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venerdì 12 agosto 2022

LA LEZIONE DELLA ROCCIA


TEMPO DELL'UOMO 

e TEMPO PER L'UOMO

- di Francesco Nespoli

 Un segmento qualsiasi dell’arco Alpino che si stagli contro-cielo ci permette di vedere milioni di anni indietro. Basta pensarci. Avere come amico un geologo aiuta in questo senso ad avere altri occhi e a fare scorrere lo sguardo nello spazio e nel tempo.

L’arco alpino è il risultato dello scontro tra la placca africana e quella europea; un’impronta formata al tempo del Miocene, tra i 23 e i 5 milioni di anni fa. E’ quello che si può vedere al primo colpo d’occhio.

Poi più sotto, si intravedono lunghe linee che disegnano pieghe poco inclinate nella parete. Noi ne vedremo qualche decina di metri, ma potrebbero essere chilometri. Forse linee di sovrascorrimento: il segno della sovrapposizione di porzioni di crosta dovuta alla spinta orizzontale. Qui guardiamo indietro tra 130 e 60 milioni di anni fa, il tempo del Cretacico. Questo è l’ultimo periodo dell’era mesozoica, quella dominata dai Dinosauri, che sono apparsi sulla Terra circa 230 milioni di anni fa e l’hanno dominata per 165 milioni di anni. Poco dopo, si fa per dire, compaiono i primi primati (55 milioni di anni fa) e la separazione della linea evolutiva dell’uomo dallo scimpanzé risale a soli 6 milioni di anni fa. Esseri umani e dinosauri non sono mai coesistiti.

Scendendo ancora verso valle, non servirebbero chilometri, ma basterebbero invece pochi passi per percorrere il diametro di una marmitta glaciale, scavata dal mulinare di qualche masso incastrato durante il ritiro del ghiacciaio che ha formato un canyon. Quando il ghiaccio arrivava anche a 900 metri di spessore sopra la terra. Quello è il tempo dell’ultima glaciazione (Würm) finita tra i 15 e i 10.000 anni fa. Dicono gli esperti che se l’intera storia della terra venisse ridotta alla scala di un singolo anno solare, l’epoca di quella glaciazione corrisponderebbe alle 23:56 del 31 dicembre.

Infine, avvicinandoci alle pareti di roccia in cerca di appigli per salire, apprezzeremo piccole concrezioni minimali, conchette, fessure, tacchette... graspolature millimetriche appena palpabili, ma ottime per l’arrampicata di aderenza. Questa è la dimensione con cui più direttamente si misura l’uomo, passando dalla vista al tatto. Il tempo dell’uomo (homo sapiens, si intende) nella proporzione già detta, corrisponde agli ultimi 4 minuti del 31 dicembre.

Il rapporto fisico con la strada di montagna serve, o per lo meno può servire, a questo. È il paradosso per cui l’ambizione di andare più in alto, misurarsi con la forza di gravità, possedere la mappa di un intrico e tentare di sporgersi oltre i limiti entro i quali si vive, è un modo per avere la dimensione della propria finitezza, più che delle proprie capacità. Un modo per misurarsi con la propria natura essenziale, al netto del dominio della tecnica e delle costruzioni culturali. Un uomo innanzitutto è un essere vivente con coscienza di sé che si muove nello spazio e nel tempo, esposto alla continua necessità di comportarsi in modo adattivo.

 Un essere vivente che a volte pensa che la vita sia breve, altre ne percepisce la lunghezza. Lunga per spegnere sveglie la mattina, scambiare saluti quotidiani, scandire la routine. Un po’ meno lunga, ma comunque lunga a sufficienza, per rituali di compagnia, caffè con gli amici, pasti in famiglia. Forse corta per scalare tutte le montagne o le pareti nella lista dei desideri, per leggere tutti i libri che si vorrebbe. Di certo corta, per esempio, per innamorarsi davvero (una, due, tre volte al massimo?), rifare da zero i progetti, generare altra vita, difendere da soli la sostenibilità della specie.

La strada in salita al cospetto degli affioramenti rocciosi, sempre che ci si pensi, ci ricorda il vero tempo che serve impiegare per fare le cose, e ci insegna a non perdere tempo utile per raggiungere le mete che saranno un giorno indisponibili. Ci insegna a sforzarci di pensare in grande e immaginare come far durare la nostra specie qualche altro milione di anni, se non quanto quelle dei dinosauri.



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