Pubblicata oggi
l’istruzione della Congregazione per l’Educazione cattolica: l'importanza di un
Patto Educativo Globale, il dialogo tra ragione e fede, la collaborazione tra
scuola e famiglie
-Isabella Piro - Città
del Vaticano
- Educare è una passione
che si rinnova sempre: parte da questo
principîo l’istruzione della Congregazione per l’Educazione cattolica diffusa
oggi e intitolata "L’identità della scuola cattolica per una cultura del
dialogo". Uno strumento sintetico e pratico basato su due motivazioni:
"La necessità di una più chiara consapevolezza e consistenza dell’identità
cattolica delle istituzioni educative della Chiesa in tutto il mondo" e la
prevenzione di "conflitti e divisioni nel settore essenziale dell’educazione".
L’importanza di un Patto
educativo globale
Suddiviso in tre parti,
il documento analizza la missione evangelizzatrice della Chiesa come madre e
maestra; si sofferma sui vari soggetti che operano nel mondo scolastico e
analizza alcuni punti di criticità, nel contesto del mondo globalizzato e
multiculturale contemporaneo. Se triplice è la struttura, unico tuttavia è
l’orizzonte dell’Istruzione, ovvero quel Patto educativo globale fortemente
voluto da Papa Francesco, affinché la Chiesa, forte e unita nel campo della
formazione, possa portare avanti la sua missione evangelizzatrice e contribuire
alla costruzione di un mondo più fraterno.
La Chiesa è madre e
maestra
Nella prima parte del
documento, intitolata "Le scuole cattoliche nella missione della
Chiesa", si sottolinea che la Chiesa è "madre e maestra": la sua
azione educativa, dunque, non è "un’opera filantropica", bensì parte
essenziale della sua missione, basata su determinati principî fondamentali: il
diritto universale alla formazione; la responsabilità di tutti — in primo luogo
dei genitori che hanno il diritto di compiere in piena libertà e secondo
coscienza le scelte educative per i loro figli, e poi dello Stato che ha il
dovere di rendere possibili differenti opzioni educative nell’ambito della
legge — il dovere di educare, precipuo della Chiesa, nel quale si intrecciano
evangelizzazione e promozione umana integrale; la formazione iniziale e
permanente degli insegnanti, affinché siano testimoni di Cristo; la
collaborazione tra genitori e docenti e tra scuole cattoliche e non cattoliche;
il concetto di scuola cattolica come "comunità" permeata dello
spirito evangelico di libertà e carità, che forma e apre alla solidarietà. In
un mondo multiculturale, inoltre, si ricorda anche "una positiva e prudente
educazione sessuale", elemento non trascurabile che gli studenti devono
ricevere, man mano che crescono.
Il dialogo tra ragione e
fede
Radicata su principî
evangelici che sono, al contempo, "norme educative, motivazioni interiori
e insieme mete finali", la scuola cattolica — sottolinea l’Istruzione — è
quella che pone Gesù Cristo al centro della concezione della realtà e pratica
il dialogo tra ragione e fede per aprirsi alla verità e "dare risposta ai
più profondi interrogativi dell’animo umano che non riguardano soltanto la
realtà immanente". Aperta a tutti, in particolare ai più deboli
nell’ottica di "una profonda carità educativa", la scuola cattolica
ha bisogno di educatori, laici e consacrati, che siano "competenti,
convinti e coerenti, maestri di sapere e di vita, icone imperfette, ma non
sbiadite dell’unico Maestro". Professionalità e vocazione, quindi,
dovranno andare di pari passo per insegnare ai giovani la giustizia, la
solidarietà e, soprattutto, "la promozione di un dialogo che favorisca una
società pacifica". Ciò è quanto mai importante oggi, dato che "la
scuola cattolica si trova in una situazione missionaria anche in Paesi di
antica tradizione cristiana" e quindi la sua testimonianza deve essere
"visibile, incontrabile e consapevole". Soggetto ecclesiale che mette
in pratica "la grammatica del dialogo", gli istituti formativi
cattolici diventano così "una comunità educativa" in cui si respira,
con fiducia, l’autentica concordia e la convivialità delle differenze.
L’educazione alla
cultura della cura
Ma non solo: la missione
educativa della Chiesa rientra in un progetto pastorale più ampio, quello
dell’essere “in uscita” e “in movimento”. Quest’ultimo sarà "di squadra,
ecologico, inclusivo e pacificatore", ovvero partirà dalla collaborazione
di ciascuno; contribuirà all’equilibrio con il sé, con gli altri, con il Creato
e con Dio; includerà tutti e genererà armonia e pace. La scuola cattolica ha
anche il compito di educare alla "cultura della cura", per veicolare
quei valori fondati sul riconoscimento della dignità di ogni persona, comunità,
lingua, etnia, religione, popoli e di tutti i diritti fondamentali che ne
derivano. Vera e propria "bussola" della società — conclude la prima
parte dell’Istruzione —, la cultura della cura forma persone dedite all’ascolto,
al dialogo costruttivo e alla mutua comprensione.
