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venerdì 29 aprile 2022

UCRAINA. POLITICA ED ETICA


 La politica non può essere separata 

dalla morale

-         di Giuseppe Savagnone*

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Quando, il 24 febbraio scorso, le truppe russe invasero senza preavviso l’Ucraina, con l’evidente intento di soffocare la libertà di un popolo che in passato troppe volte era stato umiliato e schiacciato dai potenti di turno del Cremlino, un giusto moto di indignazione si sollevò da parte della grande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale.

Veniva smentita clamorosamente la tesi di Machiavelli, secondo cui la politica ha proprie regole, fondate non sul criterio del bene e del male, ma su quello dell’efficacia e dell’inefficacia, che la rendono indipendente dall’etica. In realtà l’unità dell’essere umano rende impossibile questa separazione. La guerra in Ucraina ne è stata una prova. Non possiamo valutarla soltanto nei termini asettici della realpolitik, mettendo tra parentesi la questione morale.

Ne sono una conferma le nostre reazioni di fronte alle atroci immagini di civili uccisi a sangue freddo a Bucha, che hanno contribuito a evidenziare la disumanità di questa aggressione. Da qui l’approvazione che dai più è stata data, fin dall’inizio, all’invio di armi che consentissero al coraggioso popolo ucraino, mobilitato in tutti i suoi strati sociali, di difendere la propria terra. Al di là di ogni logica di successo, questa scelta si è imposta perché è apparsa giusta.

Pacifismo e pace

Già in questa fase, per la verità, si erano levate delle voci di dissenso, in nome di un pacifismo che avrebbe preferito la resa incondizionata degli aggrediti ai sacrifici e ai lutti provocati dalla loro resistenza. Anche questa, peraltro, era una valutazione morale del problema politico. Solo che nasceva da una concezione molto riduttiva della pace, identificata automaticamente con l’assenza di guerra.

In realtà, proprio in una prospettiva etica, essa è molto di più. Lo spiegava papa Francesco durante l’Angelus del 4 gennaio 2015: «La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri». Echeggia in queste parole la definizione che Agostino aveva dato del concetto di pace come «tranquillità dell’ordine». Dove “ordine” implica innanzi tutto libertà e giustizia. Senza di esse, lo si ridurrebbe a quello espresso nella famosa frase dal ministro francese Sebastiani, nel 1831, dopo la spietata repressione russa della rivolta polacca: «L’ordine regna a Varsavia».

Per questo, nel messaggio per la Giornata della pace del 1984, Giovanni Paolo II distingueva il significato di “pace” da quello di “pacifismo”: l’uomo di pace, osservava il pontefice, «ha il coraggio di difendere gli altri che soffrono e rifiuta di capitolare davanti all’ingiustizia, di compromettersi con essa; e, per quanto ciò sembri paradossale, anche colui che vuole profondamente la pace rigetta ogni pacifismo che equivalga a debolezza o a semplice mantenimento della tranquillità. In effetti, quelli che sono tentati di imporre il loro dominio incontreranno sempre la resistenza di uomini e donne intelligenti e coraggiosi, pronti a difendere la libertà per promuovere la giustizia».

Un pacifismo che rivendichi la ricerca della pace ad ogni costo dimentica che ci sono dei costi incompatibili con l’idea stessa di pace. E che vi è una legittima difesa che può richiedere il ricorso alla forza per contrastare la violenza.

La debolezza delle obiezioni utilitaristiche

La contrarietà alla mobilitazione in favore degli ucraini, però, oltre alle motivazioni etiche, ne ha avute anche altre, di natura molto più utilitaristica. Così, da parte di alcuni, si è insistito sui danni e sui disagi che le sanzioni avrebbero provocato alla nostra economia e al nostro tenore di vita. Si sono evocati scenari in cui il venir meno delle forniture di gas e di petrolio russi ci avrebbero costretto a soffrire il freddo d’inverno e il caldo d’estate.

Si è sottolineata la diversità d’interessi tra noi italiani e gli Stati Uniti. Si è parlato di una “guerra per procura”, combattuta dagli americani sulla pelle degli europei. A queste argomentazioni si è risposto, correttamente, che la difesa della libertà di un popolo vale più di tutti i vantaggi materiali a cui dovremo rinunziare e che, pur essendovi delle diversità d’interessi, vi è tuttavia con gli Stati Uniti una convergenza di fondo su valori essenziali che in questo momento la Russia sta calpestando.

L’invasione russa è moralmente legittima?

Più seria e più inquietante è stata e rimane un’obiezione che nasce da una più ampia visione geopolitica del conflitto in corso e che collega l’operazione militare di Putin all’espansionismo della Nato verso est in questi ultimi anni. Si sottolinea che, dopo la caduta del muro di Berlino, era stata data assicurazione verbale al presidente russo Gorbaciov che la Nato non avrebbe approfittato delle difficoltà della Russia per ulteriori espansioni, che invece ci sono state. A tal proposito è significativa la testimonianza diretta di Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera»  del 15 luglio 2007 e citata nel libro dell’ex ambasciatore Sergio Romano Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018).

«Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca», diceva in essa Matlock, «noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola». Così, nel 1999 Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca divennero a tutti gli effetti membri della Nato. Nel 2004 fu la volta di quattro Paesi ex membri del Patto di Varsavia: Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia, nonché di tre ex repubbliche sovietiche, Lettonia, Estonia e Lituania.  Nel 2009 aderirono Croazia e Albania. Nel 2017 il Montenegro. Nel 2020 la Macedonia del Nord.

