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venerdì 30 luglio 2021

VACCINARSI? E' QUESTIONE DI RESPONSABILITA'!


LA COMPLESSA 
BATTAGLIA SUI VACCINI

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-         di Giuseppe Savagnone*

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Un effetto immediato del Covid 19 è la controversia che si è sviluppata in tutto il mondo occidentale sulla somministrazione dei vaccini. Riassumerne i termini è meno semplice di come a prima vista sembrerebbe. Non la si può ridurre, infatti, alla contrapposizione tra i fautori dei vaccini (vax) e gli oppositori (no–vax). È vero, ci sono quelli – i cosiddetti “negazionisti” – che ritengono la pandemia il prodotto di un gigantesco gioco illusionistico, appositamente creato da un lato per legittimare il restringimento delle libertà individuali e instaurare un potere dittatoriale, dall’altro per favorire le multinazionali farmaceutiche.

Secondo i sostenitori di questa posizione, i numeri dei malati di Covid e dei morti sarebbero stati fin dall’inizio falsati deliberatamente, includendo nel totale le vittime di tutte le altre patologie già esistenti a prescindere dal virus. Saremmo di fronte a un complotto internazionale, di fronte a cui la sola risposta possibile è la ribellione contro le imposizioni pseudo-sanitarie come i lockdown, l’obbligo della mascherina, il divieto di assembramenti e – ovviamente – i vaccini.

Accanto a questi “negazionisti” in linea di principio, ce ne sono altri, forse più numerosi, che lo sono di fatto che, senza bisogno di alcuna teoria, se ne sono infischiati e tuttora se ne infischiano delle raccomandazioni e dei divieti. Sono scesi in piazza in massa senza mascherina e senza distanziamento sociale per festeggiare le vittorie della squadra italiana agli Europei di calcio, organizzano feste e frequentano assiduamente la movida. Anche questo atteggiamento di indifferenza nei confronti del virus si riflette, probabilmente, sul ricorso o meno al vaccino.

Una risposta a questa posizione, teorica o anche solo pratica, dei no-vax, potrebbe venire dai dati resi pubblici dall’Organizzazione mondiale della sanità all’inizio di luglio, che parlano di più di quattro milioni di morti causati dal Coronavirus. Quanto alla pretesa inclusione delle vittime di ogni altra malattia in questo numero, può essere utile sapere che nel nostro Paese, secondo il rapporto Istat, tra marzo e dicembre 2020 (i primi mesi della pandemia), sono stati registrati 108.178 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019 (21% di eccesso). E questo dopo che, nei mesi precedenti, si era invece avuto un calo della mortalità legata alle patologie tradizionali.

Ma c’è anche il parere della comunità scientifica, di cui si sono spesso evidenziati i dissensi, ma che, con rarissime eccezioni, ha convenuto sull’esistenza della pandemia e sulla sua gravità, pur dividendosi – come è normale di fronte a fenomeni nuovi – su questioni particolari.

Naturalmente si possono accusare anche le statistiche dell’Oms e dell’Istat, nonché il mondo scientifico, di far parte del “grande complotto”, ma a questo punto la posizione dei “negazionisti” non differirebbe molto da quella di coloro che rifiutano la teoria copernicana, continuando a sostenere che la terra è piatta (“terrapiattisti”).

Motivi reali di difesa e di critica dei vaccini

Se la controversia suscitata dal problema dei vaccini fosse riducibile ai termini sopra esposti, essa sarebbe abbastanza facilmente risolvibile, come lo sono sempre state quelle tra i fautori del progresso scientifico e i suoi oppositori.

Se però, al di là dei no-vax in senso stretto, si vogliono prendere in considerazione tutti coloro che stanno reagendo con serie critiche alla campagna vaccinale in corso – nel nostro Paese come nel mondo –, la questione si rivela assai più complessa.

Da una parte, infatti, si continua a ripetere, come ha fatto il presidente della Repubblica recentemente, che «la vaccinazione è un dovere morale e civico». Da qui le pressioni esercitate in varie forme, a volte molto vincolanti, specialmente su coloro che, nel loro lavoro, hanno occasioni di contatto con altri, come gli insegnanti e i lavoratori delle industrie.

E le ragioni sono evidenti. Innanzi tutto quelle sanitarie. Con i vaccini, pur dovendo ancora fare i conti con le possibili varianti, la mortalità registra un netto rallentamento. Ci si può ammalare, ma normalmente ciò accade in forme più leggere. La maggior parte dei ricoverati nei reparti di terapia intensiva, durante questa ondata di contagi dovuta alla variante Delta, sono persone non vaccinate.

C’è poi l’aspetto economico e sociale. La vaccinazione della maggior parte della popolazione può consentire la ripresa – o la continuazione, là dove erano state proseguite – delle attività produttive, di quelle turistiche e di quelle scolastiche. Il vaccino permette di evitare la drammatica scelta, che i governi si sono trovati davanti in questi mesi, tra la tutela della salute e quella del  lavoro e della scuola.

Dall’altra, però, si fa notare che i vaccini contro il Covid sono ancora sperimentali e che il brevissimo tempo occorso per la loro validazione sul piano scientifico e sanitario non ha permesso di completare tutto l’iter richiesto normalmente per questo tipo di prodotti. A parte le incognite che già riguardano la loro somministrazione nel presente – sono noti i gravissimi effetti collaterali (anche letali) che hanno spinto alcuni Paesi a escludere la somministrazione di AstraZeneca –, non è possibile ancora prevedere quali ne saranno gli effetti a medio e lungo termine.

