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giovedì 30 giugno 2022

ANSIE E DEPRESSIONE . EMERGENZA GIOVANI

La principale figura di medicina pubblica ha parlato di una «devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti»

La pandemia ha fatto da detonatore, ma le cause del crescente malessere sono precedenti: pubertà precoce, eccessiva esposizione ai social, solitudine, poco sonno

Secondo l’agenzia federale Usa per la  prevenzione delle malattie, i suicidi di ragazzi tra i 10 e i 24 anni, rimasti stabili per decenni, sono aumentati del 60% fra il 2007 e il 2018 Il 40% degli under 24 dice di essere solo “molto spesso”  o “quasi sempre”. Per gli over 74, questa stessa percentuale scende al 27

 

-                   di  ELENA  MOLINARI

Elizabeth Allen rivive spesso quella serata. Era rientrata da una passeggiata e aveva trovato il marito steso sul divano, lo sguardo al soffitto. Aveva pensato a un malore della suocera, ma non aveva sentito alcuna urgenza nel tono con cui le aveva detto: «È successa una cosa terribile». La figlia di una loro carissima amica si era tolta la vita. La 14enne da un anno si era isolata, aveva perso interesse in tutto. La madre era preoccupata, ma la seguiva, le parlava, le stava vicino. Non era bastato. Elizabeth aveva subito visto negli occhi lucidi del marito che al dolore per l’amica – che non aveva che quell’unica bambina – si mescolava un terrore più personale. Anche la loro primogenita da mesi soffriva di depressione, alternata ad attacchi di panico che li avevano fatti accorrere due volte a scuola e una volta al pronto soccorso. La 17enne vedeva regolarmente una psicologa e questa aveva consigliato di parlare al loro medico di medicinali ansiolitici. Sono seguiti tre mesi che Elizabeth ricorda come un tunnel di brutte notizie: «Ho cominciato a fare più attenzione ai giovanissimi attorno a me, o forse il fatto di parlare più apertamente delle nostre difficoltà ha fatto venire a galla le esperienze altrui. E ho scoperto la portata della sofferenza che mi circonda ». In poco tempo la 50enne del Colorado ha contato una dozzina di adolescenti molto vicini alla sua famiglia che erano finiti all’ospedale – per qualche ora o qualche giorno –per crisi d’ansia o depressione, autolesionismo, tentato suicidio, psicosi, anoressia, tic improvvisi e violenti. L e visite al pronto soccorso e i ricoveri non avevano però risolto i problemi. In alcuni casi avevano costretto la famiglia a cercare risorse per affrontare l’emergenza. In altri, quando le risorse a disposizione sembravano esaurite, avevano messo di fronte i genitori a un’amara impotenza: i loro figli non stavano bene e non sapevano che cosa fare per aiutarli. Lo scorso dicembre, il “chirurgo generale” degli Stati Uniti, la principale figura di salute pubblica nel Paese, ha diffuso un rarissimo avviso al pubblico, dichiarando l’esistenza di una «devastante crisi di salute mentale tra gli adolescenti americani». Molti medici se l’aspettavano: la pandemia aveva tolto a milioni di ragazzini, per due anni – un’eternità per un giovanissimo – almeno uno, spesso tutti e tre i pilastri di uno sviluppo sano: esercizio fisico, dialogo quotidiano e in persona con i coetanei, sonno regolare e abbondante, quest’ultimo rimpiazzato da sessioni interminabili davanti agli schermi e dalla persistente, angosciante incertezza. 

Ma le proporzioni dell’emergenza e un’analisi più approfondita dei suoi contorni hanno portato a concludere che i lockdown hanno solo esacerbato una vulnerabilità latente da una decina d’anni. Già nel 2019, infatti, l’American Academy of Pediatrics osservava che «i disturbi della salute mentale hanno superato le condizioni fisiche » come i problemi più comuni che causano «menomazione e limitazione» tra gli adolescenti. 

E secondo l’agenzia federale Usa per la prevenzione delle malattie, i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), i suicidi tra i 10 e i 24 anni, rimasti stabili per decenni, sono aumentati del 60% fra il 2007 e il 2018. «Negli ultimi vent’anni, i principali rischi per la salute che gli adolescenti statunitensi affrontano sono cambiati: il consumo di alcol, sigarette e droghe è diminuito mentre l’ansia, la depressione, il suicidio e l’autolesionismo sono aumentati vertiginosamente », spiega Severiano San Juan, pediatra del New Jersey dal 1999. Il medico, insieme ad alcuni colleghi, ha di recente fatto una ricerca nei suoi archivi e calcolato che fino a 15 anni fa al massimo il 2 per cento dei pazienti si rivolgeva a lui per problemi mentali. Ora lo fa la metà. 

Gli adolescenti lo sanno e lo dicono senza timidezza: la nostra generazione non è serena, non è spensierata, siamo più turbati di voi  adulti alla nostra età. Sanno di aver bisogno di aiuto e sanno quanto è difficile trovarne. Non ci sono servizi di salute mentale pubblici negli Stati Uniti. Andare dallo psicologo costa, molto. E anche i genitori abbastanza privilegiati da potersi permettere un ciclo di terapia devono aspettare in media due mesi per trovare un posto libero. Gli altri stringono forte i loro figli e sperano in bene. I centri di ricerca, intanto, si interrogano sulle cause, per poter invertire la spirale del dolore. Parlano della pandemia, naturalmente. E, ovviamente, delle reti sociali, anche se il loro ruolo non è del tutto chiaro. Si sa che espongono cervelli assetati di accettazione sociale a un diluvio senza precedenti di stimoli e di modelli di confronto, spesso privi di contesto e di elementi “reali” che rendano più facile interpretarli, catalogarli, disinnescarli. «Vediamo più cose di quante ne vedevate voi, e più complicate da elaborare, e sempre, senza sosta. Davanti a noi ci sono sempre immagini, parole, idee, giudizi, comportamenti da imitare o da respingere. A volte mi sembra di impazzire», dice Clara, 17 anni, di New York. Il 95% degli adolescenti Usa ha uno smartphone e la metà dice di essere online “costantemente”. 

