- di Giuseppe Savagnone
- La crisi con la Francia e le scelte del nuovo governo
La
crisi diplomatica che in questi giorni vede duramente contrapposte Francia ed
Italia, e che è esplosa nel contesto dell’annosa questione delle politiche
migratorie, può essere letta da diversi punti di vista. Uno di questi è la
volontà del nuovo governo di evidenziare la sua discontinuità, sia nella
politica interna che in quella internazionale, rispetto a quelli l’hanno
preceduto.
Si
erano avvicendati, in passato altri governi di centro-destra, ma a guidarli era
stato il centro. Ora i ruoli si sono invertiti. A trainare, per la prima volta
nella storia repubblicana, è quella che una volta veniva chiama “estrema
destra”, sicuramente più legata a una tradizione che è diventato comune
definire “sovranista”, perché privilegia, all’interno, l’autorità dello Stato
e, a livello internazionale, gli interessi della Nazione.
Espressioni
colorite come «E’ finita la pacchia» o ««L’Italia non è più la Repubblica delle
banane», spesso risuonate, nelle scorse settimane, sulla bocca di Giorgia
Meloni e di Matteo Salvini, costituivano un esplicito monito a chiunque, dentro
o fuori i nostri confini, finora avesse approfittato di quella che a loro
avviso era stata la debolezza dello Stato italiano. Si può condividere o meno,
naturalmente, questo progetto politico.
Quale
che sia, però, la propria opinione su di esso, è possibile interrogarsi su ciò
che sta accadendo ora che il governo in carica lo sta attuando. È presto,
evidentemente, per dare un giudizio definitivo. Non lo è, però, per prendere
atto del risultato dei primi passi compiuti dall’esecutivo su questa strada.
- Il
decreto anti-rave
Il
primo atto che, sul piano normativo, ne ha segnato l’avvio è stato il
cosiddetto “decreto anti-rave”. La fattispecie prevista è «l’invasione
arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un
numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno,
quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o
l’incolumità pubblica o la salute pubblica». La pena prevista per gli
organizzatori è la reclusione da 3 a 6 anni.
La
prima sorpresa, in questo testo, è che il reato di «invasione arbitraria» di
terreni o edifici era già presente nel nostro Codice Penale (articolo 633).
L’unica differenza è che questo reato è punito, se compiuto da più di cinque
persone, con una pena da due a quattro anni. La vera novità, dunque, non sta
nella «invasione arbitraria», ma nel fatto che essa venga compiuta «da più di cinquanta
persone, allo scopo di organizzare un raduno». Dove, visto che la norma non
parla specificamente di rave party, ma si applica a qualunque «raduno», il
rischio immediatamente rilevato non solo dall’opposizione, che ha parlato di
«norma liberticida», ma anche da eminenti costituzionalisti, è che, in base a
questa innovazione (unica possibile ragione del decreto), vengano puniti anche
i partecipanti a una manifestazione di natura sociale o politica.
Anche
perché la clausola «quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine
pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica» è così generica e
suscettibile di interpretazioni soggettive da non costituire una garanzia.
Ciliegina sulla torta, la pena prevista (6 anni!) appare sproporzionata rispetto
a quella di reati assai più gravi e, per di più, rende possibile il ricorso da
parte degli inquirenti di registrazioni telefoniche (permesse per i reati la
cui pena supera i 5 anni). Che non è certo una prospettiva rassicurante per chi
organizza raduni politici o di protesta sociale.
Davanti
al coro di critiche, alcune sicuramente esasperate da un atteggiamento
polemico, ma molte altre fondate sulle semplici osservazioni appena esposte, il
governo si è visto costretto, già all’indomani dell’emanazione del decreto, a
demandare al parlamento le modifiche necessarie per disinnescarne i punti più
critici. Anche se è dubbio che, eliminando quelli, resti nella norma qualcosa
di diverso da ciò che già è previsto nell’art. 633 del codice penale.
Se
questo è stato – come appare abbastanza evidente – un “biglietto da visita” che
intendeva sottolineare la svolta del nuovo governo, rispetto a un andazzo che
effettivamente, nel nostro Paese, vede spesso calpestata la legalità, non si
può evitare l’impressione che si sia trattato di una “uscita a vuoto”, di cui
l’imbarazzata marcia indietro di esponenti dello stesso governo è stata la
conferma. Il rispetto della legge è un valore importante ed è giusto
rivendicarlo. Ma non sembra che, rispetto ai governi precedenti, quello che il
nuovo ha fatto sia servito a consolidarlo.