Questo carattere sperimentale è tanto più inquietante se si tiene conto che i vaccini contro il Covid – ricavati, sotto la pressione dell’emergenza, utilizzando precedenti ricerche finalizzate alla cura dei tumori – non si basano sui tradizionali paradigmi terapeutici, propri di tutti gli altri vaccini, ma iniettano nell’organismo dell’mRNA. La loro incidenza è dunque ben più radicale di quella dei vaccini in uso finora, ed eventuali conseguenze negative potrebbero rivelarsi particolarmente devastanti.

Invece il nostro governo – e non solo il nostro – ha fatto della compagna vaccinale un progetto di massa, moltiplicando i luoghi dove è possibile vaccinarsi e soprattutto omettendo di segnalare a chi si vaccina i rischi a cui va incontro. Si parla addirittura di stabilire un “obbligo” per gli insegnanti, allo scopo di garantire la riapertura in sicurezza delle scuole a settembre…

Ma si può imporre l’assunzione di un farmaco ancora sperimentale senza trasformare milioni di persone in cavie umane, misconoscendo i loro diritti e la loro dignità?

 C’è una cura che viene tenuta nascosta?

Questa domanda diventa particolarmente inquietante se si tiene conto di coloro che, pur restando estranei alla fanatica posizione dei no-vax, sostengono che l’enfasi sulla vaccinazione nasconde il fatto che i vaccini non sono affatto l’unica speranza di sconfiggere la pandemia, perché essa può essere già ora combattuta con successo applicando i protocolli messi a punto dalle varie associazioni di medici e infermieri che hanno avviato le cure domiciliari precoci nei pazienti Covid.

Ora, esistono senz’altro dati che indicano una certa rilevanza della terapia domiciliare precoce del Covid, provenienti soprattutto dagli USA e mutuati in Italia dal gruppo di cure domiciliari. Ma gli studi in questione si concludono sempre con la precisazione che sono necessari ulteriori ricerche cliniche per definire il reale rischio/beneficio di queste terapie. Anche l’Unione Europea, annuncia  che in autunno potrebbero essere disponibili cinque nuovi farmaci curativi ma, si aggiunge, «a condizione che i dati definitivi ne dimostrino la sicurezza, la qualità e l’efficacia». A parte il fatto che prevenire è in ogni caso meglio che curare, e per la prevenzione sono i vaccini la nostra attuale unica speranza.

Il green-pass e il rischio di una discriminazione dei cittadini

Si collega a questa problematica il recente intervento di due noti filosofi italiani, Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, i quali denunciano il concreto pericolo che l’introduzione del green-pass come “lasciapassare”, praticamente obbligatorio, da ottenere vaccinandosi, dia luogo alla «discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B», creando una situazione che è tipica dei regini totalitari. Si tratterebbe, aggiungono, di «un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica».

E citano la «Gazzetta Ufficiale del Parlamento europeo» del 15 giugno u.s.: «È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate».

«Nessuno invita a non vaccinarsi!», precisano gli autori dell’intervento. Ma, spiegano, non si può demonizzare chi, temendo gli effetti ancora in larga misura ignori del vaccino, preferisce non farlo.

 Quale libertà e quale bene comune?

Siamo davanti a un quadro ben più complesso di quanto la semplice contrapposizione tra “vax” e “no-vax” lasciava pensare. In particolare gli argomenti di Cacciari e Agamben – anche alla luce dei reali problemi scientifici che i vaccini, come abbiamo visto, comportano – fanno pensare. Si tratta di una di quelle situazioni in cui valori autentici entrano in conflitto tra loro e costringono in ogni caso a sacrifici dolorosi. Qui è in gioco la difficile conciliazione tra libertà e bene comune.

Può aiutare a ridurre (non a eliminare) la drammaticità di questa tensione la considerazione che la libertà non si può ridurre, come vorrebbe la prospettiva liberale oggi dominante, al rispetto dell’autonomia e dei diritti degli individui. La persona è veramente libera quando si assume la responsabilità del destino degli altri. Nel caso del Covid, la rinunzia alla propria sfera di autonomia è il prezzo da pagare per questa condivisione e dunque per essere veramente liberi.

All’altro polo, bisogna aver chiaro che il bene comune non si realizza col sacrificio delle persone, come vorrebbe il totalitarismo, ma solo se è il luogo della loro vera realizzazione. Perciò, personalmente, non sono d’accordo con una imposizione per legge della vaccinazione. Ma sono convinto che quella che stiamo sperimentando sia un’occasione per rimettere in discussione il nostro modo di concepire e di vivere la libertà. Per questo penso che abbia ragione il presidente della Repubblica quando definisce la vaccinazione un dovere – non giuridico, ma «morale e civico».

 

Nota: Ringrazio il dott. Daniele Briguglia, medico impegnato fin dall’inizio sul fronte del Covid, per la sua preziosa consulenza scientifica. 

 

*Pastorale Cultura Diocesi Palermo

www.tuttavia.eu


 

TERZO SETTORE, FATTORE DI SVILUPPO


 LA GRANDE LEVA 

DEL TERZO SETTORE

 

-         Di LEONARDO BECCHETTI

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Nel corso degli ultimi mesi un ruolo decisivo per curare e attenuare le ferite della pandemia stato giocato nel nostro Paese dal Terzo settore - ovvero da quell’insieme di enti e organizzazioni che si pone uno scopo socialmente meritorio e opera in settori come quelli di salute, assistenza, mense dei poveri, riduzione dello spreco, formazione permanente, parità di genere, cultura, sport, cooperazione internazionale attraverso modalità organizzative sempre nuove che oggi includono tra le molteplici forme organizzative le fondazioni comunità, le cooperative di comunità e le cooperative sociali. L’importanza dell’operato del Terzo settore non è forse ancora compresa appieno dall’opinione pubblica. Nel corso degli ultimi decenni è invece progressivamente cresciuto e si è consolidato il consenso tra gli economisti sul ruolo fondamentale del 'capitale sociale' come collante e precondizione per lo sviluppo e la coesione sociale.

