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venerdì 30 luglio 2021

VACCINARSI? E' QUESTIONE DI RESPONSABILITA'!


LA COMPLESSA 
BATTAGLIA SUI VACCINI

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-         di Giuseppe Savagnone*

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Un effetto immediato del Covid 19 è la controversia che si è sviluppata in tutto il mondo occidentale sulla somministrazione dei vaccini. Riassumerne i termini è meno semplice di come a prima vista sembrerebbe. Non la si può ridurre, infatti, alla contrapposizione tra i fautori dei vaccini (vax) e gli oppositori (no–vax). È vero, ci sono quelli – i cosiddetti “negazionisti” – che ritengono la pandemia il prodotto di un gigantesco gioco illusionistico, appositamente creato da un lato per legittimare il restringimento delle libertà individuali e instaurare un potere dittatoriale, dall’altro per favorire le multinazionali farmaceutiche.

Secondo i sostenitori di questa posizione, i numeri dei malati di Covid e dei morti sarebbero stati fin dall’inizio falsati deliberatamente, includendo nel totale le vittime di tutte le altre patologie già esistenti a prescindere dal virus. Saremmo di fronte a un complotto internazionale, di fronte a cui la sola risposta possibile è la ribellione contro le imposizioni pseudo-sanitarie come i lockdown, l’obbligo della mascherina, il divieto di assembramenti e – ovviamente – i vaccini.

Accanto a questi “negazionisti” in linea di principio, ce ne sono altri, forse più numerosi, che lo sono di fatto che, senza bisogno di alcuna teoria, se ne sono infischiati e tuttora se ne infischiano delle raccomandazioni e dei divieti. Sono scesi in piazza in massa senza mascherina e senza distanziamento sociale per festeggiare le vittorie della squadra italiana agli Europei di calcio, organizzano feste e frequentano assiduamente la movida. Anche questo atteggiamento di indifferenza nei confronti del virus si riflette, probabilmente, sul ricorso o meno al vaccino.

Una risposta a questa posizione, teorica o anche solo pratica, dei no-vax, potrebbe venire dai dati resi pubblici dall’Organizzazione mondiale della sanità all’inizio di luglio, che parlano di più di quattro milioni di morti causati dal Coronavirus. Quanto alla pretesa inclusione delle vittime di ogni altra malattia in questo numero, può essere utile sapere che nel nostro Paese, secondo il rapporto Istat, tra marzo e dicembre 2020 (i primi mesi della pandemia), sono stati registrati 108.178 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019 (21% di eccesso). E questo dopo che, nei mesi precedenti, si era invece avuto un calo della mortalità legata alle patologie tradizionali.

Ma c’è anche il parere della comunità scientifica, di cui si sono spesso evidenziati i dissensi, ma che, con rarissime eccezioni, ha convenuto sull’esistenza della pandemia e sulla sua gravità, pur dividendosi – come è normale di fronte a fenomeni nuovi – su questioni particolari.

Naturalmente si possono accusare anche le statistiche dell’Oms e dell’Istat, nonché il mondo scientifico, di far parte del “grande complotto”, ma a questo punto la posizione dei “negazionisti” non differirebbe molto da quella di coloro che rifiutano la teoria copernicana, continuando a sostenere che la terra è piatta (“terrapiattisti”).

Motivi reali di difesa e di critica dei vaccini

Se la controversia suscitata dal problema dei vaccini fosse riducibile ai termini sopra esposti, essa sarebbe abbastanza facilmente risolvibile, come lo sono sempre state quelle tra i fautori del progresso scientifico e i suoi oppositori.

Se però, al di là dei no-vax in senso stretto, si vogliono prendere in considerazione tutti coloro che stanno reagendo con serie critiche alla campagna vaccinale in corso – nel nostro Paese come nel mondo –, la questione si rivela assai più complessa.

Da una parte, infatti, si continua a ripetere, come ha fatto il presidente della Repubblica recentemente, che «la vaccinazione è un dovere morale e civico». Da qui le pressioni esercitate in varie forme, a volte molto vincolanti, specialmente su coloro che, nel loro lavoro, hanno occasioni di contatto con altri, come gli insegnanti e i lavoratori delle industrie.

E le ragioni sono evidenti. Innanzi tutto quelle sanitarie. Con i vaccini, pur dovendo ancora fare i conti con le possibili varianti, la mortalità registra un netto rallentamento. Ci si può ammalare, ma normalmente ciò accade in forme più leggere. La maggior parte dei ricoverati nei reparti di terapia intensiva, durante questa ondata di contagi dovuta alla variante Delta, sono persone non vaccinate.

C’è poi l’aspetto economico e sociale. La vaccinazione della maggior parte della popolazione può consentire la ripresa – o la continuazione, là dove erano state proseguite – delle attività produttive, di quelle turistiche e di quelle scolastiche. Il vaccino permette di evitare la drammatica scelta, che i governi si sono trovati davanti in questi mesi, tra la tutela della salute e quella del  lavoro e della scuola.