J ulia Potter, direttore del Centro per la salute degli adolescenti del Boston Medical Center, punta il dito anche verso un’altra possibile causa, citata da molti studi: «La pubertà oggi inizia molto prima, in pochi decenni si è abbassata dai 16 ai 12 anni. La curiosità naturale dello sviluppo apre i ragazzi a una valanga di informazioni quando non hanno ancora la maturità per gestirle, perché la corteccia frontale si sviluppa tardi». Poi c’è il sonno. In generale, gli adolescenti oggi dormono meno. Sempre secondo i Cdc, solo un quarto degli studenti delle superiori dorme otto ore a notte, in calo rispetto al 31,1% del 2007 e al 35% del 1997. E infine la crescente solitudine. Qui è facile trovare il legame con i videogiochi e i social, che prendono il posto della compagnia al parco o della squadra di calcetto. Si parla spesso della solitudine degli anziani, un problema serio e reale. Negli Stati Uniti il 40 per cento degli under 24 dice di essere solo “molto spesso” o “quasi sempre”. Per gli over 74, la percentuale scende al 27. 

La generazione collegata a tutti gli angoli della Terra a tutte le ore del giorno e della notte è la più sola di sempre. Elizabeth non si era accorta che l’ansia di sua figlia faceva parte di un’emergenza nazionale. Scoprirlo prima ha acuito il suo senso di impotenza, quindi ha scatenato l’istinto a fare di tutto per alleggerire un po’ il fardello sulle spallucce dei suoi ragazzi. Ho cercato di riversarmi dentro mia figlia, di essere con lei in ogni istante, di portare il suo peso per lei. Poi ho capito che non posso e, in effetti, non devo. Allora ho fatto un passo indietro e cercato di ascoltare di più». È stata sua figlia a darle, se non una soluzione, una pista da seguire. «Un giorno, vedendomi angosciata, mi ha urlato, arrabbiata, che lei non è la sua ansia. Che soffre, ma che non posso vivere come se la malattia mentale avesse preso il suo posto. È la realtà con cui lei, e molti suoi coetanei, devono vivere, ma non li definisce. È la loro sfida. Ma non sono una generazione perduta».

 www.avvenire.it

 

 

SCUOLA. NESSUNO E' STRANIERO !

 

NELLA SCUOLA I BAMBINI 

NON SONO STRANIERI.

La possibilità di futuro e di sviluppo di un Paese è legata alla cura dell’intelligenza e del cuore dei bambini e dei giovani che frequentano la scuola. 

Il futuro di una democrazia che non sia ‘stanca’, ma sostanziale, è legato alla possibilità di esercitare competenze di cittadinanza attiva e creativa a cominciare dai bambini e dai giovani. 

Nella scuola italiana non esistono ‘stranieri’, ma solo bambine e bambini, ragazze e giovani, con i loro talenti che dobbiamo far fiorire. 

Questo è testimoniato dai nostri docenti e dirigenti, impegnati non ad escludere, ma ad includere, senza aspettare che ci sia una legge ad obbligarli, ma creando le condizioni perché una legge ci sia.

Se nella scuola nessuno è straniero, perché così non è nel Paese?

Dobbiamo poter contare sull’intelligenza, il talento, la passione civile di tutti; dobbiamo temere la frustrazione e la rabbia degli esclusi.

Italo Fiorin


PELLEGRINI DI SPERANZA

 

Il Giubileo 2025 per costruire un mondo migliore

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, interviene alla presentazione in Vaticano del logo del prossimo Anno Santo e sottolinea che le vicende più recenti invitano a tenere fisso lo sguardo sulla virtù della speranza. Monsignor Rino Fisichella: il 2023 dedicato al Concilio Vaticano II e il 2024 alla preghiera prepareranno i pellegrini

- Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Che il motto del Giubileo del 2025 - “Pellegrini di speranza” - possa diventare per il mondo un autentico contenuto da sperimentare. È l’auspicio del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin intervenuto questo pomeriggio nella Sala Regia del Palazzo Apostolico alla presentazione del logo ufficiale dell’anno santo. Il porporato evidenzia che le vicende di questi anni e di questi mesi recenti sembrano obbligare la Chiesa a tenere fisso lo sguardo sulla virtù della speranza, fondamento della vita cristiana insieme alle altre due virtù teologali - la fede e la carità -, che richiama tutti a essere responsabili costruttori di un mondo migliore. A tal proposito il cardinale segretario di Stato ricorda quanto scritto da Papa Francesco in vista dell’anno giubilare: “Dobbiamo (…) fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto”.

Il Giubileo 2025 evento di fede e di cultura

Ringraziando le autorità civili presenti, coinvolte nella responsabilità organizzativa del Giubileo, per la collaborazione offerta in varie forme in questa fase preparatoria, il cardinale Parolin evidenzia quanto necessaria e feconda sia la complementarietà per il bene di quanti si faranno pellegrini alla tomba di Pietro e Paolo per attraversare la porta santa, secondo l’antica tradizione giubilare. Per il porporato il Giubileo è una bella opportunità offerta in modo speciale alla città di Roma e all’Italia come momento qualificante per accogliere i milioni di turisti che giungeranno per vivere un evento di fede e di cultura.