Studi e ricerche hanno 'identificato' la capacità di dare e ricevere fiducia, la reciprocità, il senso civico, la disponibilità a pagare per i beni pubblici come le sue componenti chiave e si sono domandati se e in che modo fosse possibile 'produrre' o accrescere questa risorsa fondamentale. Questo dibattito ci aiuta a comprendere da una prospettiva nuova il ruolo e il valore di tali organizzazioni.

Gli enti di Terzo settore, infatti, non sono soltanto la risposta più prossima e celere ai bisogni emergenti della società, ma – nel loro operare attraverso il tempo e le energie donate da dipendenti e volontari – alimentano e costruiscono quel capitale sociale che è prerequisito fondamentale per lo sviluppo economico e sociale. La complementarità tra lavoro del Terzo settore e dinamiche sociali e produttive italiane può essere verificata da molteplici esempi. Per farne solo uno, la ricca e variegata schiera di organizzazioni volontarie che si propongono di valorizzare attrattori culturali e paesaggistici dei diversi territori produce un beneficio indiretto per tutto il settore produttivo (turistico, agroalimentare, della ristorazione, alberghiero, dei trasporti) i cui profitti dipendono dall’attrattività del territorio stesso. Le parole chiave per lo sviluppo futuro del settore e per la creazione di una partnership creativa con le istituzioni e con le imprese profit sono generatività, impatto, ibridazione e co-progettazione.

L’innovazione del Terzo settore punta, infatti, a una crescita di capacità di creare impatto sociale e ambientale combinandola con la creazione di valore economico e mettendo al centro della propria azione la promozione della dignità della persona. Anche una recente sentenza della Corte Costituzionale sostiene la rivoluzione della coprogettazione. Gli enti di Terzo settore non sono solo potenziali vincitori di bandi costruiti dalla pubblica amministrazione ma per le loro competenze, conoscenza dei problemi del territorio e sensibilità sociale possono concorrere con l’amministrazione alla definizione delle politiche sociali.

Nella motivazione della sentenza, la Corte Costituzionale giustifica questa scelta affermando che «gli enti di Terzo settore, in quanto rappresentativi della 'società solidale', del resto, spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della 'società del bisogno'».

Next Generation Eu riconosce questo valore e destina 11,17 miliardi a infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore. Le parole chiave del piano sono deistituzionalizzazione, domiciliarità, progetti personalizzati. Si sarebbe potuto investire meglio e di più sostenendo con incentivi l’innovazione sociale e la costruzione di reti e partenariati che moltiplicano capacità e qualità d’intervento del Terzo settore. Si deve puntare con lucidità ed efficacia su realtà che è una grande risorsa per l’Italia. Anche e soprattutto nello scenario attuale non può essere persa l’occasione di puntare in modo sempre più efficace al grande traguardo di promuovere dignità e sviluppo della persona mettendo al centro la relazione di cura che è il vero motore dell’energia necessaria a ogni vera ripresa e della ricchezza di senso del vivere.

 

*Professore Università Tor Vergata.  

Presidente del comitato tecnico-scientifico di Next - Nuova economia per tutti


www.avvenire.it


SCUOLA E TERZO SETTORE PER CRESCERE INSIEME


Scuola, 5 mln per progetti in collaborazione con il Terzo Settore. Disponibili anche ulteriori 10 mln da distribuire alle scuole per l’ampliamento dell’offerta formativa

Il Ministero dell’Istruzione rafforza la collaborazione con il Terzo Settore, per favorire il potenziamento degli apprendimenti delle studentesse e degli studenti e per ampliare l’offerta formativa delle scuole su tutto il territorio nazionale. A disposizione, 5 milioni di euro, che vengono stanziati attraverso un Avviso pubblicato sul sito del MI. I progetti proposti dovranno favorire il successo formativo di alunne e alunni, utilizzando metodi innovativi di apprendimento e coinvolgimento di studentesse e studenti.
“Nella nuova scuola che stiamo costruendo, il compito del sistema educativo sarà ancora più centrale, per formare cittadine e cittadini consapevoli - dichiara il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi -. Lavoriamo a una scuola aperta e inclusiva, in costante rapporto con il territorio. Per questo è importante avviare una nuova modalità nei rapporti con il Terzo Settore, che ha un ruolo fondamentale per assicurare il legame e la sintonia tra l’istruzione e il mondo esterno. Ringrazio tutti gli Enti che collaboreranno con il Ministero e con gli istituti per educare ragazze e ragazzi alla difesa dei diritti, alla sensibilità sociale, alla legalità, alla tutela dell'ambiente, alla costruzione di un futuro sostenibile”.

È la prima volta che il Ministero si rivolge direttamente al Terzo Settore con un bando dedicato agli Enti che ne fanno parte. L’Avviso è finalizzato alla co-progettazione di iniziative, destinate alle scuole, sui seguenti temi:

  • contrasto alle mafie e legalità;
  • inclusione;
  • sostenibilità e transizione ecologica;
  • promozione dell’internazionalizzazione dei percorsi formativi;
  • promozione del libro e della lettura.

Una volta selezionati i migliori progetti, il Ministero pubblicherà un Avviso rivolto alle scuole, che potranno candidarsi per partecipare alle iniziative finanziate.

Inoltre, nel corso di questa settimana, saranno pubblicati ulteriori Avvisi finalizzati al finanziamento di progettualità per l’ampliamento dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche (legge 440/1997). Lo stanziamento complessivo è di 10 milioni di euro, che saranno destinati direttamente alle scuole, che potranno finanziare, ad esempio, l’istituzione di sportelli per l’autismo, attività di potenziamento delle competenze logico-matematiche, di riduzione della dispersione scolastica, di contrasto al bullismo e al cyberbullismo, di miglioramento dell’orientamento.