La promozione
dell’identità cattolica
La seconda parte del
documento è dedicata, invece a "I soggetti responsabili per la promozione
e la verifica dell’identità cattolica". Partendo dal presupposto secondo
il quale "tutti hanno l’obbligo di riconoscere, rispettare e testimoniare
l’identità cattolica della scuola, esposta ufficialmente nel progetto
formativo", si sottolinea l’importanza di proteggerne principi e valori,
anche con "la coerente sanzione di trasgressione e di delitti, applicando
rigorosamente le norme del diritto canonico, nonché del diritto civile".
Gli alunni, soggetti
attivi del processo educativo
Gli alunni, si aggiunge
poi, sono "soggetti attivi del processo educativo": vanno quindi sia
responsabilizzati a seguire il programma, sia guidati a "guardare oltre
l’orizzonte limitato delle realtà umane", realizzando la sintesi tra fede
e cultura. Al contempo, si ricorda che "i primi soggetti responsabili
dell’educazione sono i genitori, ai quali spetta il diritto-obbligo morale di
educare la prole", con i mezzi e le istituzioni scelti liberamente e
secondo coscienza, e in stretta cooperazione con i docenti. Questi ultimi, dal
canto loro, con professionalità e testimonianza di vita, devono garantire alla
scuola cattolica la realizzazione del suo progetto formativo. A tal proposito,
il documento sottolinea che spetta alla scuola stessa, seguendo la dottrina
della Chiesa, "interpretare e stabilire i parametri necessari per
l’assunzione" del personale che deve distinguersi per "retta dottrina
e probità di vita". Se una persona assunta non si attiene a tali principî,
si legge nell’Istruzione, la scuola dovrà prendere "misure
appropriate", tra cui anche le dimissioni.
I compiti dei dirigenti
scolastici e dei vescovi diocesani
Ampio spazio viene
dedicato anche ai dirigenti scolastici: veri e propri leader educativi, essi
hanno una missione ecclesiale e pastorale basata sulla collaborazione con
l’intera comunità scolastica, sul dialogo con i pastori della Chiesa e sulla
promozione e la tutela del legame con la comunità cattolica. Quindi, l’Istruzione
analizza i compiti del vescovo diocesano/eparchiale: ad esempio, a lui spetta
"il necessario discernimento e riconoscimento delle istituzioni
scolastiche fondate dai fedeli", nonché l’esplicito consenso scritto per
la fondazione di scuole cattoliche. Suo diritto-obbligo, inoltre, è quello di
vigilare sull’applicazione delle norme del diritto universale nei centri
educativi cattolici; dare ad essi disposizioni generali; visitare almeno ogni
cinque anni quelli che si trovano all’interno del suo territorio diocesano;
provvedere nel caso in cui si verifichino fatti contrari alla dottrina, alla
morale o alla disciplina ecclesiale. Tali provvedimenti andranno presi o
avvertendo i responsabili delle scuole, affinché intervengano, o agendo in
prima persona nei casi più gravi o urgenti o ricorrendo alla Congregazione per
l’Educazione cattolica.
Il dialogo costante con
la comunità
Tra gli alti compiti del
vescovo diocesano/eparchiale c’è quello di nominare o approvare i docenti di
religione, nonché di rimuovere o chiedere che un insegnante venga rimosso se
non sussistono più le condizioni della sua nomina, "rispettando sempre il
diritto di difesa" del docente, anche con l’aiuto di un avvocato formato
in diritto canonico. Infine, i presuli dovranno mantenere un dialogo costante
con l’intera comunità scolastica, affinché i problemi possano essere risolti
"nello scambio reciproco e nella conversazione fiduciosa». Lo stesso
dovranno fare le Conferenze episcopali, il Sinodo dei vescovi o il Consiglio
dei gerarchi, ai quali spetta l’emanazione di norme generali in materia di
istruzione e, in particolare, di educazione religiosa. Agli stessi organismi,
conclude la seconda parte del documento, si raccomanda di creare un’apposita
Commissione per istituire un fondo economico che aiuti il mantenimento e lo
sviluppo delle scuole cattoliche, soprattutto quelle che si trovano nel
bisogno.
