QUALI PROSPETTIVE?
- di Maria Grazia Fornaroli
La valutazione resta il problema centrale della scuola: nelle medie, collegata all’orientamento, nelle superiori, alla certificazione o alla (in)sufficienza dei percorsi scuola esame maturità
Si chiudono gli scrutini, si apre la porta dell’esame di Stato, numeri…
numeri… numeri, quanto questi strumenti siano in grado di esplicitare il valore
dei nostri ragazzi è difficile dirlo.
Prevalgono dubbi, perplessità e sfiducia.
Rarissimi i giudizi positivi, tanta tensione, tanto rancore, poco
dell’alleanza educativa di cui a parole sono colmi i nostri Piani dell’offerta
formativa (Pof).
Non si potrebbe ripensare ai docenti come a buoni mercanti di stoffe?
Troppo economicistica la metafora? se il mercante ha tra le mani seta non la
confonde con raso, damasco o broccato, se è lana ne deve conoscere le mille
qualità e differenze (il cachemire non è shetland o lambswool), e se una stoffa
presenta qualche parte sdrucita si può rammendare o magari metterci una toppa.
L’Europa è nata anche con i mercanti di stoffe.
Fuor di metafora: fino quasi al termine della scuola secondaria di primo
grado la valutazione continua ad essere oggetto di studio e di formazione (si
pensi alle preziose diagnosi tempestive di disturbi o bisogni speciali o alle
recenti modifiche dei criteri di valutazione, del passaggio ai giudizi
descrittivi nella primaria), in una prospettiva dinamica, che apra a sviluppi,
a miglioramenti, il giudizio finale invece, lo sappiamo, ingabbia. Gli studenti
che conseguono risultati tra l’8/decimi e i 10/decimi ai licei, risultati
inferiori ai tecnici e ai professionali, il modello gentiliano vince ancora.
Il grande Alexis Carrel, autore caro a tanti lettori, ci richiamò già nel
1958 a osservare molto prima di proferire giudizi definitivi; eppure, in tante
scuole secondarie di primo grado il voto ancora cristallizza intelligenze,
potenzialità, promesse, in percorsi preconfezionati; un cattivo orientamento è
prodromico all’insuccesso, alle ripetenze, a cambiamenti infruttuosi.
Quanta creatività artistica, musicale, artigianale viene sprecata? Non
riconosciuta e avviata verso scuole in cui prevale l’astrazione, destinate a
generare fallimenti e sofferenze?
Quanti studenti si avvicinano per esempio all’informatica semplicemente
perché affascinati dal digitale, senza sapere che invece li aspetta tantissima
logica, rigore, proceduralità? Insuccesso assicurato, anni persi, bocciature,
ripetenze, abbandoni.
Primo step costruttivo: un orientamento più serio, eclettico, teso ad
incontrare percorsi e professioni che possano incrociare le “intelligenze
multiple” di cui da decenni si parla, ma che stentano ad essere riconosciute
nel nostro Paese, soprattutto nella scuola.
Anche il sistema statale/paritario da cui potrebbe nascere una osmosi
fruttuosa ha visto sostanzialmente la prevalenza dei licei per quanto non
vadano misconosciute esperienze assolutamente positive a cui guardare con
enorme stima, in primis la tradizione tecnica salesiana, ma anche esperienze
eroiche come quelle di In-presa e di
Galdus.
Ma alla scuola superiore cosa accade?
Il sistema fa acqua: c’è bisogno di un grande cambiamento. I più vecchi fra
noi ricorderanno un’altra metafora, presente in tutti i testi di scuola
elementare: a giugno la mietitura, il raccolto.
Forse già allora questa idea conservava anch’essa qualcosa di violento, le
spighe dorate mature dai chicchi gonfi e preziosi “pativano la falce”, qualcuna
cadeva.
Ma era un’altra Italia.
I dati degli scrutini di questo giugno, ma ce lo aspettavamo, dicono di un
incremento dei respinti, di alunni non scrutinati per un numero di assenze
eccessivo; in alcune scuole, con delibere a dir poco ardite, si è scelto di non
andare oltre le due materie ( o discipline che siano), con tre materie si è
”bocciati”, terribile espressione, esclusivamente italiana, gli altri paesi
europei per indicare l’insuccesso hanno utilizzato termini un po’ meno
aggressivi (to pass in inglese, nicht promoviert in tedesco, redoubler in
francese)
Il noto D’Avenia, nella sua rubrica del lunedì sul Corriere, giocando
magistralmente con le parole, ha suggerito alla scuola di non bocciare gli
studenti ma piuttosto di farli sbocciare. Una sanatoria dunque?
No, ma una seria riflessione su criteri e metodi per selezionare in una
prospettiva di successo formativo. Sappiamo di scuole in cui questo percorso è
attivato, in cui lo scrutinio è preceduto da colloqui con studente e genitori,
in cui i docenti, esperti mercanti di stoffa, fanno convergere il proprio
sguardo su chi sia lo studente, non solo su ciò che sappia.
Ma non è sempre così: ricordo ai non addetti ai lavori che il tempo dello
scrutinio è contingentato, che sono molto complessi gli adempimenti burocratici
e che spesso solo alcuni casi vengono affrontati con le dovute doti di
tranquillità, competenza ed equità.
Nello scrutinio si esprimono ancora di frequente i due atteggiamenti
opposti: un inopportuno buonismo o un eccesso di rigore del quale il “ti
boccio” è l’espressione più enfatica, ma eloquente del clima di prevalente
individualismo.