Il logo e il suo significato teologico

Ad illustrare il logo del Giubileo del 2025 è monsignor Rino Fisichella. Si tratta di un'immagine con quattro figure stilizzate che indicano l’umanità proveniente dai quattro angoli della terra, l’una abbracciata all’altra, per indicare la solidarietà e la fratellanza che devono accomunare i popoli, con l’apri-fila aggrappato alla croce, segno della fede, che abbraccia anch’essa, e della speranza, che non può mai essere abbandonata. Le onde sottostanti sono mosse per indicare che il pellegrinaggio della vita non sempre si muove in acque tranquille. E per invitare alla speranza nelle vicende personali e quando gli eventi del mondo lo impongono con maggiore intensità, la parte inferiore della Croce si prolunga trasformandosi in un’ancora - metafora della speranza -, che si impone sul moto ondoso. Non è casuale la scelta cromatica per i personaggi: il rosso è l’amore, l’azione e la condivisione; il giallo/arancio è il colore del calore umano; il verde evoca la pace e l’equilibrio; l’azzurro/blu richiama la sicurezza e la protezione. Il nero/grigio della Croce/Ancora, rappresenta invece l’autorevolezza e l’aspetto interiore. L’intera raffigurazione mostra anche quanto il cammino del pellegrino non sia un fatto individuale, ma comunitario e dinamico che tende verso la Croce, anch’essa dinamica, nel suo curvarsi verso l’umanità come per andarle incontro e non lasciarla sola, ma offrendo la certezza della presenza e la sicurezza della speranza. Completa la raffigurazione, in verde, il motto del Giubileo 2025, Peregrinantes in Spem. Il logo, aggiunge monsignor Fisichella rappresenta “una bussola da seguire e un comune denominatore espressivo capace di permeare in modo trasversale tutti gli elementi che orbitano intorno alla celebrazione dell’evento Giubilare” ed esprime l’identità e il tema spirituale peculiare, racchiudendo il senso teologico intorno al quale si sviluppa e si realizza il Giubileo.

Il Concorso internazionale

L’immagine che identifica il Giubileo 2025 è frutto di un Concorso Internazionale, spiega ancora monsignor Rino Fisichella, al quale hanno partecipato studenti, studi grafici, istituti religiosi, professionisti e studiosi di arte che si sono dovuti confrontare con il tema del pellegrinaggio e della speranza. Sono giunte 294 proposte da 213 città e da 48 Paesi diversi. La fascia di età dei partecipanti è stata dai 6 agli 83 anni. Una Commissione ha valutato i lavori presentati secondo tre criteri: pastorale, perché il messaggio del Giubileo fosse facilmente intuibile; tecnico-grafico, che garantisse una buona fattura grafica per la riproducibilità; estetico, perché il disegno fosse ben fatto e accattivante. Quindi sono stati sottoposti al Papa tre progetti finali perché scegliesse quello che maggiormente lo colpiva. “La scelta non è stata facile neppure per lui - racconta il presule - dopo avere più volte osservato i progetti ed espresso il suo compiacimento, la scelta è caduta sulla proposta di Giacomo Travisani”.

L’ideatore

“Ho immaginato gente di ogni ‘colore’, nazionalità e cultura, spingersi dai quattro angoli della Terra e muoversi in rotta verso il futuro, gli altri, il mondo - dice emozionato Giacomo Trevisani -, come vele di una grande nave comune, spiegate grazie al vento della Speranza che è la croce di Cristo e Cristo stesso”. Nel “personificare” la Speranza ha pensato subito alla Croce: “La Speranza, mi sono detto, è nella Croce”. Quindi ha “immaginato il Papa, Pietro di oggi, guidare il popolo di Dio verso la mèta comune, abbracciando la Croce, che diviene un’ancora, quale saldo riferimento per l’umanità”, mentre il popolo si stringe a lui e anche a quell’ancora cui si stringono i pellegrini di ogni tempo. “Siamo ‘Pellegrini di Speranza” perché portiamo con noi le paure del prossimo nel desiderio di condividerle e farle nostre - conclude l’autore del logo del Giubileo del 2025 richiamando infine il motto - questo indicano le figure che si stringono tra loro guardando alla Croce come un’ancora di salvezza”.

I due anni di preparazione al Giubileo

Papa Francesco ha chiesto che i due anni precedenti il Giubileo siano focalizzati su due tematiche particolari. E così il 2023 sarà dedicato alla rivisitazione dei temi fondamentali delle quattro Costituzioni del Concilio Vaticano II di cui il prossimo 11 ottobre si celebrerà il 60° anniversario di apertura, “perché la Chiesa possa respirare di nuovo" quel "profondo e attuale insegnamento" che ha prodotto, precisa monsignor Fisichella. Sono in preparazione, a tal proposito, una serie di sussidi agili, “scritti con un linguaggio accattivante” per permettere a quanti non ne hanno memoria di incuriosirsi e di scoprirne “l’anelito innovatore che ha permesso alla Chiesa di entrare con consapevolezza nel terzo millennio della sua storia”. Il 2024, invece, sarà un anno dedicato alla preghiera. L’idea è quella di creare un contesto favorevole al Giubileo e di permettere ai pellegrini di prepararsi.

La tecnologia a servizio dell’anno santo

Per l’anno santo 2025 ci si avvarrà anche delle conquiste della scienza e della tecnica. “Si dovrà consentire a milioni di utenti di diventare pellegrini anche attraverso il digitale e muoversi per i cammini cogliendo la bellezza e la sacralità del momento” chiarisce monsignor Fisichella. Per questo motivo si vuole dar vita ad un flusso di notizie che mentre consente di fare memoria di secoli di storia, obbliga anche a rimanere radicati al presente. Dopo l’estate sarà disponibile il sito ufficiale del Giubileo con la relativa app, due strumenti per aiutare a vivere al meglio gli eventi proposti, facilitando l’esperienza spirituale e culturale della città di Roma. Il portale conterrà, dunque, oltre all’importante Carta del Pellegrino, notizie, cenni storici, informazioni pratiche, servizi e strumenti multimediali, in dieci lingue e con un alto livello di accessibilità per le persone disabili.