Questo quadro, si osserva, non poteva non allarmare la Russia e sollevare da parte sua forti resistenze all’ingresso nella Nato di un’altra ex repubblica sovietica, appunto l’Ucraina. Basta guardare la carta dell’Europa orientale per rendersi conto che quello che si sta verificando è un accerchiamento della Russia da parte dell’America e dei suoi alleati. Che tra l’altro mirerebbero, secondo questa lettura a imporre la loro cultura decadente e immorale. Da qui la legittimità etica dell’intervento del Cremlino e il pieno sostegno dato ad esso dalla Chiesa ortodossa, nella persona del patriarca di Mosca.

Per una valutazione critica complessiva

Neppure questa obiezione all’appoggio dato all’Ucraina dall’Occidente appare però convincente. Sono molti gli indizi che fanno pensare a un preciso disegno di Putin, volto a ricostituire i confini del territorio, o almeno dell’egemonia, dell’ex Unione Sovietica. Significative, a questo proposito, le sue dichiarazioni, all’inizio della guerra, sul fatto che russi e ucraini sono un popolo solo (ampiamente contraddette, poi, dalla strenua resistenza ucraina).

Ma anche a prescindere da questo, la via da percorrere avrebbe dovuto essere quella del dialogo, non un’invasione ai danni di un Paese libero, devastando sistematicamente i centri abitati e causando l’esodo forzato di cinque milioni di persone. Non è certo così che si difendono i valori morali che si dice di voler difendere.

 È vero, però, che il quadro offerto dall’espansione della Nato avrebbe potuto e dovuto essere, per l’America e per i suoi alleati, un motivo di riflessione e di negoziato, come lo era stato, nel 1962, l’invio di missili a Cuba, con il braccio di ferro determinatosi allora tra Russia e Stati Uniti e risolto con un accordo che segnò un rasserenamento dei rapporti tra le due potenze. Invece sia il presidente americano che quello ucraino, pur essendo al corrente dell’imminente attacco di Putin, non hanno fatto nulla per cercare di rassicurarlo su questo punto. Abbiamo già notato che probabilmente questo non sarebbe servito ad evitare l’invasione.

Ma è un dato di fatto che il Paese leader della Nato non ha messo, per evitare la guerra, neppure un briciolo dell’impegno che sta profondendo invece nel sostenerla. Perché è stato evidente l’atteggiamento di aggressività di Biden (con dichiarazioni così estreme da mettere in imbarazzo perfino i suoi collaboratori), in piena sintonia col presidente ucraino. Putin non ha voluto trattare, ma loro neppure. Così, l’iniziale intento di aiutare la vittima a difendersi dal suo aggressore, per arrivare a una onorevole pace, si è sempre più esplicitamente trasformato in quello di vincere la guerra.

E in questa direzione è andata anche l’escalation nella fornitura di armamenti sempre più pesanti all’esercito ucraino, incitandolo – come in questi giorni ha fatto il governo inglese esplicitamente – ad usarli anche per attaccare la Russia sul suo territorio. Qui non è più in gioco la difesa dell’Ucraina, ma uno scontro tra potenze che può terminare solo con la sconfitta e l’umiliazione del nemico. C’è da chiedersi se, a questo punto, sia ancora l’etica della pace a ispirare la politica, o non sia quest’ultima a servirsi dell’etica, sbandierandone i princìpi per i propri scopi. Machiavelli, allora, avrebbe vinto…

 Con effetti che potrebbero essere devastanti anche dal punto di vista strettamente utilitaristico. Perché è vero che la morale è una componente essenziale della politica. La menzogna e la prepotenza non portano fortuna a chi ricorre ad esse. Ne è una prova l’andamento disastroso, anche in un’ottica di costi e benefici, dell’assurda aggressione di Putin.

Ma questo deve mettere in guardia tutti. Sappiamo cosa è accaduto in Iraq all’indomani della schiacciante vittoria americana (allora erano loro gli invasori) e della trionfale dichiarazione del presidente George Bush Jr: «Missione compiuta». Un caos, da cui a stento gli Stati Uniti, dopo avere provocato quella catastrofe, sono riusciti a svincolarsi. La disfatta della Russia sarebbe molto più pericolosa. Per tutti.

La verità è che oggi, ormai, da una guerra non possono uscire vincitori, ma solo perdenti. Putin sarà costretto a rendersene conto. Ma anche l’America e i suoi alleati farebbero bene a ricordarlo.

 *Pastorale Cultura Diocesi Palermo

 www.tuttavia.eu


martedì 26 aprile 2022

FORMAZIONE E RECLUTAMENTO DOCENTI

 


Via libera in Consiglio dei Ministri alle nuove regole per la formazione e il reclutamento dei docenti. Bianchi: “Percorsi chiari per chi vuole insegnare, innoviamo e diamo più qualità al sistema”. Entro il 2024 previste 70mila immissioni in ruolo

 Via libera in Consiglio dei Ministri alle nuove regole per la formazione iniziale e continua e per il reclutamento dei docenti della scuola secondaria.

Percorsi certi per chi vuole insegnare. Una definizione più chiara degli obiettivi e delle modalità della formazione dei docenti durante tutto il loro percorso lavorativo. Concorsi annuali per reclutare con costanza il personale, aprendo più rapidamente le porte ai giovani. Questi i tre perni della riforma approvata oggi dal governo, che porterà in cattedra, entro il 2024, i primi 70mila insegnanti.