Dall’altra, però, si fa notare che i vaccini contro il Covid sono ancora sperimentali e che il brevissimo tempo occorso per la loro validazione sul piano scientifico e sanitario non ha permesso di completare tutto l’iter richiesto normalmente per questo tipo di prodotti. A parte le incognite che già riguardano la loro somministrazione nel presente – sono noti i gravissimi effetti collaterali (anche letali) che hanno spinto alcuni Paesi a escludere la somministrazione di AstraZeneca –, non è possibile ancora prevedere quali ne saranno gli effetti a medio e lungo termine.

Questo carattere sperimentale è tanto più inquietante se si tiene conto che i vaccini contro il Covid – ricavati, sotto la pressione dell’emergenza, utilizzando precedenti ricerche finalizzate alla cura dei tumori – non si basano sui tradizionali paradigmi terapeutici, propri di tutti gli altri vaccini, ma iniettano nell’organismo dell’mRNA. La loro incidenza è dunque ben più radicale di quella dei vaccini in uso finora, ed eventuali conseguenze negative potrebbero rivelarsi particolarmente devastanti.

Invece il nostro governo – e non solo il nostro – ha fatto della compagna vaccinale un progetto di massa, moltiplicando i luoghi dove è possibile vaccinarsi e soprattutto omettendo di segnalare a chi si vaccina i rischi a cui va incontro. Si parla addirittura di stabilire un “obbligo” per gli insegnanti, allo scopo di garantire la riapertura in sicurezza delle scuole a settembre…

Ma si può imporre l’assunzione di un farmaco ancora sperimentale senza trasformare milioni di persone in cavie umane, misconoscendo i loro diritti e la loro dignità?

 C’è una cura che viene tenuta nascosta?

Questa domanda diventa particolarmente inquietante se si tiene conto di coloro che, pur restando estranei alla fanatica posizione dei no-vax, sostengono che l’enfasi sulla vaccinazione nasconde il fatto che i vaccini non sono affatto l’unica speranza di sconfiggere la pandemia, perché essa può essere già ora combattuta con successo applicando i protocolli messi a punto dalle varie associazioni di medici e infermieri che hanno avviato le cure domiciliari precoci nei pazienti Covid.

Ora, esistono senz’altro dati che indicano una certa rilevanza della terapia domiciliare precoce del Covid, provenienti soprattutto dagli USA e mutuati in Italia dal gruppo di cure domiciliari. Ma gli studi in questione si concludono sempre con la precisazione che sono necessari ulteriori ricerche cliniche per definire il reale rischio/beneficio di queste terapie. Anche l’Unione Europea, annuncia  che in autunno potrebbero essere disponibili cinque nuovi farmaci curativi ma, si aggiunge, «a condizione che i dati definitivi ne dimostrino la sicurezza, la qualità e l’efficacia». A parte il fatto che prevenire è in ogni caso meglio che curare, e per la prevenzione sono i vaccini la nostra attuale unica speranza.

Il green-pass e il rischio di una discriminazione dei cittadini

Si collega a questa problematica il recente intervento di due noti filosofi italiani, Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, i quali denunciano il concreto pericolo che l’introduzione del green-pass come “lasciapassare”, praticamente obbligatorio, da ottenere vaccinandosi, dia luogo alla «discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B», creando una situazione che è tipica dei regini totalitari. Si tratterebbe, aggiungono, di «un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica».

E citano la «Gazzetta Ufficiale del Parlamento europeo» del 15 giugno u.s.: «È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate».

«Nessuno invita a non vaccinarsi!», precisano gli autori dell’intervento. Ma, spiegano, non si può demonizzare chi, temendo gli effetti ancora in larga misura ignori del vaccino, preferisce non farlo.

 Quale libertà e quale bene comune?

Siamo davanti a un quadro ben più complesso di quanto la semplice contrapposizione tra “vax” e “no-vax” lasciava pensare. In particolare gli argomenti di Cacciari e Agamben – anche alla luce dei reali problemi scientifici che i vaccini, come abbiamo visto, comportano – fanno pensare. Si tratta di una di quelle situazioni in cui valori autentici entrano in conflitto tra loro e costringono in ogni caso a sacrifici dolorosi. Qui è in gioco la difficile conciliazione tra libertà e bene comune.

Può aiutare a ridurre (non a eliminare) la drammaticità di questa tensione la considerazione che la libertà non si può ridurre, come vorrebbe la prospettiva liberale oggi dominante, al rispetto dell’autonomia e dei diritti degli individui. La persona è veramente libera quando si assume la responsabilità del destino degli altri. Nel caso del Covid, la rinunzia alla propria sfera di autonomia è il prezzo da pagare per questa condivisione e dunque per essere veramente liberi.

All’altro polo, bisogna aver chiaro che il bene comune non si realizza col sacrificio delle persone, come vorrebbe il totalitarismo, ma solo se è il luogo della loro vera realizzazione. Perciò, personalmente, non sono d’accordo con una imposizione per legge della vaccinazione. Ma sono convinto che quella che stiamo sperimentando sia un’occasione per rimettere in discussione il nostro modo di concepire e di vivere la libertà. Per questo penso che abbia ragione il presidente della Repubblica quando definisce la vaccinazione un dovere – non giuridico, ma «morale e civico».

 

Nota: Ringrazio il dott. Daniele Briguglia, medico impegnato fin dall’inizio sul fronte del Covid, per la sua preziosa consulenza scientifica. 

 

*Pastorale Cultura Diocesi Palermo

www.tuttavia.eu


 

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