Gli eventi

Infine, monsignor Fichella illustra, secondo un primo schema, l’elenco dei Grandi eventi pensati per: famiglie, bambini, giovani, movimenti e associazioni, anziani, nonni, disabili, sport, malati e sanitari, università, mondo del lavoro, cori e corali, confraternite, sacerdoti, persone consacrate, cattolici orientali, catechisti, poveri, carcerati. Ma il calendario completo sarà pronto entro l’anno.

Vatican News

 

 

mercoledì 29 giugno 2022

ASCOLTARE I RAGAZZI


MONTESSORI 

SCAUTISMO


-         - di  Isa Samà*

-          

Sono tornata ieri dal primo modulo de “Il colloquio maieutico”, edizione 2022, a Milano. Daniele Novara ed Emanuela Cusimano ci hanno buttato nell’acqua non appena arrivati: ci siamo cimentati nella pratica del colloquio, sapendo poco e niente. Eppure, alla fine abbiamo imparato che attraverso il colloquio:  

a)     dobbiamo suscitare un cambiamento del punto di vista sulla situazione, le persone coinvolte, se stessi;

b)     dobbiamo servire il "cliente", senza sostituirci a questi, per renderlo veramente protagonista del suo percorso di crescita.

Questi due apprendimenti mi sono balzati agli occhi mentre preparavo gli schemi per questo articolo. In fondo, e vi spiegherò perché e per come, quello che sto sperimentando e proponendo è un cambio di sguardo su due mondi educativi che amo molto (lo scautismo e la maieutica) e un’ipotesi di commistione. Cosa accadrebbe se mettessimo insieme l’uno e l’altro, andando a potenziare l’autoeducazione scout con l’applicazione della domanda maieutica?

Parto da lontano, dal titolo che avrei suggerito per questo pezzo: “Metti una Scout nel CPP…” Perché è quello che sono: scout dall’età di otto anni, capo scout, capo impiegata in vari servizi associativi, scout… per sempre[1]. Come guarda una scout la proposta del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti?

Con sorpresa. La sorpresa delle assonanze, del ritrovare principi e metodologie affini a quelle dello scautismo, nominate magari in forma diversa. La mia sorpresa è aumentata con la scoperta di Maria Montessori e del suo lascito. Fino ad allora, non me ne ero interessata. In fondo lo scautismo è un’attività extrascolastica e non formale. Ma soprattutto lo scautismo per me era l’assoluto: il sole attorno a cui gli altri pianeti girano. Sapere che siamo tutti Montessoriani è stato illuminante.

Eppure, proprio ascoltando i discorsi attorno alla Montessori, è scattato il mio tasto dolente, che proprio alla Scuola di Counseling impariamo a riconoscere. Quello in questione è acquisizione di due giorni fa: di fronte alle ingiustizie io scatto. E per questo motivo, al termine del primo corso “So-stare nel conflitto” a gennaio 2022 a Piacenza, non mi sono trattenuta e ho domandato a Daniele Novara: “Perché tra i contemporanei e, in misura diversa, influencer di Montessori non viene citato Baden-Powell, il fondatore dello scautismo?”.

Daniele mi ha spiegato: “Conosco il metodo, ma non sono un esperto; per questo non ne ho parlato finora. Inoltre, mi sono concentrato sullo scenario italiano”, ha aggiunto donandomi “Ognuno cresce solo se sognato”, l’antologia di scritti di pedagogia attiva che ha curato nel 2019 con Laura Beltrami, per La Meridiana edizioni. Poi, mi ha assegnato un compito: scriverne su “Conflitti”. Ha fatto con me adulta quello che fa con i bambini: farli lavorare su una “domanda guida”. Questo ha innescato in me un’esperienza potente: ho rovistato su internet, consultato in biblioteca, recuperato libri, rivolta a chi ne sapeva più di me, confrontata con i miei familiari (scout). Ho così scoperto i miei limiti, la mia rocca/roccia, i punti di vista differenti, in un gioco di specchi che potrebbe andare avanti all’infinito.

I saggi che mettono a confronto B.-P. e lo scautismo con altre pietre miliare della storia della pedagogia si contano sulle dita di una mano. Di solito, i fautori sono studiosi di origine scout, che dedicano un capitolo oppure un libro all’argomento.

Per esempio, l’unico contributo specifico ed accurato del rapporto tra B.-P. e Maria Montessori (ambito su cui mi sono concentrata parecchio) mi risulta essere quello fornito da Paola Dal Toso, docente di Storia della Pedagogia all’Università di Verona ed una delle massime esperte in Storia e pedagogia dello Scautismo italiano. Dal Toso scrive l’articolo “Maria Montessori: quale rapporto con la proposta educativa scout?” per il numero 4 di MoMo (Mondo Montessori), dicembre 2015.

L’articolo si basa sulla ricognizione degli scritti dei due autori, alla ricerca di citazioni reciproche. Da ciò emerge che B.-P. aveva studiato, tra gli altri, il metodo Montessori e ne aveva preso ispirazione. Nel 1914, in “Headquarters Gazette”[2], afferma:

“Il segreto del metodo Montessori è che l’insegnante si limita ad organizzare il lavoro, a suggerire lo scopo cui ambire, e il bambino ha piena libertà nel cercare di conseguirlo. La libertà senza uno scopo organizzato significherebbe il caos. È per questo motivo, senza dubbio, che lo scautismo è stato definito la continuazione del sistema Montessori con i ragazzi[3]. Il capo reparto accende l’ambizione nel ragazzo, lasciandolo libero di raggiungere l’obiettivo a modo suo; non gli dà istruzioni, e invece lo conduce ad imparare da sé. In questo modo, compiendo con successo un passo dopo l’altro, il ragazzo acquista la calma della sicurezza e della fiducia in se stesso e l’esultanza della libertà e del trionfo”.

