- di Giuseppe Savagnone *
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La recente pubblicazione dell’inchiesta sugli abusi sessuali – almeno 497,
di cui il sessanta per cento riguardanti minori tra gli 8 e i 14 anni di
età – consumati nella diocesi di Monaco di Baviera, ha rinnovato
nell’opinione pubblica l’ondata di indignazione che già si era levata,
nell’ottobre del 2021, in occasione dell’analoga indagine, commissionata
dall’episcopato francese.
Il report, commissionato dalla stessa arcidiocesi di Monaco,
è stato presentato dallo studio Westpfahl-Spilker-Wastl il 20
gennaio scorso e riguarda gli anni tra il 1945 e il 2019. Particolare
impressione ha suscitato il coinvolgimento nelle accuse di connivenza, o
almeno di tolleranza, nei confronti dei membri del clero colpevoli di quei
crimini, del papa emerito, Benedetto XVI, che fu arcivescovo di Monaco dal
1977 al 1982.
In particolare, a Ratzinger viene attribuita la responsabilità di aver
partecipato, il 15 gennaio 1980, a una riunione in cui si era discussa
la destinazione all’attività pastorale di un sacerdote – peraltro
proveniente da un’altra diocesi, Essen – di cui erano note le tendenze
sessuali e che era stato mandato a Monaco proprio per un trattamento
terapeutico.
Benedetto ha fatto sapere di aver partecipato effettivamente a
quella riunione, spiegando però che in essa ci si era limitati ad
accogliere la richiesta del sacerdote di avere fornito un alloggio nel periodo
di permanenza nella città. Il problema della gravità e delle conseguenze
di queste denunzie tuttavia rimane. Intanto esse mettono in luce una
situazione gravissima di corruzione del clero: nella sola arcidiocesi
bavarese, nell’arco di poco più di settantanni, 173 preti e 9 diaconi.
Ne può costituire un’attenuante il fatto che comunque, secondo tutte
le statistiche, il numero maggiore di abusi sui minori avvenga nella
famiglia e non sia perciò addebitabile al celibato ecclesiastico. Resta il
fatto che la Chiesa pretende di costituire una realtà alternativa alle
logiche del mondo e che da essa si deve esigere una testimonianza di
coerenza che questi episodi smentiscono.
Non è una sorpresa
In realtà, non si tratta di una sorpresa. Già nel giugno del 2021, il
cardinale Reinhard Marx, che dal 2007 è vescovo di Monaco, aveva
rassegnato le sue dimissioni – peraltro subito respinte da papa Francesco –
proprio in riferimento a questa situazione: «Sostanzialmente», aveva
dichiarato, «per me si tratta di assumermi la corresponsabilità relativa alla
catastrofe dell’abuso sessuale perpetrato dai rappresentanti della
Chiesa negli ultimi decenni. Le indagini e le perizie degli ultimi dieci
anni mi dimostrano costantemente che ci sono stati sia dei fallimenti a livello
personale che errori amministrativi, ma anche un fallimento istituzionale e
sistematico».
Ma più gravi erano state le sue considerazioni ulteriori, che suonano come
una denunzia non solo del passato, ma del presente: «Le polemiche e
discussioni più recenti hanno dimostrato che alcuni rappresentanti
della Chiesa non vogliono accettare questa corresponsabilità e pertanto
anche la colpa dell’istituzione. Di conseguenza rifiutano qualsiasi tipo
di riforma e innovazione per quanto riguarda la crisi legata all’abuso
sessuale. Io la vedo decisamente in modo diverso».
Il problema sollevato dal card. Marx va oltre la questione delle
responsabilità personali dei colpevoli degli abusi e di coloro che li
hanno in qualche modo protetti o comunque non li hanno sanzionati adeguatamente.
Su questo punto, bisogna prendere atto che proprio papa Ratzinger ha
inaugurato, durante il suo pontificato, una linea di assoluto rigore,
implicante la denunzia dei responsabili alla giustizia penale dei rispettivi
Stati, e che papa Francesco lo ha seguito, indicendo nel febbraio del 2019 un
summit sulla pedofilia in cui ha parlato della necessità di non limitarsi alle
condanne verbali, preannunciando «misure concrete».
Su questa linea, nel 2021, il Codice di diritto canonico – la legge della
Chiesa – è stato modificato, ridefinendo i casi di abuso sessuale non più, come
era prima, in rapporto agli obblighi dei consacrati, ma alla violazione della
dignità della persona, e introducendo il reato di omissione della denuncia.
Il problema del potere
Tuttavia, parlando di «un fallimento istituzionale e sistematico»,
l’arcivescovo di Monaco ha accennato a qualcosa che va oltre la questione
della coerenza etica delle singole persone e della trasparenza. Ne aveva
parlato già in occasione del summit in Vaticano del 2019.
In quell’occasione il cardinale aveva spiegato che «gli abusi sessuali
nei confronti di bambini e di giovani sono in non lieve misura dovuti
all’abuso di potere nell’ambito dell’amministrazione. A tale
riguardo, l’amministrazione non ha contribuito ad adempiere la missione
della Chiesa ma, al contrario, l’ha oscurata, screditata e resa
impossibile».
Il problema che sembra emergere da queste parole va oltre la
questione sessuale: in discussione è la logica del potere, che è la grande
tentazione del mondo e che finisce col nascondersi anche nelle strutture
della Chiesa. Una eccessiva concentrazione della “sacra potestas» nelle
mani dei pastori – parroci e vescovi – finisce per rendere incontrollabili
e inappellabili le loro scelte, mantenendo alla Chiesa di fatto una
struttura verticistica che il Concilio, privilegiando la categoria del «popolo
di Dio» su quella della piramide gerarchica, aveva cercato di
ridimensionare.
È il potere, non il sesso, il nemico più insidioso della rivoluzione
evangelica di cui la Chiesa deve esser custode e interprete. Esso sta
dietro anche agli abusi sessuali, ma non si limita a questi. E la comunità
cristiana potrà essere veramente alternativa al mondo solo se
saprà rimettersi in discussione su questo punto.
Un’occasione importante per farlo potrà essere il Sinodo – quello dei
vescovi a livello mondiale, quello delle Chiese d’Italia per il nostro
Paese –, a patto che davvero si dia spazio ai problemi di fondo, in un
libero confronto, e non ci si limiti a riempire questionari.
Intanto bisogna dare atto alla Chiesa francese e alla diocesi di Monaco
di avere commissionato – proprio loro! – le due inchieste che le hanno
messe sotto accusa e di averne accettato i risultati con un pubblico atto
penitenziale. Non è questo lo stile del potere politico, sotto tutte le
latitudini.
Sono segnali importanti di una sincera volontà di cambiamento in senso
evangelico. Non bisogna fermarsi, però, al pentimento. Sono necessarie
delle profonde trasformazioni. Perché Cristo non debba più vergognarsi di
ciò che noi facciamo della sua Chiesa.
* Scrittore ed Editorialista. Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo
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