Nel decreto-legge sul Pnrr è prevista anche la nuova Scuola di alta formazione per dirigenti, insegnanti e personale ATA.

“Oggi facciamo un ulteriore passo avanti per dare stabilità al sistema d’Istruzione - sottolinea il Ministro Patrizio Bianchi -. Prevediamo un percorso chiaro e definito per l’accesso all’insegnamento e per la formazione continua dei docenti lungo tutto l’arco della loro vita lavorativa. Puntiamo sulla formazione come elemento di innovazione e di maggiore qualificazione di tutto il sistema”.

Prosegue il Ministro: “Prevediamo, poi, entro il 2024, 70.000 immissioni in ruolo, attraverso concorsi che saranno banditi con cadenza annuale. Gli insegnanti sono il perno dei nostri istituti e devono avere un quadro strutturato di inserimento, il giusto riconoscimento professionale e strumenti che consentano un aggiornamento costante, indispensabile per svolgere il loro compito di guida delle nuove generazioni. Al centro di questa riforma c’è un’idea precisa di una scuola aperta e inclusiva, che stiamo costruendo con le risorse del PNRR a disposizione e con il dialogo con tutti gli attori coinvolti”.

La formazione iniziale e l’abilitazione

Si definiscono le modalità di formazione iniziale, abilitazione e accesso all’insegnamento nella scuola secondaria.

Sono previsti:

Un percorso universitario abilitante di formazione iniziale (corrispondente ad almeno 60 crediti formativi), con prova finale

Un concorso pubblico nazionale con cadenza annuale

Un periodo di prova in servizio di un anno con valutazione conclusiva

Il percorso di formazione abilitante si potrà svolgere dopo la laurea oppure durante il percorso formativo in aggiunta ai crediti necessari per il conseguimento del proprio titolo. È previsto un periodo di tirocinio nelle scuole. Nella prova finale è compresa una lezione simulata, per testare, oltre alla conoscenza dei contenuti disciplinari, la capacità di insegnamento.

L’abilitazione consentirà l’accesso ai concorsi, che avranno cadenza annuale per la copertura delle cattedre vacanti e per velocizzare l’immissione in ruolo di chi vuole insegnare. I vincitori del concorso saranno assunti con un periodo di prova di un anno, che si concluderà con una valutazione tesa ad accertare anche le competenze didattiche acquisite dal docente. In caso di esito positivo, ci sarà l’immissione in ruolo.

In attesa che il nuovo sistema vada a regime, per coloro che già insegnano da almeno 3 anni nella scuola statale è previsto l’accesso diretto al concorso. I vincitori dovranno poi conseguire 30 crediti universitari e svolgere la prova di abilitazione per poter passare di ruolo.

Durante la fase transitoria, coloro che non hanno già un percorso di tre anni di docenza alle spalle ma vogliono insegnare potranno conseguire i primi 30 crediti universitari, compreso il periodo di tirocinio, per accedere al concorso. I vincitori completeranno successivamente gli altri 30 crediti e faranno la prova di abilitazione per poter passare di ruolo.

La formazione continua e la Scuola nazionale

La formazione in servizio dei docenti diventa continua e strutturata in modo da favorire l’innovazione dei modelli didattici, anche alla luce dell’esperienza maturata durante l’emergenza sanitaria e in linea con gli obiettivi di sviluppo di una didattica innovativa previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

La formazione sulle competenze digitali e sull’uso critico e responsabile degli strumenti digitali sarà parte della formazione già obbligatoria per tutti e si svolgerà nell’ambito dell’orario lavorativo.

Viene poi introdotto un sistema di aggiornamento e formazione con una pianificazione su base triennale che consentirà agli insegnanti di acquisire conoscenze e competenze per progettare la didattica con strumenti e metodi innovativi. Questa formazione sarà svolta in orario diverso da quello di lavoro e potrà essere retribuita dalle scuole se comporterà un ampliamento dell’offerta formativa. I percorsi svolti saranno anche valutati con la possibilità di accedere, in caso di esito positivo, a un incentivo salariale.

I percorsi di formazione continua saranno definiti dalla Scuola di alta formazione che viene istituita con la riforma e si occuperà non solo di adottare specifiche linee di indirizzo in materia, ma anche di accreditare e verificare le strutture che dovranno erogare i corsi, per garantirne la massima qualità. La Scuola, che fa parte delle riforme del Pnrr, si occuperà anche dei percorsi di formazione di dirigenti e personale Ausiliario, Tecnico e Amministrativo.

 Ministero

 

lunedì 25 aprile 2022

VIVA LA LIBERTA'

Festeggiamo la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ma il mondo si ritrova ancora carico di violenza.

Continuo a sognare il giorno della liberazione più bella, continuo a sperare che gli esseri umani sappiano finalmente liberarsi dalla guerra in tutte le sue forme e costruire un mondo di pace, di rispetto e solidarietà.

Una utopia? Certo. Ma l’utopia non è un sogno impossibile, è semplicemente un sogno non ancora realizzato, un progetto da costruire con l’impegno di tutti.

Gino Strada

DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA



sabato 23 aprile 2022

PACE A VOI !

 


Quell'invito 

del Risorto 

a superare 

le barriere



La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». (...).

