Francesco si rivolge
agli atleti presenti in Vaticano per il convegno organizzato dal Dicastero
Laici, Famiglia e Vita ricordando la funzione della pratica sportiva nel
generare comunità e aiutare a superare la cultura dello scarto: è un bene
educativo e sociale che non deve cadere in una logica di business consumistico
-
di Michele Raviart - Città del Vaticano
Un
generatore di comunità
Lo sport, ha detto il Papa, è “un generatore di comunità”, soprattutto per i giovani perché “crea socialità”, fa “nascere amicizie”, crea condivisione, partecipazione e senso di appartenenza. Ha una dimensione formativa, lo sport, che non può separarsi da quella ludica e “amatoriale”, anche ai livelli più alti del professionismo. Come le membra formano un corpo, sottolinea il Papa, così i giocatori formano una squadra e le persone formano una comunità. In questo senso, “lo sport può essere simbolo di unità per una società, un’esperienza di integrazione, un esempio di coesione e un messaggio di concordia e di pace”. Oggi abbiamo tanto bisogno di una pedagogia di pace, di far crescere una cultura di pace, a partire dalle relazioni interpersonali quotidiane per arrivare a quelle tra i popoli e le nazioni. Se il mondo dello sport trasmette unità e coesione può diventare un alleato formidabile nel costruire la pace.
Un
bene educativo e sociale
Francesco
si rivolge poi agli atleti professionisti presenti in aula, che, dopo il
discorso del Papa hanno firmato un documento sulla responsabilità sociale dello
sport. Loro sono un punto di riferimento per i più giovani e possono aiutare a
superare la cultura dello scarto e promuovere un riscatto personale e sociale.
“Quante persone”, afferma il Papa, “che si trovavano in condizioni di
marginalità, hanno superato i pericoli dell’isolamento e dell’esclusione
proprio attraverso lo sport!”.Lo sport, inoltre, deve contribuire a generare
personalità mature e riuscite:
Al
di fuori di questa logica, corre il rischio di cadere nella “macchina” del
business, del profitto, di una spettacolarità consumistica, che produce
“personaggi” la cui immagine può essere sfruttata. Ma questo non è più sport.
Lo sport è un bene educativo e un bene sociale e tale deve restare!
Per questo è necessario innanzitutto quell’accessibilità che permetta di rimuovere “quelle barriere, fisiche, sociali, culturali che precludono o ostacolano l’accesso allo sport”. L’impegno è che tutti abbiano la possibilità di praticare sport, di coltivare - si potrebbe dire di “allenare” - i valori dello sport e di trasformarli in virtù.
Accessibilità
e accoglienza
Insieme all’accessibilità c’è poi bisogno di accoglienza, di “qualcuno che tiene aperta la porta del cuore, e di conseguenza, aiuta a superare pregiudizi, paure, a volte semplicemente l’ignoranza”. Solo così si promuove uno sport a misura di ciascuno, in cui ogni persona può sviluppare i propri talenti, anche a partire da una condizione di fragilità o disabilità. È un’avventura che voi atleti conoscete bene, perché nessuno di voi è un superuomo o una superdonna: avete i vostri limiti e cercate di dare il meglio di voi stessi. Quest’avventura ha il profumo dell’ascesi, della ricerca di ciò che ci perfeziona e che ci fa andare oltre. Alla radice di questa ricerca c’è, in fondo, la tensione verso quella bellezza e quella pienezza di vita che Dio sogna per ogni sua creatura.
La
vicinanza della Chiesa
In questa missione e in questo impegno educativo e sociale il Papa ricorda poi la vicinanza della Chiesa. La Chiesa è vicina allo sport, perché crede nel gioco e nell’attività sportiva come luogo di incontro tra le persone, di formazione ai valori e di fraternità. Per questo lo sport è di casa nella Chiesa, specialmente nelle scuole e negli oratori o centri giovanili.
Nessun commento:
Posta un commento