- Il
braccio di ferro sui migranti
Una
difficoltà analoga sembra incontrare l’esecutivo su un fronte che era stato un
suo cavallo di battaglia nella campagna elettorale, quello dei migranti. Su
questo terreno si erano moltiplicate, negli ultimi mesi, gli attacchi della
destra al governo Draghi, in particolare al ministro degli Interni Lamorgese,
accusata di colpevole debolezza nei confronti dell’aumento degli sbarchi di
migranti sulle nostre coste. Da qui, all’indomani delle ultime elezioni, il
ritorno degli slogan citati all’inizio, con la compiaciuta constatazione che
“la pacchia” era finita e che l’Italia non sarebbe più stata “la Repubblica
delle banane”.
E
da qui, ovviamente, il primo atto del nuovo ministro degli Interni, Piantedosi,
che è stato quello di diffidare le tre navi in viaggio verso i nostri porti –
la «Geo Barents» della Ong Medici Senza Frontiere, la «Humanity One» della Ong
Sos Humanity e la «Ocean Viking», della Ong Sos Mediterranée – dall’entrare
nelle nostre acque territoriali, perché la loro condotta non era «in linea con
lo spirito delle norme europee ed italiane in materia di sicurezza e controllo
delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale».
Sono
note le vicende che hanno portato le prime due navi, dopo una estenuante attesa
ad attraccare nel porto di Catania – in base al diritto della navigazione, che
prevede lo sbarco di naufraghi salvati in mare «nel primo porto sicuro» – ,
dove hanno potuto far sbarcare subito decine di donne, tra cui molte incinte, e
di minori. Il governo ha tentato egualmente di tenere fermo il principio della
fermezza, tante volte sbandierato in campagna elettorale, distinguendo tra
soggetti «fragili», a cui veniva concesso lo sbarco, e il «carico residuale»
(espressione che ha suscitato molte polemiche), costituito da coloro che non
presentassero i segni di detta fragilità.
Una
decisione di fronte a cui Giorgia Meloni non ha nascosto il suo disappunto,
sottolineando che essa aveva aggirato le scelte dell’esecutivo: «Sui giornali
ho letto stamattina titoli surreali, distanti dalla realtà», aggiunge la
premier. «Ad esempio non è dipesa dal governo la decisione dell’autorità
sanitaria di far sbarcare tutti i migranti presenti sulle navi Ong,
dichiarandoli fragili sulla base di possibili rischi di problemi psicologici.
Scelta, quella dell’autorità sanitaria, che abbiamo trovato bizzarra». E in effetti si è trattato di un altro smacco
per una destra che nel suo programma elettorale aveva promesso la «difesa dei
confini nazionali ed europei (…) con controllo delle frontiere e blocco degli
sbarchi» (n.6). Un’altra uscita a vuoto, dopo quella del decreto anti-rave, in
questa frettolosa corsa a esibire la propria identità rispetto ai governi
passati.
- Lo
scontro con il governo francese
Un
parziale successo però sembrava venire dal fatto che almeno la terza nave, la
Ocean Viking, dopo giorni di estenuante vagabondaggio, si stava dirigendo verso
Tolone, dove il governo francese era disposto ad accoglierla per redistribuire
i migranti che trasportava. Un premio sembrava, alla linea politica indicata
(anche se non attuata) da Giorgia Meloni, che infatti si era affrettata a
ringraziare il presidente francese. E invece è successo un putiferio.
Macron – che pure era stato il primo premier straniero a incontrare la Meloni, a Roma e poi in Egitto, in colloqui definiti da entrambi cordialissimi – ha dichiarato che «Giorgia Meloni si è comportata male». Ancora più dure le reazioni di altri membri del governo francese. «È a titolo eccezionale che accogliamo questa nave (l’«Ocean Viking»), tenuto conto dei quindici giorni di attesa in mare che le autorità italiane hanno fatto subire ai passeggeri», ha spiegato il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, aggiungendo che «è chiaro che ci saranno conseguenze estremamente gravi per le nostre relazioni bilaterali».
A
fronte di questo «comportamento inaccettabile» la Francia ha deciso di
sospendere l’accoglienza di 3.500 rifugiati al momento in Italia previsti dal
“Meccanismo volontario di solidarietà”, un accordo sottoscritto da 19 Paesi Ue
lo scorso 10 giugno in Lussemburgo, e ha invitato «tutti gli altri
partecipanti» al meccanismo di ricollocamento europeo dei migranti, «in
particolare la Germania», a sospendere l’accoglienza dei profughi attualmente
in Italia. Insomma, un disastro. Soprattutto tenendo conto dell’estremo bisogno
che il nostro Paese ha in questo momento della solidarietà e dei fondi europei.
Ne valeva va la pena?
*
Pastorale della Cultura della Diocesi di Palermo
Nessun commento:
Posta un commento