- La Camera ha approvato l’11 gennaio la legge sullo sviluppo delle soft skills a scuola. Una presentazione sottoscritta da deputati di tutti i gruppi tranne Leu
(LaPresse)
La legge sulla “Introduzione dello
sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni
scolastiche”, approvata l’11 gennaio 2022 dalla Camera dei deputati, è
un fatto importante sin dal metodo con cui si è lavorato per ottenere questo
risultato. Presentata dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, è
stata il frutto di un lavoro comune durato due anni che ha visto impegnati
deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari. È
metodologicamente importante anche perché è una legge di iniziativa
parlamentare. Il Parlamento si deve riappropriare della funzione che gli
compete, cioè non solo di approvare le leggi che gli giungono dal Governo, ma
di essere soggetto legislatore nel pieno senso del termine.
Siamo partiti dalla constatazione della necessità di contrastare due dati preoccupanti: la povertà educativa e la dispersione scolastica, due pericoli concreti che minano la nostra istruzione. C’è un numero che dice meglio di ogni parola la situazione davanti a cui ci troviamo di fronte: 543mila. Sono gli studenti che nel 2020 hanno abbandonato la scuola dopo la licenza media, un dato drammatico, che ci posiziona in fondo alla classifica dei Paesi europei, un tasso di abbandono risalito al 14,5 per cento, con un divario territoriale che penalizza le zone interne, le molte periferie, tutte le aree che conoscono esclusione sociale e culturale e, soprattutto, il Mezzogiorno.
Dopo quasi due anni di didattica a
distanza, di mancanza di scuola in presenza, ci siamo resi conto in maniera
evidente del valore fondamentale della scuola, non perché sia venuta meno la
trasmissione di nozioni. A mancare è stato il percorso educativo fatto di rapporti, di relazione, di interazione che solo la
scuola in presenza può consentire.
Parlare di competenze non cognitive vuol
dire rafforzare la scuola delle relazioni e non solo
quella delle nozioni. È esperienza di chiunque insegni – numerose ricerche
scientifiche, tra cui gli studi del premio Nobel per l’Economia James Heckman,
e una sperimentazione fatta nella provincia di Trento lo hanno dimostrato – che
l’apprendimento migliora se si stimolano gli interessi, la curiosità, le
emozioni di ciascun alunno e questo si traduce in migliori risultati scolastici
che favoriscono tutti ma, soprattutto, sostengono chi è meritevole ma
sprovvisto di mezzi.
La scuola italiana continua a insegnare
e a valutare prevalentemente le conoscenze.
È tempo di integrare una cultura del
sapere a con una cultura della competenza, tesa a fondere strutturalmente e
programmaticamente i saperi disciplinari e le relative abilità fondamentali con
una crescita relazionale ed emotiva, fondata su competenze trasversali, qualità
caratteriali positive, per una cittadinanza attiva e consapevole, e al fine di
migliorare il successo formativo e prevenire analfabetismi funzionali. Anche
così si modernizza il nostro sistema educativo, che può così diventare volano
delle economie innovative e creative.
Questa legge è al contempo un’occasione
per ripensare ai temi che fanno parte della nostra sensibilità culturale, che
sono legati profondamente a una concezione della persona di antica tradizione.
Dobbiamo considerare il bambino, il ragazzo, il giovane nella complessità del
suo essere, nella ricchezza di saperi e competenze da un lato, senza
dimenticare l’intelligenza emotiva che lo individua dall’altro.
L’istruzione – e complessivamente
l’educazione – deve riguardare non più soltanto l’insegnamento di contenuti, ma
deve avere come focus la persona. Ogni persona
che apprende deve poter sviluppare al meglio i propri talenti, le proprie
attitudini e le proprie aspirazioni. La conoscenza e la competenza sono
sostanziate da responsabilità e autonomia, un binomio importantissimo per il
processo di formazione dei giovani nella scuola.
Educare le competenze non cognitive vuol
dire educare il pensiero critico, la creatività, la comunicazione, la capacità
di collaborazione, la coscienziosità, la consapevolezza sociale e culturale, e
vuol dire scommettere sulla curiosità, sull’iniziativa, sulla determinazione,
sull’adattabilità.
È una didattica che rimette realmente
gli studenti al centro e lavora per l’inclusione di tutti loro, perché, come
scriveva don Milani, “se si perdono loro (i
ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura
i sani e respinge i malati. Non c’è nulla
che sia più ingiusto quanto far parti
uguali fra disuguali”.
È questo un modo concreto di ridare
fiducia all’istruzione scolastica e comporta considerare le scuole come luoghi
di apprendimento largamente inteso, di costruzione comunitaria intorno al
sapere.
Per fare tutto questo la scuola
necessita di tempo, di fondi, di insegnanti preparati e formati, altrimenti
questo progetto cadrebbe nel nulla.
La legge insiste, quindi,
sull’importanza di prevedere una formazione degli insegnanti su questo aspetto,
così innovativo, dell’apprendimento e della valutazione, attraverso un piano
straordinario di azioni sia per l’accesso alla formazione docente, che per la
formazione in servizio dei docenti. Questa legge può rappresentare la prima
occasione per favorire una nuova formazione dei docenti che preveda, anche e
soprattutto, la giusta attenzione per lo sviluppo delle competenze non
cognitive nelle attività educative e didattiche. Perché, dopo avere per decenni
demistificato la figura dell’insegnante magister,
caratterizzato da una riconoscibile vocazione non tanto e non solo psicologica,
etica, professionale, relazionale culturale e civile, ma anche e soprattutto
pedagogica, si è dovuto concludere che, se non esistono da incontrare maestri
di questo tipo, i giovani se li vanno a cercare, adulterati e inverosimili nei
luoghi più impensati e improbabili, dai social alle strade.
Certo, si poteva fare di più, si
potevano coinvolgere le famiglie come alcuni hanno proposto. Si potevano
stanziare più risorse, ma quelle messe a disposizione sono comunque
significative: oltre a quelle per la sperimentazione, per le quali si attingerà
al fondo della Buona Scuola, ci sono 1,05 milioni di euro nel triennio
destinati alla formazione dei docenti sulle competenze non cognitive, un bel
passo avanti rispetto ai 350mila euro preventivati in origine. Ed è positivo
anche il fatto che in questa sperimentazione siamo incluse anche scuole
paritarie, scuole pubbliche a pieno titolo.
Fino ad ora tutto questo era lasciato
alla buona volontà dei singoli insegnanti, era lasciato all’autoformazione, era
lasciato al passaggio tra docenti di buone pratiche oppure all’esperienza sul
campo. Questa autonomia è un tema di cui andare fieri, non va eliminata, ma con
questa legge, finalmente, quello che era lasciato al buon cuore degli
insegnanti inizia a diventare un percorso formativo voluto, finanziato,
sviluppato e migliorato dal ministero dell’Istruzione. Adesso sarà un percorso
sperimentale per un triennio ma successivamente, dopo attenta valutazione
ministeriale, si spera possa diventare un percorso formativo definitivo.
La legge è stata approvata con 340 voti
a favore su 345 votanti, nessun voto contrario e 5 astenuti. Riteniamo che un
consenso così ampio a una legge che parla di bambine e di bambini, di ragazze e
di ragazzi, in una fase in cui sono stati fra le vittime principali della
pandemia e delle chiusure e sono costantemente considerati o degli untori o
comunque una fascia di persone da sacrificare per lasciare spazio ad altro,
crediamo che sia un segnale importante, che rimette la scuola tra le priorità
del Paese con una visione lunga sul futuro delle nuove generazioni.
CRITICITA' DEL DISEGNO DI LEGGE
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