Commento di p. Ermes Ronchi

I discepoli erano chiusi in casa per paura. Casa di buio e di paura, mentre fuori è primavera: e venne Gesù a porte chiuse. In mezzo ai suoi, come apertura, schema di aperture continue, passatore di chiusure e di frontiere, pellegrino dell'eternità. Come amo le porte aperte di Dio, brecce nei muri, buchi nella rete (F. Fiorillo), profezia di un mondo in rivolta per fame di umanità. Venne Gesù e stette in mezzo a loro. Nel centro della loro paura, in mezzo a loro, non sopra di loro, non in alto, non davanti, ma al centro, perché tutti sono importanti allo stesso modo. Lui sta al centro della comunità, nell'incontro, nel legame: "lo Spirito del Signore non abita nell'io, non nel tu, egli abita tra l'io e il tu" (M. Buber). In mezzo a loro, senza gesti clamorosi, solo esserci: presenza è l'altro nome dell'amore. Non accusa, non rimprovera, non abbandona, "sta in mezzo", forza di coesione degli atomi e del mondo. Pace a voi, annuncia, come una carezza sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni. Gli avvenimenti di Pasqua, non sono semplici "apparizioni del Risorto", sono degli incontri, con tutto lo splendore, l'umiltà, la potenza generativa dell'incontro. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: li aveva inviati per le strade, e li ritrova ancora chiusi in quella stessa stanza. E invece di alzare la voce o di lanciare ultimatum, invece di ritirarsi per l'imperfezione di quelle vite, Gesù incontra, accompagna, con l'arte dell'accompagnamento, la fede nascente dei suoi. Guarda, tocca, metti il dito... 

La Risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente di percorso da dimenticare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto che il suo amore folle ha raggiunto, e per questo resteranno eternamente aperte. Ai discepoli ha fatto vedere le sue ferite, tutta la sua umanità. E dentro c'era tutta la sua divinità. Metti qui la tua mano: qualche volta mi perdo a immaginare che forse un giorno anch'io sentirò le stesse parole, anch'io potrò mettere, tremando, facendomi condurre, cieco di lacrime, mettere la mia mano nel cuore di Dio. E sentirmi amato. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! L'ultima beatitudine è per noi, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede e inciampa, per chi ricomincia. Così termina il Vangelo, così inizia il nostro discepolato: con una beatitudine, con il profumo della gioia, col rischio della felicità, con una promessa di vita capace di attraversare tutto il dolore del mondo, e i deserti sanguinosi della storia.

(Letture: Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117; Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19; Giovanni 20,19-31)

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POVERTA' EDUCATIVA IN CRESCITA

 Servono risposte di comunità 

o si perde il futuro del Paese»

 -          di FULVIO FULVI

 Povertà, solitudine, gravi disagi psicologici, abbandono scolastico e forte aumento dei neolaureati che lasciano il Sud. Secondo il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell’Istat i giovani sono quelli che patiscono maggiormente gli effetti della pandemia e fanno più fatica degli altri, in questa fase, ad uscire fuori da quel limbo di insicurezza che sembra essersi calato all’improvviso nella loro quotidianità.

Il quadro è drammatico: bambini, adolescenti e chi si affaccia alla vita appena terminato un percorso di studi, sembrano non avere prospettive. «Stiamo perdendo, seppur più lentamente rispetto a prima, il “futuro” del nostro Paese» commenta Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini, impresa sociale per il contrasto della povertà educativa minorile. «Rispetto al percorso di istruzione dei giovani – precisa – i dati del rapporto Istat purtroppo confermano una tendenza in atto da troppo tempo in Italia». E l’abbandono scolastico è un aspetto preoccupante che riguarda di più i ragazzi e chi vive nelle regioni del Sud. «Soprattutto, interessa chi proviene da contesti socio-economici più difficili, che offrono meno opportunità – spiega Rossi-Doria –, anche se quello dell’abbandono è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio che è la povertà educativa, aggravato anche per gli effetti della pandemia ». Il rapporto mette in evidenza come tra i giovani la propensione ad essere molto soddisfatti per le relazioni amicali è due volte più alta tra chi, invece, vede gli amici almeno una volta a settimana, rispetto a chi li vede meno frequentemente. «L’ambito delle relazioni non può essere secondario – aggiunge il presidente di Con i Bambini –, anche per questo la risposta al fenomeno deve essere di comunità, rafforzando le alleanze educative tra mondo della scuola, terzo settore, istituzioni e famiglie. È necessario, inoltre, ridare fiducia e protagonismo ai ragazzi, sperimentando e consolidando le tante buone esperienze di comunità educante che per fortuna esistono e che dovrebbero essere pratica diffusa, a vantaggio di tutti e di ciascuno».

E, infine, non vanno sottovalutati i risvolti sulla salute mentale lasciati dalla pandemia tra gli “under 18”, per far fronte ai quali, nei prossimi giorni, ha assicurato ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, sarà firmato il decreto interministeriale e si potrà partite con il bonus psicologo, a disposizione, però, anche di chi giovane non è più. «il cittadino – ha spiegato Speranza –potrà accedere al contributo senza oneri o anticipazioni, e potrà scegliere liberamente il professionista tra quelli che hanno aderito all’iniziativa». Ma il bonus non sarà sufficiente. Affrontare il problema in modo adeguato presuppone un approccio più ampio. «Per questo – ha ricordato il ministro – in legge di Bilancio abbiamo stanziato 38 milioni, 20 dei quali destinati al disagio psicologico di bambini e adolescenti con l’assunzione del personale, 10 milioni per le fasce più deboli e 8 milioni per il potenziamento dei servizi territoriali e ospedalieri».

