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sabato 9 luglio 2022

AUMENTO DEI PREZZI E GUERRA


La guerra 

e il prezzo della pasta

         

                                                                                                                                                                              - di Giuseppe Savagnone*

Assistiamo in queste settimane – e non solo nel nostro Paese – a un aumento incontrollato dei prezzi dei generi alimentari, i più necessari alla pura e semplice sopravvivenza fisica, di cui anche i poveri non possono fare a meno, per quanto frugalmente vivano. I dati Istat hanno messo in luce la crescita del prezzo del pane e della pasta: il primo è aumentato del 5,8% mentre il secondo del 13%.

La motivazione spesso ripetuta è la guerra d’Ucraina, che avrebbe ridotto le quantità di prodotti agricoli sul mercato e quindi determinato uno squilibrio tra la domanda e l’offerta. In realtà le cose non sembrano stare esattamente così. A far riflettere è il fatto che – come faceva notare, in una intervista, il ministro delle politiche agricole Patuanelli – il grano venduto adesso sul mercato è quello raccolto l’anno scorso, quando ancora non c’erano le restrizioni di esportazione dall’Ucraina.

Ma ancora più sorprendente è il balzo del prezzo di un genere alimentare come la pasta, piatto fondamentale per molti italiani, perché la si fa col grano duro, che noi non abbiamo mai importato né dall’Ucraina né dalla Russia. Senza dire che anche le importazioni da questi due Paesi di grano tenero, usato per pane, pizze e dolci, copre la percentuale di appena il 3% del fabbisogno nazionale.

Che i problemi esistano oggettivamente non c’è dubbio. È il loro modo di ripercuotersi sui mercati che lascia molto perplessi. Il dubbio inevitabile è che la speculazione approfitti di eventi come quello della guerra per anticipare a proprio vantaggio i loro effetti negativi sull’andamento dei prezzi.

Fu davvero effetto del Covid?

È già avvenuto con la diffusione del Covid. Anche allora, a livello mondiale, i prezzi dei prodotti agricoli ebbero una impennata che fu attribuita alle conseguenze della pandemia. Ma, nell’agosto 2021, riferendosi a questa diffusa spiegazione, uno storico dei fenomeni economici, Alessandro Volpi, docente all’Università di Pisa, faceva presente che l’aumento dei prezzi agricoli era piuttosto legato alla decisione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di puntare in futuro, per sostituire gradualmente la benzina, sui biocarburanti, biodiesel e bioetanolo, ricavati da fonti vegetali.

In seguito alla speculazione seguita a questa decisione, il prezzo del mais è cresciuto, dal settembre 2020 al giugno 2021, del 60%; quello del grano tenero del 37%; quello dell’olio di palma del 53%; quello dello zucchero del 44%; quello della soia addirittura dell’80%.

«Il dato paradossale», osservava lo studioso, davanti a questi dati impressionanti da lui riportati, «è che la domanda “reale” di tali beni è rimasta pressoché inalterata (…) e i prezzi sono schizzati in alto per le scommesse al rialzo. Le conseguenze di ciò sono pessime perché generano un’inflazione drogata e, soprattutto, mettono in ginocchio i Paesi, in genere poveri, importatori di tali beni che dovranno pagarli a prezzi ben più alti del reale».

 

Siamo davanti a considerazioni che possono applicarsi all’attuale aumento di prezzo di molti prodotti nei nostri supermercati. E che appaiono particolarmente appropriate, adesso, di fronte allo sfruttamento capitalistico della nuova catastrofe della guerra: «Dire che la speculazione affama gran parte del Pianeta», affermava allora Volpi, «non è un’eresia. E sostenere che fenomeni come questi abbiano a che fare con il mercato, il cui compito consiste nello scambiare e valorizzare, è una follia». Possiamo far nostre queste affermazioni nel nuovo contesto determinato dalla guerra in Ucraina.

Economia di mercato non significa capitalismo

La distinzione drastica tra speculazione capitalistica e mercato costituisce, non da ora, un nodo centrale del nostro attuale sistema economico. Nella sua enciclica Centesimus annus, scritta nel 1991 all’indomani del crollo del muro di Berlino, Giovanni Paolo II si chiedeva: «Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?»

E rispondeva: «Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia d’impresa”, o di “economia di mercato”, o semplicemente di “economia libera”.

Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa».

Infine, il pontefice concludeva: «La soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento (…). Il crollo del sistema comunista in tanti Paesi elimina certo un ostacolo nell’affrontare in modo adeguato e realistico questi problemi, ma non basta a risolverli. C’è anzi il rischio che si diffonda un’ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in considerazione, ritenendo a priori condannato all’insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato» (Centesimus annus, n.42).

Spesso si è accusato papa Francesco di essere “comunista” per le sue critiche al primato capitalista della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica (cfr. l’enciclica Laudato si’, n.189). Questa eloquente pagina del suo predecessore – unanimemente considerato uno degli artefici del crollo del comunismo – evidenzia che il rifiuto del sistema capitalistico fa parte della dottrina sociale della Chiesa e non si riduce alle pretese posizioni ideologiche di questo o quel papa.

 

Per una economia sociale

La crisi attuale ha sicuramente delle basi reali nelle vicende prima della pandemia, poi della guerra, due flagelli che da tempi antichissimi l’umanità ha imparato a temere e che – pur non costituendo una reale novità (altrove c’erano anche prima) – si sono inaspettatamente ripresentati in questi ultimi tre anni alla coscienza del mondo occidentale in tutta la loro drammaticità.

Ma questa crisi mette anche alla prova un mondo che, con la globalizzazione, aveva impostato sulle logiche del capitalismo la sua unificazione e che ora ricorre ad esse per fronteggiare la nuova situazione che si è creata. Ad essere direttamente interpellate sono le nazioni più avanzate sia dal punto di vista democratico che da quello finanziario ed economico. Esse si stanno giustamente battendo contro un regime totalitario che pretende di imporsi con la forza su un popolo libero. Le conseguenze di questa guerra sull’economia mondiale sono innegabili.

Ma non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che esse rischiano di essere gestite secondo logiche che favoriscono l’arricchimento indiscriminato di alcuni a danno della maggior parte della popolazione e soprattutto dei più poveri. Sia per quanto riguarda il nostro Paese, sia a livello planetario, bisogna smascherare queste logiche.

In prospettiva, il vero problema è di operare una seria revisione del meccanismo economico strutturale, trovando alternative serie alla sua versione capitalistica e al dominio della finanza. Ci sono economisti di valore – penso a Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Leonardo Becchetti – che lavorano da anni all’elaborazione di una “economia sociale” basata sul mercato ma libera dal dominio indiscriminato del profitto.

Sulla scorta di questi studi, ultimamente il Vaticano si è fatto promotore della importante iniziativa “Economy of Francesco”, per cui è previsto un incontro ad Assisi, con la presenza del papa, dal 22 al 24 settembre prossimi. Ma intanto bisogna fare qualcosa per fermare l’attuale deriva. In Italia esiste un Garante per la sorveglianza dei prezzi, detto anche “Mister Prezzi ”, che ha funzione di controllo e verifica, su segnalazione dei cittadini, per arginare i fenomeni speculativi. Forse è il momento di aprire gli occhi su quello che sta accadendo.

 * Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu.

Scrittore ed Editorialista.

 www.tuttavia.eu

 

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