E due anni più tardi, sempre sulla stessa rivista, aggiunge:

“la Montessori ha dimostrato che incoraggiando il bambino nei suoi desideri naturali, anziché istruirlo in ciò che l’adulto pensa che egli dovrebbe fare, lo si può educare su una base assai più solida ed ampia. È solo per tradizione e per consuetudine che si è disposto che l’educazione debba essere una fatica, e che in quanto tale sia per il bambino un buon addestramento alla disciplina e all’applicazione.

Uno degli obiettivi originari dello scautismo è stato di rompere con questa tradizione e di mostrare che dando ai ragazzi attività interessanti essi potevano esser condotti ad acquisire da sé gli elementi fondamentali del carattere, della salute e dell’abilità manuale”.

Nel 1919 Maria Montessori, interrogata su come il suo sistema potesse essere applicato ai bambini usciti dalla prima infanzia, risponde: “In Inghilterra avete gli scouts, e la loro formazione è la naturale continuazione di quella che io do ai bambini. È l’orientamento che un giorno assumerà la scuola quando verrà ad avere un’impostazione corretta[4].

Vi invito a leggere per intero l’articolo della Dal Toso, rinvenibile online[5], perché illustra in maniera esaustiva come B.-P. ha modo di conoscere il metodo Montessori, qual è il rapporto tra le due proposte educative ed infine tra la grande pedagogista e lo scautismo.

Conclude Dal Toso: “Tra Baden-Powell e la Montessori esiste una stima reciproca. Alla luce dei cenni che si possono rintracciare negli scritti di Baden-Powell, emerge una concezione dell’educazione, soprattutto per quanto riguarda l’autonomia dell’educando, condivisa con la Montessori, che a sua volta afferma la validità dell’educazione scout offrendo un’interessante lettura in riferimento a vari aspetti in alcuni passi dei suoi libri”.

E allora perché questa sinergia non è stata approfondita a livello scientifico? Conversando con Paola Dal Toso, mi sono fatta l’idea che lo scautismo sconti una serie di bias. Il primo è legato alla percezione esterna del suo fondatore, che nella sua “prima vita” era stato generale dell’impero coloniale inglese. Sottolineo gli aggettivi “militare” e “coloniale”: delineano due campi semantici su cui si innesta un rifiuto di pancia da parte dei promotori dell’educazione alla pace, se non si prende in considerare l’evoluzione di Baden-Powell e l’impronta di pace dello scautismo, in quanto fraternità mondiale (e non solo).

Il secondo bias è legato alla natura dello scautismo: non si tratta di un sistema teorico, bensì pratico; in più è divulgato attraverso un linguaggio semplice, diretto, aneddotico, colloquiale. Gli mancano i requisiti di astrazione e linguaggio “alto” che lo fanno accedere all’ambiente accademico.

Il terzo bias è legato alla sua fecondità scientifica. Lo scautismo potrebbe offrire spunti, riflessioni, testimonianze, sguardi inediti, nel momento in cui ci fosse documentazione, ricerca, capitalizzazione. Ma questo lavoro non viene svolto per mancanza di risorse (tempo e denaro) e per mancanza di visione (lo sviluppo del metodo). È d’altra parte un limite della gran parte delle Organizzazioni di Volontariato: ci si concentra sull’operatività, sul qui ed ora e si sacrifica la dimensione del racconto, della memoria, dello studio e della divulgazione.

A mio parere, pregiudizio, elitarismo e mancanze strutturali a livello organizzativo hanno alimentato l’assenza di Baden-Powell e dello scautismo dal dibattito pedagogico universitario, seppure la proposta educativa scout riscontri, da oltre cento anni, un successo in termini di adesioni, diffusione e risultati. Solo nel 2021, si annoveravano 67 milioni di censiti in tutto il mondo, senza contare coloro i quali avevano pronunciato nella loro vita la promessa scout e, pur non prestando servizio nel movimento, sono cittadini attivi in vari ambiti della sfera sociale, politica, economica[6]. Dal 1907 ad oggi, sono 400 milioni le persone che hanno fatto la promessa scout.

Cosa implicherebbe considerare il metodo scout nella riflessione e nella pratica pedagogica? È una storia ancora da scrivere, perché è di là dal venire. Tuttavia, credo nelle sue potenzialità, perché l’incontro tra diversi punti di vista è generativo di conoscenza ed inoltre di azioni di sistema.

A titolo d’esempio, io sono particolarmente affascinata dall’ipotesi di applicare la domanda maieutica nella relazione capo-ragazzo. D’altra parte, una delle esortazioni maggiori di B.-P. era “Ask the boy”, Chiedi al ragazzo.

Nel 1922, su Headquarters Gazette[7], scriveva:

“quando siete incerti circa il modo migliore per trattare col ragazzo ai fini della sua formazione, risparmierete tempo, preoccupazioni, pensieri e vista se, invece di studiare trattati di psicologia, consulterete la migliore autorità sull’argomento, ossia lo stesso ragazzo[8].