Tra le categorie più fragili ed esposte, anche ai rischi di disagio psicologico, ci sono pure anziani e disabili che a causa del lockdown e delle limitazioni dei comportamenti imposte dalle misure di contenimento del virus devono fare i conti, peraltro, con nuove condizioni di povertà e di emarginazione aggravate dalla crisi economica che ha colpite milioni di famiglie.

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NON COSI' SI COSTRUISCE LA PACE


L’esclusione dei tennisti russi 

e bielorussi da Wiblendon-

-         di Giuseppe Savagnone*

          

-Ha fatto rumore, in questi giorni, la decisione senza precedenti dell’All England Club – organizzatore del torneo di tennis di Wimbledon, il più antico del mondo – di escludere dalla prossima edizione i giocatori russi e bielorussi. I responsabili, la cui scelta è stata fatta d’intesa col il governo inglese, hanno spiegato «con profondo rammarico» di essere ricorsi a questo passo per «limitare l’influenza della Russia» dopo l’invasione dell’Ucraina. «In questo modo Putin non potrà usare il più iconico dei tornei dello Slam per cercare di legittimare gli orrori che sta infliggendo al popolo ucraino», ha spiegato il ministro dello Sport britannico, Nigel Huddleston.

Tra gli esclusi ci sono i russi Daniil Medvedev, numero due del mondo, e Andrej Rublëv, numero otto, e la bielorussa Aryna Sabalenka, numero quattro del mondo. La decisione inglese ha suscitato una dura reazione da parte del numero uno del mondo, il serbo Novak Djokovic: «Condannerò sempre la guerra, non la sosterrò mai essendo io stesso figlio della guerra», ha detto, «so il trauma emotivo che lascia, tutti sappiamo cosa è successo in Serbia nel 1999. Nella storia recente nei Balcani abbiamo avuto molte guerre. Tuttavia, non posso sostenere la decisione di Wimbledon, penso sia folle. Quando la politica interferisce con lo sport, il risultato non è mai buono».

Tra i critici, anche una gloria del tennis italiano come Adriano Panatta: «Quando si parla di squadre nazionali l’esclusione è giusta, ma per sanzionare un Paese non si dovrebbero colpire individualmente gli atleti», ha dichiarato l’anziano campione. Contro gli organizzatori di Wimbledon si sono schierate anche la WTA e l’ATP, le due associazioni che riuniscono tenniste e tennisti di tutto il pianeta.

La loro posizione è praticamente identica a quella di Djokovic: «La discriminazione basata sulla nazionalità costituisce una violazione del nostro accordo con Wimbledon, che prevede che ogni giocatore entra nel torneo sulla base esclusiva della classifica». Non sembra, però, che queste critiche abbiano scosso il fronte degli “esclusionisti”. È recentissima la notizia che anche il governo italiano sta pressando perché i tennisti russi vengano esclusi dagli Internazionali d’Italia che si terranno a Roma a inizio maggio.

La decisione del Comitato Olimpico Internazionale e gli effetti a cascata

In realtà non si tratta di una novità. Fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il Comitato Olimpico Internazionale ha «vivamente raccomandato» a tutte le federazioni mondiali di «non invitare atleti russi e bielorussi» nelle competizioni sportive internazionali. Nel suo comunicato il Comitato sottolineava che «il movimento olimpico è unito nella sua missione di contribuire alla pace attraverso lo sport e di unire il mondo in una competizione pacifica al di là di ogni disputa politica. I Giochi Olimpici, le Paralimpiadi, i Campionati Mondiali e le Coppe del Mondo e molti altri eventi sportivi uniscono atleti di paesi in conflitto e talvolta anche in guerra».

 Tuttavia, aggiungeva, «l’attuale guerra in Ucraina pone il movimento olimpico di fronte a un dilemma. Mentre gli atleti provenienti da Russia e Bielorussia potrebbero continuare a partecipare a eventi sportivi, a molti atleti ucraini è impedito di farlo a causa dell’attacco al loro paese». Per questo, «al fine di proteggere l’integrità delle competizioni sportive globali e per la sicurezza di tutti i partecipanti, il comitato esecutivo del Cio raccomanda che le federazioni sportive internazionali e gli organizzatori di eventi sportivi non invitino o consentano la partecipazione di atleti e funzionari russi e bielorussi alle competizioni internazionali».

Solo nell’ipotesi che «ciò non sia possibile con breve preavviso per motivi organizzativi o legali», ci si limitava a chiedere di «garantire che nessun atleta o funzionario sportivo russo o bielorusso possa prendere parte sotto il nome di Russia o Bielorussia». Ma era solo un ripiego rispetto alla decisione di fondo, che era quella di escludere da ogni competizione sportiva, in base alla loro nazionalità, non solo le squadre ufficiali, ma i singoli. Su questa direttiva si sono mossi gli organismi internazionali responsabili dei diversi tipi di sport.

Il 1 marzo scorso era stata la Federazione internazionale di sci a prendere una analoga decisione: «Per garantire la sicurezza e la protezione di tutti gli atleti nelle competizioni Fis, il Consiglio Fis ha deciso all’unanimità, in linea con la raccomandazione del Cio, che con effetto immediato nessun atleta russo o bielorusso potrà partecipare ad alcuna competizione Fis a qualsiasi livello, sino alla fine della stagione 2021-2022». Il 3 marzo il Cda del Comitato paralimpico internazionale ha deciso che gli atleti di Russia e Bielorussia non avrebbero potuto partecipare alle imminenti Paralimpiadi invernali di Pechino. In un primo momento si era ipotizzato che lo facessero da “neutrali”, senza essere inquadrati ufficialmente nelle squadre dei loro rispettivi Paesi, ma poi questa misura era sembrata troppo blanda e si era definitivamente optato per una esclusione non solo delle squadre, ma dei singoli atleti in base alla loro nazionalità.