Decido io (da solo), tu, altro collega, non conosci gli elementi della mia
disciplina che io ritengo irrinunciabili. Ti boccio, mio studente, o ti assegno
il debito formativo. Nel secondo caso, tuttavia, i corsi di recupero attivati
dalle scuole non sono sufficienti e per famiglie indigenti è impensabile
l’attivazione di lezioni private.
Gli economisti sanno bene quanto costi un anno di scuola; qualche anno fa
si accennava a 40mila euro per studente, ora probabilmente anche di più.
Molti Paesi europei hanno da tempo introdotto altri sistemi: se fai fatica
in matematica (quasi tutti i nostri studenti faticano in matematica… altra
questione da affrontare, Daniela Lucangeli da tempo ci sta provando) non potrai
iscriverti al Politecnico o ad una facoltà in cui la matematica sia
fondamentale, a meno di svolgere un corso propedeutico con esame finale.
In fondo i test universitari costituiscono un argine certo, perché non
pensare a livelli diversi di certificazione?
I genitori descolarizzati o di origine non italiana, e sono molti, non sanno dove rivolgersi, si trascinano
amareggiati da una scuola all’altra (i nulla osta sono ormai diffusissimi) in
un percorso tortuoso, spesso preludio per il figlio al ruolo di Neet; i
professionisti, quelli attrezzati si confrontano, paragonano performance e
valutazioni e ci accusano ( se va bene) di un eccesso di arbitrarietà ( e un
po’, è vero… non di originalità o di personalizzazione, di arbitrarietà, che è
tutta un’altra cosa…) il professionista è ormai abituato a render conto del
proprio lavoro in base a strumenti condivisi e leggibili e non sopporta più la
reticenza che purtroppo si annida ancora nel mondo della scuola.
È davvero un sistema che non regge più.
Giuseppe Bertagna, da tempo dall’Università di Bergamo urla le sue
soluzioni: valorizzare, ma soprattutto studiare il quadro comune europeo sulle
competenze, categoria a cui la scuola superiore non vuole piegarsi (si pensi
alla compilazione della certificazione di competenze al termine dell’obbligo e
al curriculum dello studente in sede di esame di Stato), Giorgio Vittadini insiste
ma a noi, donne e uomini di scuola non interessa, noi vogliamo le conoscenze.
Non fa nulla se si tratta di conoscenze non sempre significative ormai,
esse rappresentano la tavolozza essenziale per il docente, di lì non ci si
schioda.
Eppure, cupi segnali ci stanno dicendo che l’impianto è obsoleto. Un
aneddoto, anzi due: il primo brevissimo, all’esame di Stato sempre più studenti
dichiarano di non saper scrivere in corsivo, non i disgrafici… i pigri!
Il secondo, altrettanto gustoso: Teatro alla Scala, studenti liceali,
spettatori nei palchi, hanno preferito seguire sul display il testo nel basic
English per turisti perché il testo dell’antico librettista era troppo
difficile… E noi ancora discettiamo dell’irrinunciabilità di certi autori,
della necessità del tradizionale canone letterario.
Sulle difficoltà nella didattica della matematica e delle lingue straniere
abbiamo già accennato ma è aperto il dibattito, in particolare per le lingue
straniere le aziende segnalano un impegno eccessivo nel training iniziale dei
nostri tecnici rispetto ai coetanei di altre nazioni, ma noi non vogliamo una
scuola funzionale al mercato e quindi, per esempio, continuiamo a proporre
molta letteratura in lingua a ragazzi che non leggono nemmeno in lingua madre…
Per concludere: dei metodi di arruolamento dei nuovi insegnanti si è già
detto molto anche su questo giornale, si è già ampiamente sottolineato come la
scuola abbia bisogno di professionisti, non di apprendisti, e i professionisti
vanno cercati con metodi efficaci e possibilmente retribuiti in maniera
dignitosa.
Ripensamento dell’organizzazione dell’anno scolastico con un investimento
significativo sul periodo estivo (almeno fino al 10 luglio e dal 20 agosto) con
una evidente revisione dei contratti di lavoro.
Stanno arrivando in questi giorni molti finanziamenti dai fondi del Pnrr
per progetti antidispersione, ma solo ad alcune scuole e i criteri di
attribuzione non sono chiarissimi… altre polemiche… altre guerre fra povere
scuole!
Ancora, c’è bisogno di un impegno serio in termini di revisione dei
curricula, distinguendo seriamente fra essenziali e opzionali e una formazione
altrettanto seria su metodi e criteri valutativi, distinguendo fra dimensione
certificativa (necessariamente standardizzata) e formativa.
I ragazzi per strada o peggio ancora, soli davanti allo schermo, non
possono più stare, molti genitori non ci sopportano più, l’università
sottolinea l’inadeguatezza della preparazione e il mondo produttivo anche.
Ovviamente abbiamo esperienze che andrebbero diffuse e replicate da
guardare con straordinaria stima, si pensi all’esperienza di Portofranco o
simili che riparano centinaia di ragazzi ogni anno, ma il sistema può essere
riparato anch’esso.
Il rischio (anche legato alle potenzialità del Pnrr) è di enormi
investimenti non finalizzati, la perdita di un patrimonio di tradizione ricchissimo
che stenta a rinnovarsi e soprattutto la dispersione di tanti ragazzi dalle
tante fragilità.
È urgente quasi quanto la questione ambientale, forse di più.
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