L’obiettivo è supportare la realizzazione di progettualità e la sperimentazione di pratiche innovative che potranno essere messe a disposizione di tutto il sistema d’Istruzione, in una logica di condivisione delle esperienze e della conoscenza. A tal fine, anche per garantire il rispetto della normativa vigente e consentire il monitoraggio sul corretto utilizzo delle risorse, le candidature delle scuole, nonché tutta la documentazione prodotta (sia amministrativa che di progetto) dovranno essere caricate su un’apposita piattaforma messa a disposizione dal Ministero (piattaforma “MonitorPimer”).
Per tutte queste iniziative, il Ministero offrirà assistenza alle istituzioni scolastiche, tramite i consueti canali dell’Help Desk Amministrativo Contabile (per problematiche organizzative, amministrative e gestionali) e del Service Desk (per problematiche tecniche).

Il Decreto

 www.istruzione.it


giovedì 29 luglio 2021

CREATO: NON PREDATORI MA CUSTODI


Di fronte alle devastanti immagini causate da roghi e piogge abbondanti dalla Sardegna al Comasco, il presidente dei vescovi italiani e con lui, la Caritas, esprime vicinanza e solidarietà a chi ha perso case e attività commerciali, ma soprattutto lancia un appello a vincere la tentazione dell'egoismo e a coltivare il rispetto per i doni della creazione

 

-         di Gabriella Ceraso e Lisa Zengarini

 

Acqua in abbondanza e fiamme diffuse sferzano l'Italia da nord a sud "provocando danni incalcolabili", in Sardegna e nel Comasco, a danno di cittadini, imprese e ambiente. Davanti a questo dramma si leva la parola dei vescovi della penisola. "Vicinanza e solidarietà alle popolazioni della Sardegna, messe a dura prova" e a "quelle del Nord Italia, colpite dalla furia del maltempo” la esprime a nome dell’Episcopato, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei:

Promuoviamo una società attenta al Creato

"Nell’esprimere gratitudine a quanti – Forze dell’ordine, Protezione Civile e volontari - si stanno adoperando per bonificare le aree colpite e portare soccorso e solidarietà concreta - scrive il cardinale - assicuro la mia preghiera e quella di tutta la Chiesa che è in Italia, stringendoci attorno a quanti hanno perso casa e lavoro. Rivolgo infine un appello affinché, come chiede Papa Francesco, tutti si prendano cura della madre Terra, vincendo la tentazione dell’egoismo che ci rende predatori, coltivando il rispetto per i doni della creazione, adottando un nuovo stile di vita e promuovendo una società attenta al Creato."

In Sardegna si calcola, sottolinea il presidente dei vescovi, che siano "oltre 20mila gli ettari di boschi e terreni agricoli andati in fumo, numerose le aziende e le abitazioni bruciate". A questo si aggiunge il danno per gli animali, risorsa primaria per "l'economia dell'intera regione". La più colpita è la diocesi di Alghero-Bosa, insieme ad alcune zone dell’Oristanese, dell’Ogliastra e del Sassarese. Altrettanti danni con allagamenti si registrano nella zona del Comasco in particolare, legati a forti temporali e grandinate.

Caritas: il grido della terra e dei poveri ci interpelli

Alla voce dei vescovi  si unisce quella della Caritas italiana che - riferisce un comunicato - si è attivata insieme ai presuli sardi per portare aiuto alla popolazione. “La gestione dei boschi e i cambiamenti climatici – sottolinea don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana – sicuramente hanno favorito il propagarsi delle fiamme, la cui origine però si presume sia ancora una volta dolosa. Da sardo – aggiunge – mi sento doppiamente ferito, tuttavia il ripetersi di questi disastri, come anche le emergenze che si stanno verificando in questo periodo in altre zone del Paese, devono interpellarci tutti: è il grido della terra e dei poveri di cui parla Papa Francesco che deve spingerci verso profonde trasformazioni, alla ricerca di un diverso modo di vivere. Verso quella transizione ecologica indicata dai vescovi italiani nel Messaggio per la 16ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato che si celebra il 1° settembre. 

Dobbiamo ripensare – afferma -  la qualità della vita umana, ritrovare una prospettiva pastorale: il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, per orientare a nuovi stili di vita e di cittadinanza responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità”.

 

Vatican News



 

 

 

 

UNA BUONA RISATA PER RESPIRARE LA VITA


Abbiamo bisogno di tornare a sorridere. Siamo stati costretti per troppo tempo a coprire il volto con la mascherina, contagiati dalla paura dell'incertezza, bloccati dentro le mura di casa, isolati gli uni dagli altri. Sentiamo la necessità di tornare a sorridere alla nostra libertà, alla bellezza di ciò che abbiamo, alla solita normalità per sentirci più uniti e più forti insieme. 

Con un sorriso possiamo contagiare tutti coloro che ci stanno intorno: sarà una nuova vicinanza per respirare una nuova umanità, uno scambio di sorrisi per intrecciare relazioni veramente umane. Di fronte ai mesi terribili che abbiamo vissuto e ancora stiamo attraversando confesso un certo imbarazzo a scrivere queste pagine sul valore di un sorriso.

Parlarne può sembrare insensato. Tuttavia, durante i duri mesi del lockdown in molti mi hanno esplicitamente chiesto di aiutarli a sorridere di nuovo, con qualche battuta delle mie. Quando anch'io sono stato preso in ostaggio dall'ansia e dalla paura, nonostante la mascherina, tanti lo hanno notato perché gli occhi si erano spenti e non trovavo motivi per sorridere.