Andrew Parsons, presidente del Comitato Paralimpico internazionale, ha dichiarato: «All’IPC siamo fermamente convinti che sport e politica non debbano mescolarsi. Tuttavia, non per colpa sua, la guerra è ora arrivata a questi Giochi e dietro le quinte molti governi stanno avendo un’influenza sul nostro amato evento (…). Numerosi comitati paralimpici, alcuni dei quali sono stati contattati dai loro governi, squadre e atleti, stanno minacciando di non competere». Così, per non far fallire l’evento, è stato necessario escludere russi e bielorussi.

Il messaggio del Comitato Olimpico internazionale è stato recepito subito dal calcio che ha escluso la Nazionale russa dai Mondiali e i club russi dai tornei internazionali. Ma sono tante le discipline che a cascata stanno adottando la linea della fermezza. Dall’hockey su ghiaccio fino alla dama: russi e bielorussi sono fuori da tutte le competizioni mondiali ed europee. Nessuno sconto anche dall’EuroLega di basket che ha deciso di sospendere le squadre russe. Non solo. Se la situazione non si normalizzerà i risultati già ottenuti da questi club saranno cancellati e la classifica delle competizioni aggiornata.

Questa linea di esclusione, peraltro, prescinde dalle posizioni personali degli atleti. Daniil Medvedev sui social ha lanciato un toccante appello alla pace pensando soprattutto ai più piccoli: «I bambini nascono con una fiducia innata nel mondo, credono in tutto: nelle persone, nell’amore, nella sicurezza e nella giustizia, nelle loro possibilità nella vita. Restiamo uniti e mostriamo loro che è vero: perché ogni bambino non dovrebbe smettere di sognare».

Anche più esplicito il collega Andrey Rublev che da giorni chiede a Putin di fermare questa guerra. E sulla stessa linea anche il pallavolista Ivan Zaytsev, italiano di origini russe: «Quello che stanno vivendo i nostri fratelli in Ucraina è terrificante e ingiustificato. Sono addolorato, non è questa la Russia che conosco io».

La politica e la morale

Siamo davanti a uno degli effetti della giusta indignazione del mondo occidentale di fronte a un’aggressione violenta e ingiustificabile, che sta causando un esodo di massa di uomini, donne e bambini – cinque milioni! – , la distruzione delle loro case e, ancora più atroce, il massacro di innocenti civili. In questo drammatico contesto, la politica – a dispetto di Machiavelli – rivendica il suo inscindibile legame con l’etica e rifiuta di valutare gli eventi in base unicamente alla logica dell’utile e del successo.

Non è vero che essa sia il campo, autonomo rispetto alla morale, in cui «il fine giustifica i mezzi». Da qui l’appassionata mobilitazione dell’Occidente – in ambito economico e politico – per far pesare sulla Russia un isolamento internazionale che sanzioni le sue scelte. L’etica, però, ha le sue logiche, che la politica deve rispettare. Altrimenti il rischio è che, invece di essere la morale a ispirare la politica, sia quest’ultima a servirsi della morale per i suoi scopi. E questo sarebbe, dietro la sua apparente sconfitta, il più subdolo trionfo del machiavellismo.

Ora, in una logica morale non c’è posto per una discriminazione puramente etnica. Tutti gli schematismi pregiudiziali che appioppano ai singoli un’etichetta, in base a comportamenti di cui non sono personalmente responsabili – il caso più tragico è stato l’antisemitismo – , possono essere funzionali a una battaglia politica, ma sono in contrasto con il preteso primato dell’etica. E invocare quest’ultima per giustificarli è un pretesto inaccettabile.

Essere sostenitori di Putin, come gli oligarchi russi, giustamente penalizzati con il sequestro dei loro beni per il loro ruolo nel sostenere una dittatura sanguinaria – è una colpa. Essere russi no. A maggior ragione questo vale in un ambito, come lo sport, dove – come contraddittoriamente ammettono gli organizzatori dei rispettivi comitati – le logiche divisive della politica non possono essere ammesse.

Fin dai tempi dei Greci le Olimpiadi erano il momento in cui le ostilità e le discriminazioni venivano superate in nome di una comune esperienza di umanità. Il caso del tennis sta facendo rumore. Ma forse fa più pena pensare che a Pechino, nelle paralimpiadi, dei poveri disabili, che si erano a lungo allenati nella speranza di avere anche loro un momento di pienezza, siano stati discriminati ed esclusi per il luogo in cui erano nati e cresciuti.

No, non è così che si costruisce una pace degna di questo nome.

 *Pastorale Scolastica Diocesi di Palermo

 www.tuttavia.eu

 

venerdì 22 aprile 2022

EDUCARE ALLA PACE, EDUCARE ALLA CITTADINANZA

 La pace nella prospettiva 

dell'educazione 

socio-civico-politica

Il prof. Corradini, uno dei maggiori esperti di educazione alla cittadinanza, da quasi mezzo secolo sostenitore di un impegno istituzionale più forte per l'educazione civica nella scuola, autore di numerose pubblicazioni sull'argomento, già sottosegretario alla P.I. e presidente nazionale Uciim, suggerisce strade percorribili per orientarsi di fronte al grande male della guerra, per cercare di capirlo e di viverlo in modo non superficiale e non distruttivo, ma con l'impegno a superarlo a tutti i livelli in una prospettiva non violenta. Ciò che è stato possibile a certe persone, in certi momenti, può in fatti diventare prima o poi una conquista definitiva o almeno duratura. Frattanto è più importante capire empaticamente, rispettare, aiutare, agire in termini di solidarietà che odiare chi non la pensa come noi.


