NON SERVONO SOLO PAROLE
Puntualmente
decifro nei loro occhi una notevole apprensione, sia per quanto riguarda
l’insegnamento delle singole discipline, sia rispetto al ruolo di educatori al
quale sono chiamati. La rivoluzione digitale, resa più eclatante dopo la
pandemia, richiederebbe una nuova pedagogia. Non sempre abbiamo gli strumenti
appropriati. I ragazzi sembrano essere in balìa degli schermi, grandi e
piccoli, vissuti quali realtà parallele in grado, al medesimo tempo, di
elettrizzarli e distruggerli: una tragedia come quella del tredicenne di
Gragnano, suicida con ogni probabilità vittima di una persecuzione ordita da un
gruppo di coetanei fra i quali una ragazza poco più grande di lui, lo conferma
appieno. Che gli adolescenti non siano degli stinchi di santo e anzi possano
incarnare gli istinti più violenti della specie a cui apparteniamo non lo
scopriamo certo ai nostri tempi. Basta andarsi a rileggere 'Il signore delle
mosche' di William Golding, premio Nobel per la Letteratura nel 1983, per
rendersene conto: la storia di alcuni scolari che in seguito a un incidente
aereo, si ritrovano in un’isola deserta e fanno presto a trasformarsi in
barbari pronti a uccidersi gli uni gli altri, andrebbe inserita come
riferimento bibliografico essenziale in molti progetti contro il bullismo.
Chiunque nutrisse soverchie illusioni a proposito dei fanciulletti innocenti e
puri vada a sfogliarsi almeno 'I ragazzi terribili' che Jean Cocteau scrisse
nel 1929.
Tredici
anni, quanti ne aveva Alessandro, ragazzo esemplare senza apparenti problemi
che pure non ha esitato a gettarsi dal terrazzo di casa forse incapace di
reggere alla pressione che sui social e nella vita quotidiana gli infliggevano
i suoi compagniucci, è l’età più affascinante e pericolosa, allo stesso tempo,
il momento di massima espansione vitale, quando l’esistenza è un sole pronto a
nascere e morire dentro di noi
ogni
giorno: le emozioni vengono dilatate a dismisura, le idee sono spesso estreme e
radicali, i comportamenti diventano prove spietate d’identità, le relazioni
personali subiscono una continua drammatizzazione, nel bene e nel male. Se in
quel frangente dello sviluppo umano le famiglie fanno un passo indietro, oppure
non riescono a incidere, nelle personalità più fragili e sensibili può
divampare la tempesta. È vero che l’adolescente cerca la vertigine, ne ha
bisogno per conoscere se stesso, ma l’adulto consapevole deve riuscire a
scoprire e gestire l’ansia che sprigiona dai ragazzi più inquieti
indirizzandola verso un orizzonte di valori: non può farlo da solo, dovrebbe
avere dietro un’istituzione in grado di legittimarlo. Un’agenzia che possa
garantire e sostenere il suo intervento.
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