Ciò è talmente vero che a mio avviso l’intero sistema educativo è sbagliato finché non si uniforma a tale principio. Se si esaminano da vicino i sistemi educativi che oggi vengono riconosciuti come i migliori – ad esempio il sistema di Froebel o della Montessori per l’età prescolastica, quello di Dalton per l’età scolastica, e gli scouts e le guide per tutte le età – si scopre che, ad onta della terminologia scientifica in cui alcuni di essi sono esposti, essi non sono che il risultato di una consultazione del ragazzo mirante a scoprire ciò che lo interessa, anziché consultare il pedagogo e sentire ciò che egli considera giusto per il ragazzo”.

Penso che introdurre la domanda maieutica nello scautismo possa avvicinare molto di più i capi all’intenzione originaria dello scautismo (il giovane come protagonista della propria vita) e possa al contempo alleggerire il loro servizio e liberare il loro tempo da elucubrazioni fuorvianti.

Bio

* Isabella Samà. Comunicatrice esperta di Terzo settore. Educatrice e formatrice di stampo scout.

https://it.linkedin.com/in/isabellasama

isabella.sama@gmail.com

Bibliografia:

Baden-Powell, Il libro dei capi. Edizioni Fiordaliso, 2006

Baden-Powell, Taccuino. Scritti sullo scautismo 1907/1940, Edizioni Fiordaliso, 2009

Maria Montessori, La mente del bambino, Garzanti, 1952

Maria Montessori, Dall’infanzia all’adolescenza, Garzanti, 1994

Paola Dal Toso, “Maria Montessori: quale rapporto con la proposta educativa scout?”, MoMo n. 4, 2015

Paola Dal Toso, “La relazione capo-ragazzo negli scritti di Baden-Powell”, CQIA RIVISTA, 2013

Paola Dal Toso e Maria Cristina Bertini (a cura di), “Ambasciatori di pace: oltre la guerra negli scritti di Baden-Powell”, Centro Documentazione AGESCI, 2002

Paola Dal Toso, “Biografia di Baden-Powell", in AA.VV., "Idee e pensieri sull’educazione Una rilettura di Baden-Powell", Fiordaliso, Roma, 2007

Fred Kelpin, “Dr. Maria Montessori and Lord Baden-Powell of Gilwell, two pedagogues”, lecture at the 21st International Montessori Congress of the Association Montessori International, 24-27 July 1991, Japan

Daniele Novara, “Ognuno cresce solo se sognato. Antologia essenziale della pedagogia critica”, Edizioni La Meridiana, 2019

Daniele Novara, “La grammatica dei conflitti”, Ed. Sonda, 2011

 

-         CONFLITTI

 Pubblicato sulla rivista Conflitti, n.2/2022  - www.cppp.it/conflitti

[1][1] Sono stata capo nel gruppo Roma 101 dal 1995 al 2006 e mi sono occupata di branco, reparto e noviziato/clan. Sono stata capo gruppo nel Sesto San Giovanni 1, dal 2009 al 2011. Nel frattempo, ho fatto servizio nel Settore specializzazioni come capo campo e formatrice di tecniche espressive, nella rivista Scout Avventura, nella pattuglia stampa nazionale, nell’Osservatorio giovanile dell’Agesci Lazio e nel Centro culturale Baden di Milano.

[2] Oggi in “Taccuino. Scritti sullo Scautismo”, di Baden-Powell, edizioni Nuova Fiordaliso, 1996

[3] Grassetto mio

[4] L’episodio è riportato da Baden-Powell in “Aids to Scoutmastership”, 1919 ed oggi raccolto in “Taccuino”. Il grassetto è mio.

[6] Gli scout oggi censiti sono 67 milioni (57 milioni affiliati al WOSM – World Organization of Scout Movement e 10 affiliati a WAGGGS – World Association of Girl Guides and Girl Scouts), distribuiti in oltre 150 paesi.

[7] Oggi su “Taccuino”, op. cit.

[8] Grassetto mio.

martedì 28 giugno 2022

ABORTO e DEMOCRAZIA


 Il diritto di aborto 

è al di là 

della democrazia?

 -         di Giuseppe Savagnone

        

La decisione della Corte suprema degli Stati Uniti che annulla gli effetti della famosa sentenza Roe v. Wade, con cui 50 anni fa, precisamente il 22 gennaio 1973, la stessa Corte aveva reso legittimo il ricorso all’aborto fino a quando il bambino non fosse in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno, ha suscitato una ondata di accese proteste prima di tutto in America, ma anche in tutto il mondo occidentale.

«Sentenza devastante», l’ha definita il presidente americano Biden. Secondo la speaker democratica del Congresso, Nancy Pelosi, siamo davanti a una «sentenza crudele». Di «Attacco ai diritti», ha parlato il nostro quotidiano «La Stampa». «Norme come l’Afghanistan e peggio della Polonia reazionaria» si trova scritto su «Il Manifesto». «L’America corre a marcia indietro. Cancellato il diritto all’aborto», è il titolo de «Il Riformista». «Medioevo Usa, Il diritto all’aborto abolito dai giudici», leggiamo su «Il Dubbio».

La reazione è la stessa sui giornali degli altri Paesi europei. «Avortemente, la grande régression del la Cour supreme del Etats-Unis», titola il prestigioso «Le Monde». Che cosa è accaduto? Forse non guasta ricordare un momento i fatti.

Come dicevamo, la Corte Suprema americana non ha – né mai avrebbe potuto farlo – introdotto delle norme che rendano l’aborto un reato, ma, pronunziandosi sul caso «Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization», ha confermato la recente legge dello Stato del Mississipi che proibisce l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane.

Gli Stati Uniti sono una federazione di Stati ed è del tutto plausibile che, a differenza di quanto avviene in Stati non federali, ognuno di essi regolamenti questioni di grande importanza in modi diversi da quanto fanno gli altri. Avviene già così, ad esempio, per la pena di morte, ammessa da alcuni ed assente in altri.