- di Luciano Corradini*

 La prestigiosa rivista Limes ha come titolo dell’ultimo numero “La fine della pace”. Diversi giornali dicono che siamo in guerra e che non sappiamo come e quando ne usciremo. Uno studente che ha chiesto di parlare della guerra in corso fra Russia e Ucraina si è sentito rispondere: “non parliamo di cose tristi”. Come se la scuola potesse distrarsi o rimuovere il problema più lacerante della storia umana e la frustrazione antropologica che consegue ala difficoltà di sostituire al mors tua vita mea il vita tua vita mea.

All'elaborazione di una cultura di pace, oltre alla famiglia, è chiamata a contribuire la scuola, insieme alle associazioni giovanili, ai mass media, alle chiese e a tutti gli enti pubblici e privati la cui attività può incidere, direttamente o indirettamente, sulla mentalità, sulla qualità dei rapporti e sul senso complessivo dello stare e del crescere insieme.

La scuola, in virtù della sua capillare estensione, delle sue potenzialità culturali e relazionali e delle sue specifiche difficoltà congiunturali, è al centro di contrastanti pressioni, volte da un lato ad aprirla a tutto ciò che sia ritenuto socialmente importante e dall'altro a chiuderla a tutto ciò che non sia riconducibile a un compito istruttivo restrittivamente interpretato.

Anche ammettendo che la scuola abbia suoi compiti prioritari da affrontare, in cui nessun altro può sostituirla, non si può negare che il vero problema è quello di affrontarli in modo deontologicamente corretto, utilizzando le norme e i programmi vigenti per affrontare questioni strategicamente importanti e significative per i singoli ragazzi e per la società d'oggi e di domani.

Se volessimo raccogliere più precisamente tutto ciò che da anni bussa alle porte della scuola, con crescente consapevolezza delle implicazioni e delle connessioni con la vita reale, per trovarvi uno spazio curricolare o meglio un'attenzione "intelligente" di tipo interstiziale o di tipo trasversale, dovremmo parlare di educazione ai diritti umani, alla pace, allo sviluppo, alla salute, all’ambiente.

Questa problematica è soggetta in tutto il mondo ad approfondimenti, revisioni, accorpamenti sotto l'uno o l'altro termine, ritenuto più comprensivo o più strategico. Per la sua densità valoriale può alimentare conflitti, occupare spazi eccessivi nell'attività scolastica, degenerare nella chiacchiera, nel moralismo, nella faziosità.

Di qui le comprensibili cautele delle persone serie; ma di qui anche gli alibi di chi non vuole impegnarsi a pensare e a rinnovare una scuola, la cui auspicata migliore produttività non può comunque prescindere dalle motivazioni  e dalle prospettive  dell'apprendimento.

La pace, intesa come "nucleo pesante", in cui si addensano tutti i significati positivi della vita personale e sociale, non può considerarsi un tema estraneo, né di diritto né di fatto, alla vita scolastica. Anche quando non era esplicitamente tematizzata come finalità da perseguire da parte di tutti, in particolare degli educatori, di fatto la pace occupava un suo spazio nella letteratura, nella storia, nella filosofia, nel diritto, nella geografia, nell'economia e finalmente nell'educazione civica, che nella scuola ha avuto però sempre uno statuto precario. Oggi abbiamo la legge 92/2019 sull’educazione civica, che fa perno sulla Costituzione italiana, in cui sono stati “aggiornati” nel febbraio scorso gli artt. 9 e 41. Non è poco.

* Professore Emerito di Pedagogia Generale Università Roma 3, Roma

 

giovedì 21 aprile 2022

EARTH DAY

 


 Per la 52esima edizione dell’Earth Day diverse iniziative in tutto il mondo celebreranno il Pianeta seguendo il tema del 2021, “Restore Our Earth”: si va da maratone digitali a lezioni di cucina gratuite per evitare gli sprechi. Vediamo alcuni degli eventi principali legati alla Giornata della Terra, che è nata nel 1970 negli Stati Uniti per arrivare negli anni a coinvolgere oltre 180 Paesi.

-                  di Alessandro Bai  

La Giornata della Terra 2022 - 22 APRILE, ovvero la 51esima edizione dell'Earth Day, fissata come di consueto per il 22 aprile, è l’occasione per fare il punto su tutti i problemi che affliggono il nostro Pianeta. La lista, come ormai saprai bene, è molto lunga e in continuo aggiornamento: d’altronde, il tema di quest’anno è Restore Our Earth (“Ripristiniamo il nostro Pianeta”), celebrato anche da Google nel suo doodle animato pubblicato che ci fa capire come sia fondamentale lavorare tutti insieme per dare al Pianeta un futuro migliore. L’obiettivo più urgente, ormai, non è più quello di prevenire nuovi problemi, ma di rimediare ai danni già fatti, che si manifestano ogni giorno attraverso gli effetti del cambiamento climatico o la bassissima qualità dell’aria di alcuni luoghi.

