E’ bene ora sintetizzare le riflessioni di Gratry, che possono aver colpito lo scrittore. Il sacerdote francese sostiene che con la nascita di Cristo una nuova generazione incomincia sulla terra. Prima si erano sviluppati i tre grandi regni, quello minerale, vegetale ed animale, poi era sopravvenuto il regno dell’uomo, re della terra. Con Cristo arriva il regno di Dio e dei figli di Dio. Questo ultimo regno trasfigura, corona ed innalza tutti gli altri regni. Nel lento passaggio dei vari ordini fino all’umano ed al cristiano c’è un germe divino che l’uomo può scoprire sia con la luce diurna della ragione, che con quella notturna dell’ispirazione.

Pavese sottolinea questo pensiero: “La venuta dell’uomo sulla terra, era l’incarnazione della ragione e della libertà nella animalità; nello stesso modo la venuta di Cristo è l’incarnazione di Dio medesimo nella ragione, nella libertà, in tutto l’uomo”.[ii]

Commentando la stella dei Magi Gratry aggiunge che tutte le anime intravedono, più o meno, questa stella che brilla in Oriente e continua con questa riflessione evidenziata da Pavese con un tratto a matita: “Un grande amore della giustizia, la conoscenza delle rivelazioni primitive, e soprattutto l’ispirazione attuale di Dio, hanno potuto mostrare a qualche savio, i segni precursori del principale avvenimento della storia”.[iii]

Ad un certo punto Gratry esclama: “Potessi io dirvi bene ciò che è la stella e dove la si può vedere! La si vede in quel luogo dell’anima dove si raccolgono le pure e semplici idee e dove la verità si fa intendere. La stella è l’idea semplice, l’idea prima e necessaria, che ogni coscienza deve vedere. È la verità implicita, raccolta quasi in un punto impercettibile come una stella, ma racchiudente in quella umile semplicità tutti i tesori della luce e dei mondi nuotanti in quei flutti. La nostra stella è l’idea di Dio”.[iv]

Gli spiriti che, come i Magi, seguiranno questa stella “non cercheranno la verità solamente discorrendo superficialmente o all’infuori dello spirito, ma anche e soprattutto nelle viscere dell’anima e nelle profondità feconde del sentimento. Cercheranno la verità nel raccoglimento delle impressioni che Dio opera in noi; nella profusione immensa impersonale della ispirazione continua, che è la sorgente e l’oriente dell’anima, che è l’atto per il quale Dio non ristà dal crearci e dal vivificarci… Sì l’idea del Dio vivente che ci porta e ci vivifica è la stella”.[v]

Questa stella che brilla tuttavia non appare nello splendore del giorno, raggio di un unico sole, simbolo della ragione, ma nella luce notturna e siderale, simbolo dell’ispirazione poetica, luce composta dai raggi di parecchi miliardi di soli: è un invito a sondare il mistero, le sue immensità e le sue profondità. E’ vero, questa stella che scintilla verso di me – aggiunge Gratry – non è che un punto nella notte. “Ma in realtà è un sole altrettanto grande e più grande del nostro, circondato da venti mondi altrettanto grandi o più grandi di questo globo dove si sviluppa la nostra umanità. E la stella medesima non è che un punto in quegli immensi nugoli di stelle che ci offre lo spettacolo delle notti. La luce notturna dell’anima, dunque sarebbe essa pure immensa? Sarebbe allora tutto l’universo che l’anima presente ed intravede? Sarebb’essa le anime di tutti i luoghi e di tutti i tempi e con queste assemblee d’anime il Padre delle anime, che cercano dolcemente di elevarci verso la vita eterna e la luce immensa?”[vi]

Gratry conclude il suo eloquente commento alla stella dei Magi con l’invito a non impedire la segreta nutrizione dell’anima in Dio, a non soffocare lo sviluppo di quel germe (l’idea di Dio) che cresce e si sviluppa, sia che l’uomo vegli, sia che dorma.

Torniamo a Pavese. Le riflessioni di Gratry, il suo invito a sondare le profondità dell’uomo, l’affermazione che la stella dei Magi è l’idea di Dio, un germe che vive in noi, che può essere intravisto da chi cerca la verità, che questa presenza di Dio è attiva e  presente nelle zone notturne dell’anima e nell’ispirazione poetica, nell’inconscio e nel subconscio, folgorarono lo scrittore, lo fecero riflettere sulle sue indagini in corso in quell’anno che riguardavano il subcosciente, il primitivo e il selvaggio, quella condizione aurorale dell’animo umano in cui si formano immagini, simboli e miti.