Dettagli: 

Autore: A. Albertini

Titolo: UNA BOCCATA DI RISATE

Editore In Dialogo

Formato Brossura

Pubblicato 26/07/2021

Pagine 176

Lingua Italiano

Isbn o codice id9788832047585

Costo: € 18,00

 

mercoledì 28 luglio 2021

L'INFANZIA AI TEMPI DELLA PANDEMIA


 Comunicato del “Coordinamento Nazionale per le politiche dell'infanzia e della sua scuola”

 AIMC, ANDIS, CIDI, FNISM, MCE, FLC CGIL, CISL SCUOLA, Federazione UIL SCUOLA RUA SNALS-CONFSAL

 

Ripartire – Ripensare - Responsabilità: raccontare l’infanzia ai tempi della pandemia

 

- Il “Coordinamento Nazionale per le politiche dell'infanzia e della sua scuola” composto da associazioni ed organizzazioni sindacali, consapevole che la pandemia ha modificato profondamente le relazioni sociali ed educative, prosegue l'attività di ascolto e di confronto con tutti i protagonisti che costituiscono la realtà quotidiana delle bambine e dei bambini e lancia la campagna: "Racconta l’infanzia al tempo della pandemia”.

 La campagna si rivolge agli operatori del settore, alle famiglie e tutti coloro che sono impegnati in attività educative rivolte alle bambine e ai bambini da 0 a 6 anni, che possono partecipare condividendo e socializzando la propria esperienza per mettere a frutto i vissuti di ognuno e rilanciare un'idea di scuola e di società fondata sull’accoglienza, sulla condivisione, sull’inclusione. 

 E’ possibile inviare il proprio breve contributo, che evidenzi criticità e punti di forza di questo periodo, conquiste e  perdite che si sono generate, entro la fine di settembre 2021, compilando i seguenti moduli per insegnante/educatore/dirigente/ collaboratore: https://forms.gle/KSjQJWsjD9wNw67D6   

o per genitore: https://forms.gle/2MTrrLq1xzSX6Yt18 .

 Le modalità di partecipazione inoltre, saranno pubblicate sui siti delle organizzazioni e delle associazioni che compongono il Coordinamento: AIMC, ANDIS, CIDI, FNISM, MCE, FLC CGIL, CISL SCUOLA, Federazione UIL SCUOLA RUA SNALS-CONFSAL

 Ripartire – Ripensare - Responsabilità saranno le parole d'ordine per affrontare le sfide che il mondo dell'infanzia pone dopo oltre un anno caratterizzato da incertezze e timori, ma anche da uno straordinario impegno per dare valore e significato a un percorso di crescita che non si è interrotto e che ricostruiremo attraverso i racconti di chi lo ha vissuto.



 

 

 

martedì 27 luglio 2021

LO SCANDALO DELLA FAME

 Il Papa: fame nel mondo, 

scandalo e crimine 

contro i diritti umani

Al pre-vertice Onu sui sistemi alimentari, apertosi oggi a Roma, Francesco ricorda che è dovere di tutti “estirpare l’ingiustizia” della fame globale attraverso politiche coraggiose. Il messaggio del Pontefice è stato letto da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati

 

-         di Isabella Piro – Città del Vaticano

 

Sfida, scandalo, crimine, ingiustizia: sono parole ben chiare quelle con cui il Papa definisce la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione nell’era del Covid-19. E lo fa con un messaggio indirizzato ad António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del pre-vertice Onu sui sistemi alimentari, in programma da oggi a mercoledì 28 luglio a Roma. L’evento si tiene in vista del Summit conclusivo globale che si svolgerà a settembre prossimo a New York, negli Stati Uniti. Si tratta di “un incontro importante”, scrive Francesco, soprattutto perché “questa pandemia ci ha messo di fronte alle ingiustizie sistemiche che minano la nostra unità come famiglia umana”. tra queste ci sono la povertà e i danni inflitti alla Terra, “nostra casa comune”, attraverso “l’uso irresponsabile e l’abuso dei beni che Dio ha posto in essa".

Serve cambiamento radicale

Di qui, il forte appello del Papa ad “un cambiamento radicale”: non basta, infatti, puntare sulla tecnologia per aumentare la produzione del pianeta, se poi il risultato è quello della “sterilizzare la natura”, “ampliando i deserti sia esteriori che interiori, spirituali”; non basta produrre “abbastanza cibo” se poi “molti rimangono senza il pane quotidiano”. Non basta, ribadisce Francesco, perché “questo costituisce un vero scandalo, un crimine che viola i diritti umani fondamentali” e “un’ingiustizia” che tutti “hanno il dovere di estirpare attraverso azioni concrete, buone pratiche, e politiche locali e internazionali coraggiose”.

Sistemi alimentari siano sostenibili e rispettosi dell’ambiente

Cosa fare, dunque? Il Pontefice offre alcuni suggerimenti specifici: in primo luogo, i sistemi alimentari devono essere trasformati in modo “attento e corretto”, così da poter essere “sostenibili dal punto di vista ambientale e rispettosi delle culture locali”. Il loro obiettivo, in sostanza, dovrà essere quello di “aumentare la resilienza, rafforzare le economie locali, migliorare la nutrizione, ridurre gli sprechi alimentari e fornire diete sane e accessibili a tutti”. Ma il cambiamento deve partire dall’interno, mette in guardia Francesco, perché l’obiettivo “fame zero” non si raggiunge con la mera produzione del cibo, bensì “con una nuova mentalità, un approccio olistico e la progettazione di sistemi alimentari che proteggano la Terra e mantengano, al centro, la dignità della persona umana”.