Che la Corte suprema abbia «abolito il diritto di aborto», come si esprimono i mass media, significa allora soltanto che ha riconosciuto il diritto dei cittadini di ogni Stato americano di decidere secondo le regole della democrazia rappresentativa, vigente negli Stati Uniti come in molti altri Paesi dell’Occidente, come regolamentare la questione della vita nascente.

Le proteste nascono, però, dall’idea di molti che – come osservava durante una recente puntata di «Otto e mezzo», la conduttrice Lilli Gruber – qui si tratti di un diritto che va al di là delle regole della democrazia. È quanto sosteneva il cardinale Ruini quando parlava di «valori non negoziabili» e includeva tra essi, all’opposto dei sostenitori del diritto all’aborto, il diritto del nascituro alla vita.

In questo caso il diritto “assoluto” non sarebbe più, come per il cardinale, quello della vita, ma quello della libertà delle donne di disporre del proprio corpo. Nessuna legge potrebbe, secondo questa visione, porre limiti al diritto di aborto, perché violerebbe questa fondamentale libertà.

 

Esseri umani e persone

Ma è proprio così? A metterlo in dubbio, per la verità, è uno degli studiosi più decisamente favorevoli alla legittimità etica e giuridica dell’aborto, Peter Singer, il quale fa presente in un suo libro che appellarsi alla libertà della donna – come faceva la sentenza nella causa Roe v. Wade – «può essere una buona politica, ma certo è cattiva filosofia. Presentare il problema dell’aborto come una questione di libertà di scelta individuale (…) significa già di per sé presupporre che il feto in realtà non conta nulla.

Chiunque pensi che un feto umano ha lo stesso diritto alla vita degli altri esseri umani non potrà mai ridurre il problema dell’aborto a una questione di libertà di scelta, più di quanto possa ridurre la schiavitù a una questione di libertà di scelta da parte degli schiavisti» (P. Singer, Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più, Milano 1996).

Peraltro, il famoso bioeticista australiano è convinto che l’aborto sia lecito e vada legalizzato. Ma perché pensa di poter dimostrare che gli embrioni/feti non hanno, come egli dice, «lo stesso diritto alla vita degli altri esseri umani». A dire il vero, anche nei confronti degli animali non umani molti – a cominciare dallo stesso Singer – hanno delle forti obiezioni nei confronti della sperimentazione indiscriminata su di loro e non accetterebbero “la libertà dei ricercatori scientifici” come un buon argomento per giustificarla.

La libertà

La libertà deve sempre fare i conti con la responsabilità verso l’altro. E di un “altro”, non soltanto di una parte dell’organismo femminile, si tratta nel caso dell’embrione e, ancora più evidentemente, del feto. Se poi questo “altro” è un essere umano – e nessuno nega che essi lo siano, in base al semplice dato del loro DNA – la questione si fa ancora più seria.

Il punto, per Singer, come per Engelhardt, per Tooley, per Regan – per tutti i più noti bioeticisti che giustificano l’aborto – , è che dobbiamo avere il coraggio di rimettere in discussione quella che spesso viene considerata una certezza indiscutibile, e cioè il valore della vita umana come tale. «Perché è moralmente sbagliato», si chiede Singer, «sopprimere una vita umana? (…). Che cosa c’è di così speciale nel fatto che una vita sia umana?».

Per questi autori se mai il valore da tutelare sono le persone. Ma, essi spiegano, “persone” si possono considerare solo gli esseri umani dotati di autocoscienza. Perciò, come dice lapidariamente un altro notissimo studioso, Engelhardt, «non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone umane» (H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica, Milano 1991).

 

 

La persona

Questi esseri sono umani, ma, non essendo persone, possono essere uccisi, o usati per esperimenti, senza violare in nulla l’etica. Lo diceva già, in un suo famoso articolo, un altro noto bioeticista, Tooley, che si chiedeva: «Quali proprietà si devono avere per essere una persona, cioè per avere un serio diritto alla vita?» La risposta dell’autore è che «un organismo possiede un serio diritto alla vita solo se possiede il concetto di sé come soggetto continuo nel tempo di esperienze e altri stati mentali, e crede di essere una tale entità continua nel tempo» (M. Tooley , Aborto e infanticidio).

Perché ci sia persona, insomma, si richiede, secondo lui, quello che egli chiama «requisito di autocoscienza». Ma siamo sicuri che distinguere esseri umani e persone, subordinando il secondo titolo al possesso di certe qualità diverse dall’appartenenza alla specie umana, sia una buona idea? Non possono non ritornare alla mente le civiltà del passato, che in base a questa distinzione hanno considerato appartenenti alla nostra specie, ma non-persone, gli schiavi, le donne, gli indios …

E forse non è un caso che oggi si sia riconosciuto finalmente che i diritti umani si applicano a tutti gli uomini e le donne per il semplice motivo che sono “umani”, a prescindere dal possesso di altri requisiti.

Una nuova fede (sottratta alla ragione)

Alla luce di queste elementari considerazioni è un po’ strano considerare una incredibile regressione alla barbarie la posizione di coloro che, come la Chiesa cattolica, condannano l’aborto. Ma, nel caso della sentenza della Corte americana, non si tratta neppure di una condanna. Semplicemente si lascia ai cittadini dei singoli Stati di decidere come va regolamentata una materia così delicata.

Che questo diritto dei cittadini venga negato in nome di un preteso valore assoluto, come sarebbe la libertà della donna, fa riflettere sul fatto che, venuti meno i dogmi delle grandi religioni, se ne sono inventati altri. Solo che quelli riguardavano una sfera superiore, in cui la fede appare legittima, mentre i nuovi non possono sottrarsi al controllo della ragione.