Un sospetto semplice ed immediato si presentò al suo pensiero: se Dio, come indica la stella dei Magi, agisce nella profondità della notte è forse possibile che il subcosciente sia Dio, che Dio viva e parli nel subcosciente?  Il semplice sospetto che questo potesse avvenire gettò Pavese in una specie di mistica esaltazione, non estranea al suo animo, analoga a quella che aveva provato all’inizio di quello stesso anno 1944, quando aveva avvertito oggettivamente nella sua sofferenza, senza il filtro della memoria o del simbolo, lo sgorgo di divinità ed aveva sperimentato un reale contatto con Dio.[vii]

E la riflessione viene ripresa nel pensiero successivo: “Se ripassi con l’idea di Dio” - qui il riferimento a Gratry è scoperto: “la nostra stella è l’idea di Dio… l’idea del Dio vivente che ci porta e ci vivifica è la stella!”[viii] -  tutti i pensieri qui sparsi de subconscio (e sono davvero molti, disseminati in tutte le opere di Pavese) ecco che modifichi tutto il tuo passato e scopri molte cose. È dunque possibile per Pavese rileggere alla luce dell’idea di Dio tutta la propria vicenda umana e culturale, vedervi un filo conduttore, scoprire molte cose.  Soprattutto il tuo travaglio verso il simbolo s’illumina di un contenuto infinito. E quanti simboli nella poetica di Pavese, tutti animati da una vibrante passione che li rende poetici: la collina, il paese, la donna, la terra, la vigna, il prato, la selva, il sentiero, la luna, i falò, il sangue, ecc. e quanto travaglio in questa ricerca, travaglio già segnalato in un pensiero del 17 luglio del 1944, ove Pavese parla di fatica e spossatezza nel portare in superficie la vita dell’inconscio![ix]  Ma qui c’ è una luce che brilla, la luce notturna dei Magi, la stella, l’idea del Dio che vive e parla nel subcosciente, che illumina d’un contenuto infinito questa sofferta ricerca di immagini e di simboli.

E Pavese pare qui mettersi in cammino dietro i Magi e guardare alla luce della stella nella ricerca di Dio e di Cristo.

È questo l’ultimo pensiero ne “Il Mestiere di vivere” di quell’annata strana (il 1944), cominciata e finita con Dio, con riflessioni assidue sul primitivo e sul selvaggio. Avrebbe potuto essere la più importante della sua vita, se avesse perseverato in Dio[x].

Pavese non perseverò in questo cammino, si immerse in altre esperienze di vita.

Ma nella sua notte la stella dei magi ritornò di tanto in tanto a brillare fino alle soglie del suo suicidio, quando ha ancora uno scatto improvviso, un grido lacerante davanti ad un’altra realtà che gli balena davanti improvvisa, spalancando le porte del futuro, il Tu divino, il Dio della grazia e della rivelazione, il Dio dell’ispirazione, intravisto nella stella dei Magi che conduce a Cristo: “O Tu, abbi pietà. E poi?”.[xi]

 



[i]
                 C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, 1952, 28 dicembre 1944, pag. 269. In questa edizione c’è un errore di trascrizione dal manoscritto (Fratry invece di Gratry)

[ii]          A. Gratry, Commentario sul Vangelo secondo S. Matteo, Ed. Marietti, 1923, pag. 5

[iii]          A. Gratry, op. cit., pag. 9

[iv]         A. Gratry, op. cit., pag. 16

[v]          A. Gratry, op. cit., pag. 18

[vi]         A. Gratry, op. cit., pag. 21

[vii]         Cfr. Il mestiere di vivere, op. cit., 29 gennaio e 1 febbraio 1944, pag.248

[viii]        A. Gratry, op. cit., pagg. 17-18

[ix]         Cfr. Il mestiere di vivere, op. cit., 17 luglio 1944, pagg.260-261

[x]          Cfr. Il mestiere di vivere, op. cit., 9 gennaio 1945, pag. 270

[xi]         Il mestiere di vivere, op. cit., 18 agosto 1950, pag. 362

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