Ripristinare centralità del settore agricolo e rurale

In secondo luogo, prosegue il messaggio pontificio, il cibo deve essere assicurato in modo bastevole “a livello globale e il lavoro dignitoso deve essere promosso a livello locale”, affinché il mondo di oggi si possa nutrire “senza compromettere il futuro”. Altri punti essenziali indicati dal Papa riguardano il ripristino della centralità del settore rurale e l’urgenza che “il settore agricolo riacquisti un ruolo prioritario nel processo decisionale politico ed economico”, soprattutto nella fase post-pandemica. In particolare, Francesco esorta a considerare “i piccoli agricoltori e le famiglie contadine come attori privilegiati”, le cui conoscenze tradizionali non vanno “trascurate o ignorate”, così da comprenderne meglio i bisogni reali.

Famiglia, componente essenziale dei sistemi alimentari

Anzi: il Papa sottolinea che “la famiglia è una componente essenziale dei sistemi alimentari” perché è qui che “si impara a godere dei frutti della Terra senza abusarne” ed è qui che si scoprono “stili di vita che rispettano il bene personale e comune”. I bisogni delle donne rurali, dei giovani e degli agricoltori nelle zone “più povere e remote” vanno quindi soddisfatti pienamente grazie a politiche efficaci. Al contempo, il Papa si dice consapevole del fatto che ci sono “interessi economici potenti che impediscono di progettare un sistema alimentare che risponda ai valori del bene comune, della solidarietà e della cultura dell’incontro”; tuttavia, per mantenere “un multilateralismo fruttuoso” e un sistema alimentare responsabile, sono fondamentali “la giustizia, la pace e l’unità della famiglia umana”.  

Il sogno di Francesco: nessuno venga lasciato indietro

Del resto, il sogno che tutti hanno “la responsabilità di realizzare”, scrive ancora Francesco, è quello di “un mondo in cui il pane, l’acqua, le medicine e il lavoro fluiscano in abbondanza e raggiungano prima i più poveri”. Si tratta di “un nobile obiettivo” al servizio del quale la Santa Sede e la Chiesa cattolica si pongono, offrendo il loro contributo “ed unendo forze e volontà, azioni e decisioni sagge”. “Nessuno venga lasciato indietro – conclude il messaggio pontificio – ed ogni persona sia in grado di soddisfare le sue necessità di base”, così da “costruire una società pacifica, prospera”, e davvero fraterna.

 

Il pre-vertice Onu sui sistemi alimentari, Smerilli: cibo nutriente per tutti

 

MENSAJE DEL SANTO PADRE FRANCISCO


 


 

 

ANZIANI E GIOVANI, UNA NUOVA ALLEANZA

Tra giovani e anziani 
una nuova alleanza

 nella società e nella Chiesa

Oggi, prima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani voluta da Francesco. Nell'omelia preparata dal Papa e pronunciata da monsignor Fisichella, che ha presieduto stamattina la Messa per l'occasione nella Basilica vaticana, si sottolinea la necessità di tenere uniti "il tesoro della tradizione e la freschezza dello Spirito". I nonni e gli anziani, ricorda Francesco, non sono degli avanzi di vita o scarti da buttare

Adriana Masotti - Città del Vaticano

 

Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, apre la celebrazione assicurando all'assemblea e a tutti gli anziani in ascolto, la vicinanza del Papa che non è presente in Basilica ma li saluterà alla fine della Messa nel corso dell'Angelus. Per lui questi sono giorni di convalescenza, dice, "e noi desideriamo che non si affatichi ulteriormente, perché possa trascorrere questi ultimi giorni in riposo per riprendere pienamente le forze e il suo ministero pastorale".

In questa prima Giornata mondiale dedicata ai nonni e agli anziani, "vedere", "condividere" e "custodire" sono i tre verbi che Papa Francesco utilizza nell'omelia preparata per descrivere il rapporto tra le generazioni, auspicando una nuova alleanza per "condividere il tesoro comune della vita", per "sognare insieme", e "per preparare il futuro di tutti", superando egoismi e solitudini. Le parole del Papa, pronunciate dall'arcivescovo, prendono spunto dal brano del Vangelo di Giovanni che narra uno dei miracoli di Gesù spinto dalla compassione per la folla che lo seguiva. “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” chiede Gesù a Filippo. "Gesù - sottolinea il Papa - si lascia interrogare dalla fame che abita la vita della gente", trasforma i cinque pani d'orzo e i due pesci ricevuti e dopo che tutti avranno mangiato, i discepoli raccoglieranno ancora ciò che è avanzato "perché nulla vada perduto". Gesù, dunque, vede la fame, condivide il pane, fa custodire i pezzi avanzati. 

Vedere: c'è bisogno di uno sguardo attento

L’evangelista Giovanni sottolinea un particolare: Gesù alza gli occhi e vede la folla affamata dopo aver camminato tanto per incontrarlo. Lo sguardo di Gesù, commenta Francesco, non è indifferente o indaffarato:

Egli si preoccupa di noi, ha premura per noi, vuole sfamare la nostra fame di vita, di amore e di felicità. Negli occhi di Gesù vediamo lo sguardo di Dio: è uno sguardo attento, che si accorge di noi, che scruta le attese che portiamo nel cuore, che scorge la fatica, la stanchezza e la speranza con cui andiamo avanti. Uno sguardo che sa cogliere il bisogno di ciascuno: agli occhi di Dio non esiste la folla anonima, ma ogni persona con la sua fame.

Anche i nonni e gli anziani hanno avuto quello stesso sguardo con noi, fa notare il Papa, quando, nella nostra infanzia, si sono presi cura di noi:

Dopo una vita spesso fatta di sacrifici, non sono stati indifferenti con noi o indaffarati senza di noi. Hanno avuto occhi attenti, colmi di tenerezza. Quando stavamo crescendo e ci sentivamo incompresi, o impauriti per le sfide della vita, si sono accorti di noi, di cosa stava cambiando nel nostro cuore, delle nostre lacrime nascoste e dei sogni che portavamo dentro. Siamo passati tutti dalle ginocchia dei nonni, che ci hanno tenuti in braccio. Ed è anche grazie a questo amore che siamo diventati adulti.