E’ in base ad essa che appare necessario bilanciare il valore indiscutibile della libertà della donna con quello, fino a prova contraria altrettanto indiscutibile, dell’essere umano che essa porta dentro di sé. In realtà anche nelle legislazioni più restrittive questo bilanciamento prevede, di solito, il diritto di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza quando è in pericolo la vita del madre o quando sono diagnosticate gravissime deformazioni del feto. Spesso è preso in considerazione, come motivazione per abortire, il caso dello stupro.

Queste ragionevoli condizioni, però, nelle esasperate proteste di questi giorni, non vengono neppure pese in considerazione. Il diritto della donna sul proprio corpo è considerato così assoluto da non dover rendere conto non solo alla democrazia, ma neppure alla ragione. Facendo rimpiangere la fede religiosa, che, almeno nella visione cristiano-cattolica, ha sempre ritenuto di poter andare oltre l’intelligenza umana, ma non di poterla contraddire.

 

*Pastorale della Cultura – Diocesi di Palermo

lunedì 27 giugno 2022

SCUOLA. DISUGUAGLIANZE INVISIBILI


 Le diseguaglianze 

che non si vedono 

senza dati per tutti

 

Attraverso i dati INVALSI è possibile conoscere quanti studenti dell’ultimo anno di Scuola secondaria di secondo grado escono dalla scuola senza aver acquisito le competenze fondamentali, sebbene siano stati promossi.
Questa forma di dispersione scolastica è stata definita implicita, o nascosta, e dai risultati INVALSI 2021 sembra che la pandemia abbia fatto aumentare ancora di più questo fenomeno all’interno della scuola italiana rispetto al periodo pre-Covid.
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La pandemia potrebbe avere aggravato il problema della dispersione scolastica, soprattutto nelle sue componenti più difficili da individuare e quantificare perché più sotterranee.

Attraverso i dati INVALSI 2021 su base censuaria, quella cioè che comprende tutti gli studenti italiani che partecipano annualmente alle Rilevazioni nazionali, è possibile individuare i ragazzi che al termine della scuola superiore non hanno raggiunto le competenze fondamentali e  quindi corrono seriamente il rischio di avere prospettive di inserimento nella società e nel lavoro ridotte.

Questa forma di dispersione scolastica, definita implicita o nascosta, è un fenomeno complesso e articolato che può derivare da diverse cause e fattori.

Con la pandemia sono aumentati i dispersi impliciti…

Analizzando i risultati delle Prove INVALSI si osserva che nel 2021 in Italia il 9,5% degli studenti termina la Scuola secondaria di secondo grado con competenze di base decisamente inadeguate, 2,5% punti in più rispetto al 2019.

Crescono anche le differenze territoriali della percentuale di dispersione implicita, con un valore che parte da 2,6% per il Nord, raggiunge l’8,8% al Centro fino ad arrivare al 14,8% nel Mezzogiorno, 12,2 punti in più rispetto alle regioni del Nord Italia.

Alcune regioni del Mezzogiorno però hanno una percentuale di dispersi impliciti decisamente più alta rispetto alla media nazionale e al resto delle regioni italiane; Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Sardegna, Basilicata e Abruzzo. Solamente in Valle d’Aosta, Piemonte, Prov. Aut. di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Molise e Basilicata il fenomeno si sta riducendo.

…ma anche quelli totali

Volendo valutare la dispersione scolastica nel suo insieme si devono sommare questi dati a quelli forniti dall’ISTAT sulla dispersione esplicita.

A causa della pandemia anche la dispersione totale è aumentata notevolmente. Se si sommano i dati degli ELET - Early Leaving from Education and Training - e quelli sulla dispersione implicita emerge infatti che il 23% dei giovani della fascia d’età 18-24 anni ha lasciato la scuola prima di effettuare l’esame di Stato, oppure l’ha terminata senza acquisire competenze di base minime (nel 2019 erano il 22,1%).

Questo significa che quasi uno studente su quattro ha abbandonato la scuola o l’ha terminata senza acquisire le competenze di base minime.

Ma chi sono gli studenti che rimangono indietro?

Attraverso l’indice ESCS, un parametro utilizzato a livello internazionale per definire lo status socio economico e culturale della famiglia di provenienza, è possibile analizzare questi dati confrontandoli con il contesto sociale entro il quale sono stati ottenuti.

Attraverso i dati INVALSI di quest’anno scolastico si osserva che la dispersione implicita è aumentata maggiormente per gli studenti che provengono da ambienti meno avvantaggiati.

Se nel 2019 il 7,3% degli studenti con un ESCS sotto la media è uscito dalla scuola senza le competenze minime richieste, nel 2021 questo fenomeno è aumentato di 5 punti percentuali, arrivando al 12,3%.

Senza i dati INVALSI alcuni fenomeni rimarrebbero nascosti

Grazie alle Prove INVALSI è possibile quindi far luce su un fenomeno preoccupante che rischia di rimanere fuori dalle statistiche ufficiali.

Questi giovani, che conseguono il titolo di scuola superiore, ma senza avere raggiunto le competenze fondamentali previste, rappresentano un’emergenza per il Paese.

Poter individuare, numericamente e geograficamente, chi sono i giovani che ricadono nella categoria dispersione implicita significa poter pianificare azioni di supporto in modo da ridurre le difficoltà che si troveranno ad affrontare non solo nello studio ma per il resto della vita.

Approfondimenti

·         I Risultati delle Prove INVALSI 2021

·         Le Prove INVALSI 2021 in pillole

·         I tanti perché della dispersione scolastica

·         Le cause della dispersione scolastica

·         La dispersione scolastica non è solo banchi vuoti

MINISTERO ISTRUZIONE