Ma com’è nata la Giornata Mondiale della Terra? La sua storia comincia nel 1969, quando l’attivista per la pace statunitense John McConnel propose durante una conferenza dell’UNESCO, tenuta a San Francisco, di celebrare la bellezza del Pianeta e il concetto di pace in una giornata apposita, inizialmente fisata per il 21 marzo 1970, ovvero il primo giorno di primavera nell’emisfero Nord. A coronare questa occasione, ci fu anche un atto di proclamazione scritto dallo stesso McConnel e firmato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite U Thant, che conteneva i principi fondamentali per prendersi cura della Terra. Circa un mese dopo, l’idea si sviluppò ulteriormente per merito del senatore americano Gaylord Nelson, che propose di istituire una giornata dedicata al dibattito ambientale, tenuta per la prima volta il 22 aprile 1970. Questo evento fu chiamato Earth Day, ossia la Giornata della Terra, ma fu il coordinatore nazionale Denis Hayes, giovane attivista scelto proprio da Nelson, a portare questa manifestazione fuori dagli Stati Uniti e renderla internazionale a partire dal 1990, arrivando poi negli anni a coinvolgere oltre 180 Paesi e, nel 2020, più di 100 milioni di persone di tutto il mondo che ne hanno celebrato il 50esimo anniversario.

Le iniziative

Come ti anticipavo, le iniziative organizzate in occasione della Giornata della Terra non si limitano al 22 aprile ma spesso sono distribuite su un'intera settimana. Qui sotto te ne proponiamo alcune degne di nota, ma se sei interessato a conoscerle tutte puoi consultare direttamente la mappa sul sito dell'Earth Day.

La maratona digitale "Food for Earth"

Per la 51esima edizione dell'Earth Day il Future Food Institute e la Fao (L'organizzazione ONU per l'alimentazione e l'agricoltura) e-learning Academy hanno pensato l'evento Food for Earth, una maratona digitale di 24 ore sul tema della sostenibilità, che sarà attiva a livello globale e si svolgerà come una sorta di staffetta virtuale, coinvolgendo diverse voci provenienti da tutti i Paesi del G20 che si potranno ascoltare direttamente dal sito www.foodforearth.org.

La maratona in streaming su RaiPlay

Un'iniziativa per certi versi simile è quella proposta da RaiPlay, che per 13 ore, dalle 7.30 alle 20.30, offrirà un palinsesto in diretta streaming che prevede collegamenti con canali televisivi e radiofonici Rai, durante una maratona multimediale intitolata #OnePeopleOnePlanet, evento online che ha debuttato nel 2020 per poter celebrare la Giornata della Terra nonostante le restrizioni forzate dalla pandemia.

Fabiana Filippi, una sezione dell'e-shop dedicata all'Earth Day

Anche la casa di moda Fabiana Filippi ha preparato un'iniziativa ad hoc per l'Earth Day, pensata anche per raccogliere fondi da devolvere al Fondo Ambiente Italiano (FAI). Dal 19 al 25 aprile, infatti, sul sito internet del brand ci sarà una sezione dell'e-shop dedicata alla Giornata Mondiale della Terra, dove si potranno acquistare capi realizzati in cotone coltivato in modo etico.

Niantic lancia i bonus sostenibilità su Pokémon Go

La Giornata della Terra 2021 sbarca anche nel mondo dei videogiochi: per l'occasione, dal 20 al 25 aprile la casa di sviluppo Niantic ha deciso di mettere in palio per i giocatori del proprio titolo Pokémon Go una serie di ricompense ottenibili con comportamenti sostenibili, come raccogliere la spazzatura o piantare un albero, che andranno documentati attraverso una foto da pubblicare sui propri profili Instagram, Twitter o Facebook, accompagnata dall'hashtag #SustainableWithNiantic e dal tag @NianticLabs.

Climate action in streaming

Proprio su Earthday.org, il sito ufficiale dell'evento a livello internazionale, si potrà seguire in streaming l'iniziativa Three days of climate action, che dal 20 al 22 aprile proporrà un evento al giorno sul tema dell'emergenza climatica, che sarà trattato da varie personalità, compresa la giovane attivista Greta Thunberg.

Il timelapse di Google Earth

In occasione della Giornata della Terra 2021, Google Earth ha lanciato una nuova funzionalità che permette di capire meglio i cambiamenti avvenuti sul Pianeta negli ultimi 37 anni. Grazie a Google Earth Timelapse, infatti, gli utenti possono ripercorrere un periodo che va dal 1984 fino ad oggi attraverso un video accelerato che, come spiega Google stessa, mostra "l'impatto dell'umanità sulla Terra". Si tratti di un viaggio virtuale reso possibile dai dati raccolti dalla Nasa e dal programma Copernicus dell'Unione Europea, che mette davanti ai nostri occhi gli effetti della deforestazione, dello scioglimento dei ghiacci o, semplicemente, della costruzione di nuove infrastrutture.

Lezioni di cucina sostenibile

La startup Impastiamo, fondata negli Stati Uniti da una ragazza italiana, ha deciso di celebrare l'Earth Day 2021 offrendo gratuitamente 5 lezioni virtuali di cucina tenute da altrettanti chef provenienti da diversi Paesi del mondo con lo scopo di insegnare ai partecipanti a ridurre al minimo lo spreco alimentare che avviene a casa. Ogni lezione deve essere prenotata direttamente su www.impastiamoclasses.com: come ti anticipavo, non dovrai pagare nulla ma, per chi vuole, c'è la possibilità di effettuare delle donazioni a 2 associazioni impegnate nella salvaguardia delle api.

Earth Day