veicolata dai social network
Cerchiamo
di non cadere nella tentazione di essere consumatori e prodotto di consumo per
gli altri. La bellezza nella nostra società è legata ad aspetti materiali e
incarna il nuovo concetto di identità: noi non siamo quello che effettivamente
vogliamo essere o quello che rappresentiamo, ma cerchiamo di essere ciò che
rappresenta uno standard ben riconoscibile
-di
Francesco Pira
Siamo
precipitati nell’era della vetrinizzazione, dove è necessario a tutti i costi
piacere agli altri. Oggi, per sentirci apprezzati abbiamo bisogno di “like” e
“cuoricini” da parte dei nostri contatti che ci seguono sulle nostre
piattaforme del cuore.
L’idea
del corpo è diventata fondamentale e rappresenta in qualche modo (ancora da
analizzare) la sfera della sessualità. Nella dimensione social il corpo ha un
doppio valore: da un lato centro di potere “un portatore visibile di identità
di sé” e del proprio stile di vita; dall’altro è diventato strumento, il corpo
esibito come altro da sé, una dimensione che appare con tutta la sua evidenza
nell’universo social.
Sempre
più spesso proviamo a migliorarci tramite una serie di app, nate con lo scopo
di aiutarci ad eliminare ogni nostra imperfezione. Questo fenomeno rientra in
quello che viene definito “appificazione” della società, perché esiste
un’applicazione per tutto e basta solo cercare quella adatta alle nostre
esigenze.
Il
modo stesso con il quale si forma il nostro senso comune del mondo e del
quotidiano avviene all’interno di un contesto dove si intersecano presenze
diverse: dai mass media, al web ai social network.
A quanto pare le app vengono utilizzate nel mondo per 4 ore e 48 minuti al giorno. La spesa globale, nel corso degli ultimi 12 mesi, ammonta a 320.000 dollari al minuto.
Il
tempo di utilizzo viene destinato per il 42 per cento alle applicazioni social
e di comunicazione.
La
somma di App Store e Play Store mostra 21 milioni applicazioni pubblicate sino
ad oggi con profitti davvero incalcolabili per i colossi della comunicazione.
Ho
avuto modo di analizzare questi dati e di includerli nella mia ultima ricerca,
contenuta nel mio libro “Figli delle App”. Il numero di app che i ragazzi hanno
dichiarato di avere a disposizione nei propri dispositivi mobili è davvero
interessante dal punto di vista sociologico. Una vera e propria galassia di
algoritmi per gli scopi più diversi, sempre più spesso in una logica integrata,
finalizzata alla migliore performantizzazione sul palcoscenico
social-mediatico.
Ovviamente,
non sottovalutiamo il fortissimo dominio del mercato da parte di chi gestisce i
canali legati alle nuove tecnologie e alle diverse app.
Recentemente,
stanno spopolando le app che simulano il taglio di capelli perfetto o che
riescono ad abbinare il colore della pelle a quello dei capelli. Sempre più
spesso le persone, che si rivolgono ai parrucchieri, presentano il risultato
dell’elaborazione dell’app e pretendono lo stesso taglio o lo stesso colore di
capelli. A volte i risultati sono orrendi e inverosimili, ma pur di fermare il
tempo che passa ci accontentiamo di installare: Hair Color Dye,YouCam MakeUp, Style
MyHair solo per citare le più famose.
Non
è tutto. Esistono app, come Perfect 365 o YouCam Perfect, capaci di effettuare
ritocchi incredibili al volto, alle labbra, agli occhi, agli zigomi, ai capelli
e di trasformare i lineamenti. In sostanza, basta scrollare le dita sul display
del nostro cellulare per diventare un’altra persona ed il gioco è fatto. Poi,
bastano pochi click per postare la nostra immagine su Facebook, Instagram o
inviarla su ogni canale di messaggistica istantanea.
Sui
social tendiamo ad assumere modelli di identità predeterminati pur ritenendo di
esprimere la nostra individualità, attuando una sorta di mimetizzazione e non
ci rendiamo conto che rinunciamo a noi stessi ed utilizziamo qualsiasi mezzo
per assumere le sembianze del TikToker o dell’Istragrammer che ci piace.
Ecco,
che diamo vita ad un “io performativo” con il preciso scopo di ottenere il
gradimento dei nostri follower.
Quanta
gente entra ed esce dai social, chiude profili e ne apre altri, vivendo momenti
di grande esposizione e poi momenti in cui vuole chiudere con questo mondo
perché non si accetta e non si ama.
Mi
piacerebbe sapere quante persone, dopo aver utilizzato queste app, si pongono
il problema di non essere più sé stesse. Oggigiorno, sappiamo perfettamente che
la donna deve essere magrissima, quasi anoressica, e che l’uomo deve essere
particolarmente palestrato. Proprio per questo motivo c’è chi decide di
rivolgersi al chirurgo estetico, mostrandogli “i ritocchini” che desidera e che
magari l’app ha magistralmente riprodotto.
Quello
a cui non pensiamo sono anche i risultati delle pesanti critiche mosse sul web
dai tanti leoni da tastiera che possono essere pericolosi e devastanti, poiché
generano il cyber bullismo, sconvolgendo la stabilità emotiva della persona che
finisce in questa terribile trappola. Gli odiatori seriali criticano
pesantemente le fotografie ritoccate tramite app, le ragazze magrissime o con
qualche chilo in più. I cosiddetti hater adorano demolire psicologicamente gli
altri e non si fermano fino a quando non rendono la loro vittima ancora più
fragile.
Purtroppo, il comportamento degli adulti non sempre può essere considerato un esempio per giovani. Basti pensare a come i genitori siano disposti ad indebitarsi per soddisfare, come regalo per i 18 anni, la richiesta di una figlia o di un figlio a sottoporsi alla chirurgia estetica o gli permettano di apparire in modo completamente diverso rispetto a quella che è la realtà, attraverso app di ogni sorta e che cercano loro stessi pur di renderli “felici”.
Cerchiamo
di non cadere nella tentazione di essere consumatori e prodotto di consumo per
gli altri. La bellezza nella nostra
società è legata ad aspetti materiali e incarna il nuovo concetto di identità:
noi non siamo quello che effettivamente vogliamo essere o quello che
rappresentiamo, ma cerchiamo di essere ciò che rappresenta uno standard ben
riconoscibile. Invece, bisognerebbe dare
spazio all’”essere” e accettare serenamente che gli anni passano e che non
bisogna avere paura del tempo. In fondo, sarebbe meglio seguire il consiglio di
Harvey B. Mackay, uomo d’affari americano: “Non limitarti a segnare il tempo;
usa il tempo per lasciare il tuo segno”. Infatti, se tutti riuscissimo a
lasciare un segno, per rendere questo mondo migliore, sarebbe un atto
rivoluzionario!
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