La scuola cattolica non
sia un’isola
La terza parte
dell’Istruzione, intitolata "Alcuni punti critici", analizza in primo
luogo le divergenze nell’interpretazione della qualifica di “cattolica” per una
scuola. Tale interpretazione può essere riduttiva, ossia limitata solo ad
alcuni ambiti o alcune persone (ad esempio, gli insegnati di religione o il
cappellano scolastico), ma può essere anche troppo vaga, ossia centrata sul
mero "spirito cattolico" e non tenere conto della necessaria
applicazione delle norme canoniche e dell’autorità gerarchica. Un’altra
interpretazione errata è quella che vede nelle scuole cattoliche un modello
chiuso, in cui non c’è spazio per chi non è “totalmente” cattolico. Contro
questo atteggiamento, l’Istruzione mette in guardia, richiamando il modello
della “Chiesa in uscita”: "Non bisogna perdere lo slancio missionario per
chiudersi in un’isola — si legge nel documento — e allo stesso tempo occorre il
coraggio di testimoniare una 'cultura' cattolica cioè universale, coltivando la
sana consapevolezza della propria identità cristiana".
Occorre chiarezza di
competenze e legislazioni
Altro punto focale
rilevato dal documento è quello della necessaria chiarezza di competenze e
legislazioni: il principio di sussidiarietà, che "si fonda sulla
responsabilità di ciascuno davanti a Dio e distingue la diversità e la
complementarietà delle competenze", nonché gli Statuti aggiornati e non
troppo rigidi aiutano a dirimere tensioni che possono nascere in tale ambito.
Le Conferenze episcopali, il Sinodo dei vescovi o il Consiglio dei gerarchi,
inoltre, dovranno prevedere, nei Regolamenti nazionali e negli Statuti, gli
elementi necessari per superare i conflitti che possono derivare dal doppio
inquadramento normativo (canonico e statale-civile) delle scuole cattoliche.
Può accadere, infatti, che lo Stato imponga a istituzioni cattoliche pubbliche
"comportamenti non consoni" alla credibilità dottrinale e
disciplinare della Chiesa, oppure scelte in contrasto con la libertà religiosa
e la stessa identità cattolica di una scuola. In tal caso, si raccomanda
"una ragionevole azione di difesa dei diritti dei cattolici e delle loro
scuole, sia attraverso il dialogo con le autorità statali, sia mediante il
ricorso ai tribunali competenti".
I codici di
comportamento
Al contempo, si richiama
l’importanza del diritto canonico, che garantisce la comunione tra le parti
coinvolte nella missione educativa, ponendosi come un vero e proprio
"argine allo scandalo della rottura dell’unità interna della Chiesa",
nonché all’esposizione dei conflitti presso i tribunali stati e i mass media.
Sempre in nome della chiarezza, si richiede poi alle scuole cattoliche di munirsi
di una dichiarazione della propria missione, oppure di un codice di
comportamento, strumenti per la garanzia della qualità istituzionale e
professionale. Anche in quei Paesi in cui la legge civile esclude "una
discriminazione a causa della religione, dell’orientamento sessuale o di altri
aspetti della vita privata", l’Istruzione ricorda che "viene
riconosciuta alle istituzioni educative la possibilità di munirsi di un profilo
di valori e di un codice di comportamenti da rispettare". Se ciò non avviene,
dunque, i soggetti interessati possono essere sanzionati, in quanto non
adempienti ai vincoli contrattuali.
La costruzione
dell’unità
Quanto al problema della
chiusura di una scuola cattolica per difficoltà di gestione, l’Istruzione
sottolinea che la vendita o il trasferimento a enti distanti dai principî
dell’educazione cattolica per creare utili economici non sono una soluzione.
Piuttosto, sarà responsabilità del vescovo valutare ogni possibile alternativa
per "salvaguardare la continuità del servizio educativo". In
generale, comunque, nell’ottica della risoluzione dei conflitti all’interno
della comunità educativa, si raccomanda la costruzione dell’unità, basata su
alcuni elementi fondamentali: una comunicazione inclusiva e permanente che non sia
sostituita da mass-media estranei o dall’opinione pubblica; la generazione di
processi di sviluppo in grado di avviare una dinamica positiva; un profondo
discernimento che metta insieme "la dimensione umana, spirituale,
giuridica, soggettiva e pragmatica" ed eviti "dichiarazione
affrettate" che possono provocare "un grave danno oggettivo per tutta
la Chiesa e la sua missione"; l’esercizio della prudenza, affinché ogni
eventuale soluzione sia considerata "in una prospettiva di lunga durata".
Educare è dare speranza
al presente
Il documento si conclude
sottolineando che le scuole cattoliche «costituiscono un contributo molto
valido all’evangelizzazione della cultura, anche nei Paesi e nelle città dove
una situazione avversa stimola ad usare la creatività per trovare percorsi
adeguati», perché, come dice Papa Francesco, «educare è dare al presente la
speranza».
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