Una società che corre, è indifferente

Papa Francesco invita tutti a domandarsi quale rapporto abbiamo oggi con i nostri nonni, se ci ricordiamo di loro e se facciamo loro compagnia e dice: Soffro quando vedo una società che corre, indaffarata e indifferente, presa da troppe cose e incapace di fermarsi per rivolgere uno sguardo, un saluto, una carezza. Ho paura di una società nella quale siamo tutti una folla anonima e non siamo più capaci di alzare lo sguardo e riconoscerci.   I nonni, prosegue, hanno bisogno della nostra attenzione, hanno bisogno di sentirci accanto.

Condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo

La moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù, osserva nella sua omelia il Papa, avviene grazie al dono di un ragazzo disposto a condividere con gli altri quello che ha. E prosegue: Oggi c’è bisogno di una nuova alleanza tra giovani e anziani, di condividere il tesoro comune della vita, di sognare insieme, di superare i conflitti tra generazioni per preparare il futuro di tutti. Senza questa alleanza di vita, di sogni e di futuro, rischiamo di morire di fame, perché aumentano i legami spezzati, le solitudini, gli egoismi, le forze disgregatrici. Spesso, nelle nostre società abbiamo consegnato la vita all’idea che “ognuno pensa per sé”. Ma questo uccide! Il Vangelo ci esorta a condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo: solo così possiamo essere saziati.  Solo unendo profezia ed esperienza, tradizione e freschezza, afferma ancora il Papa, possiamo andare avanti. Giovani e anziani insieme nella società e nella Chiesa, è la sua esortazione.

Custodire: nulla e nessuno va scartato

Nulla agli occhi di Dio va scartato, nulla deve andare perduto. Se Gesù si preoccupa di raccogliere il pane avanzano, tanto più vanno custodite le persone. Il Papa afferma: "nessuno è da scartare": I nonni e gli anziani non sono degli avanzi di vita, degli scarti da buttare. Sono quei pezzi di pane preziosi rimasti sulla tavola della nostra vita, che possono ancora nutrirci con una fragranza che abbiamo perso, “la fragranza della memoria”. Non perdiamo la memoria di cui gli anziani sono portatori, perché siamo figli di quella storia e senza radici appassiremo. Essi ci hanno custoditi lungo il cammino della crescita, ora tocca a noi custodire la loro vita, alleggerire le loro difficoltà, ascoltare i loro bisogni, creare le condizioni perché possano essere facilitati nelle incombenze quotidiane e non si sentano soli.

Stabilire un'alleanza con i nostri anziani 

Ancora una volta Francesco, al termine della sua omelia, invita ciascuno a farsi un esame di coscienza riguardo all'attenzione che dedica ai nonni e anche agli anziani del proprio quartiere. E a ricordare il bene ricevuto. 

Per favore, non dimentichiamoci di loro. Alleiamoci con loro. Impariamo a fermarci, a riconoscerli, ad ascoltarli. Non scartiamoli mai. Custodiamoli nell’amore. E impariamo a condividere con loro del tempo. Ne usciremo migliori.

 Vatican News


 

sabato 24 luglio 2021

CINQUE PANI E DUE PESCI

 

-  Vangelo: Gv. 6,1-15

Per ben cinque domeniche lasciamo l’Evangelo di Marco per entrare nell’immenso capitolo sesto di Giovanni: il segno dei pani ed il discorso che, a partire da quel segno, è detto il discorso sul pane di vita in cui c’è una delle sette autorivelazioni che Gesù fa nel Quarto Evangelo. In queste domeniche leggeremo questo lungo discorso e non sarà facile, soprattutto perché è un discorso ampio ed unitario e lo spezzettamento non giova alla comprensione. Questa domenica siamo posti dinanzi al “segno”: la moltiplicazione dei pani. È il “miracolo” più attestato dagli Evangeli, raccontato ben sei volte (Marco e Matteo hanno ciascuno due moltiplicazioni dei pani!) e che Giovanni, come sempre, rilegge in una prospettiva narrativa e teologica “altra”.

I richiami di questo racconto giovanneo sono molteplici: quell’abbondanza di erba verde ci ricorda irresistibilmente il Salmo 23; «a pascoli erbosi mi fa riposare… prepari per me una mensa»; Gesù è il Pastore che guida e nutre il suo gregge, in Giovanni è Lui che si accorge del problema della folla, è Lui che lo pone ai discepoli (nei Sinottici è il contrario!); l’evangelista si compiace di affermare che così li metteva alla prova. Ed eccoci qui ad un altro richiamo: che può voler dire “mettere alla prova”? Certo c’è un chiaro riferimento alla prova di Israele nel deserto, a quel tempo di prova in cui il popolo si lamentò nel deserto ed il Signore concedette loro la manna…non a caso, nel discorso che seguirà, Gesù farà un riferimento alla manna.

Però la prova cui sottopone Filippo e gli altri discepoli è nello stesso stile dell’Esodo ma anche più ampia: la prova sarà una prova pasquale. Giovanni è preciso nella sua cronologia e ci dice che questo segno è dato da Gesù quando «era vicina la Pasqua dei Giudei» (è ancora l’antica Pasqua ma che già si sta dischiudendo a quella definitiva!) ed i discepoli ora devono attraversare questo deserto; essi hanno lasciato tutto ed hanno seguito Gesù con entusiasmo, hanno provato con Lui la gioia della Parola che corre, hanno visto le folle che accorrevano, ma ora inizia un tempo diverso; infatti, proprio in questo capitolo Giovanni ci mostrerà la crisi, gli abbandoni, le incomprensioni… il Figlio di Dio si sta gettando in un deserto di solitudine e di dolore per cercare noi uomini abbandonati e dolenti, si sta avventurando in un deserto senza sicurezze umane, anzi in cui la sua umanità verrà annientata e calpestata… lì, però, per Giovanni, è deposta la gloria di Dio; lì si dovrà saper vedere «l’amore fino all’estremo» (cfr. Gv 13,1); in questo paradosso!

I suoi discepoli dovranno attraversare questo deserto di prova; dovranno fidarsi di Dio e di Colui che Egli ha inviato… e dovranno farlo al di là di ogni umana certezza. La scena allora diventa paradigmatica: in questa povertà di tutto, in questo “estremo” in cui la debolezza e l’assenza di ogni certezza è l’unica certezza (!) c’è solo una cosa da fare: dare tutto quello che si è e si ha… o c’è questo abbandono o non si è fecondi! Ecco il nucleo durissimo ma profondo di questo racconto giovanneo! Quel ragazzino con i cinque pani e i due pesci è “segno” di questa piccolezza che dà tutto (sette è numero di totalità!) credendo all’incredibile! Come sfamare una folla grandissima con cinque pani e due pesci? Dice “saggiamente” Andrea: «cosa è questo per tanta gente?» e sono le stesse parole che l’uomo del racconto della prima lettura del Secondo libro dei Re dice ad Eliseo!

Ecco però che la piccolezza e la debolezza davvero offerte diventano fecondità! Notiamo subito una cosa: nei Sinottici Gesù rifiuta, nelle tentazioni nel deserto, di far diventare le pietre pane (cfr. per esempio Mt 4, 3-4) perché significherebbe saltare l’umano! Non si fa pane dalle pietre! No! Il pane è fatto di aratura, semina, cura, mietitura, macina, impasto, cottura, distribuzione… fare pane dalle pietre è saltare la fatica e questo Gesù non lo fa per sé e non lo vuole per i suoi discepoli! Gesù qui moltiplica il pane fatto di fatica e di lavoro… come dire? Rende fecondi fatica e lavoro! Quella piccolezza che è la nostra vita personale (che cosa è mai la mia vita, il mio “sì” dinanzi ai bisogni del mondo, dinanzi ai suoi drammi?), se data davvero senza riserve, in totalità (totalità richiamata dal numero sette) può diventare salvezza, nutrimento… al di là dei calcoli numerici e delle proporzioni; allora si smette di dire «che cosa è questo per tanta gente?»! Ci si accorge che per tanta gente, per il mondo, servono uomini capaci di dare tutto… basta! Lì poi il Signore compirà il segno! In quel “tutto” dato!

La prova è dunque credere che nei deserti dell’uomo, nelle perversioni della mondanità, nella sproporzione tra il mondo e la piccolezza dell’Evangelo la sola cosa che conta è dare tutto se stesso! Come fece Gesù! Salì sulla croce da solo, in un’impressionante asimmetria tra la sua piccolezza di reietto, condannato a morte e la moltitudine degli uomini che attendono salvezza, consapevoli o inconsapevoli! Cosa è la croce di Cristo rispetto al dolore del mondo, rispetto all’immensità dei problemi del mondo e dei suoi “torrenti” di lacrime e sangue? Agli occhi di tanti fu nulla, men che nulla, ma proprio lì dimorò la parola definitiva di speranza per tutta l’umanità! La prova che i discepoli ora devono attraversare li deve portare ad affrontare la Pasqua di Gesù e poi anche le loro Pasque, i loro Esodi, quelli che nella sequela di Cristo li porteranno a dover sperimentare l’“estremo”, il rifiuto del mondo, l’ostilità del mondo ma anche la potenza dell’Evangelo!

La liturgia di oggi ci impone una riflessione sul dono di quello che siamo… di tutto quello che siamo! Troppi limiti poniamo al dono di noi stessi! A volte quello che siamo ci pare proprio poco: solo «cinque pani e due pesci»; sembra nulla rispetto alle esigenze del Regno, rispetto ai bisogni del mondo! Quanti cristiani non danno la vita perché schiacciati dalla loro piccolezza e inadeguatezza! Quante chiamate per il Regno restano senza risposta per questi motivi, per questo inganno! Sì, un inganno perché proprio quei cinque pani e due pesci sono ciò di cui il Signore ha bisogno per dare il pane del Regno al mondo affamato e disorientato. Fin quando non ragioniamo così siamo ancora schiavi dei calcoli mondani e delle proporzioni del mondo. Per il mondo le grandi imprese si compiono con grandi mezzi, per l’Evangelo la più grande impresa della storia, restituire l’umanità a Dio, è avvenuta per mezzo della vergogna della croce, attraverso il sì di quel “frammento” che fu Gesù di Nazareth ed attraverso il suo amore… e l’Evangelo cominciò a “correre” per il mondo attraverso i piedi stanchi di un piccolo gruppetto di uomini fragili e pieni di limiti.

Gli apostoli però poterono farlo perché certo ricordarono quella gran folla sfamata da soli cinque pani e due pesci! Gli uomini delle nostre origini credettero che la debolezza, offerta a Dio, diviene luogo della sua potenza! Ecco la prova: crediamo nella debolezza e “stoltezza” dell’Evangelo? Il problema è che ancora oggi tanti nella Chiesa pensano come il mondo e vogliono affrontare le grandi imprese dell’Evangelo con grandi mezzi… Speriamo che dopo le “riduzioni”, a cui la storia e anche gli ultimi eventi pandemici ci hanno condotti, usciamo finalmente da questo inganno del fidarsi dei “grandi mezzi” per il servizio al Regno! L’impresa del Regno si compie solo in un modo: offrire tutto noi stessi. Noi abbiamo una sola vita ed è preziosa per la sua unicità ed irrepetibilità: a chi o a che cosa la diamo?

 

Clarusonline