Un “prima gli italiani” non sovranista
In un momento in cui le dimissioni del segretario del Pd
evidenziano le divisioni e le contraddizioni di questo partito, agitando lo
scenario della vita politica italiana, la notizia che più ha colpito l’opinione
pubblica è che Draghi ha bloccato l’esportazione di 250.000 vaccini
AstraZeneca, prodotti in Italia ma destinati dall’azienda farmaceutica
all’Australia.
Una mossa – concordata con l’UE – che evidenzia la
possibilità di tutelare con fermezza gli interessi italiani senza cadere nella
logica del sovranismo e che, piuttosto, conferma la linea dura adottata da
premier nei confronti delle multinazionali farmaceutiche, più sensibili ai
propri profitti che al rispetto degli accordi presi con i governi (come
AstraZeneca, inadempiente nei confronti di quello italiano).
La drastica presa di posizione di Draghi smentisce le
reiterate accuse rivoltegli in questi giorni da certi giornali, dichiaratamente
“di parte”, di non aver cambiato niente, riflettendo gli umori di quegli
italiani che guardano con delusione al permanere, anzi all’accentuarsi delle
misture restrittive, senza rendersi conto che i provvedimenti presi finora non
erano frutto di un arbitrio, come qualcuno sosteneva, ma nascevano dai problemi
oggettivi posti dalla pandemia.
Al di là del populismo
In realtà, se appena si ha la capacità di alzare lo sguardo
per aprirsi a una visione d’insieme, è innegabile che qualcosa sta cambiando. È
lo stile con cui il presidente del Consiglio sta gestendo l’emergenza. Si dirà
che è una questione di forma e non di sostanza. Ma in politica – e non solo là
– spesso la forma e la sostanza coincidono.
È un dato di fatto che Draghi, al di là delle più che discutibili scelte nella formazione del governo, con la sua autorevolezza ha restituito prestigio e forza all’autorità dello Stato. Da troppo tempo questa autorità era stata esercitata da personaggi che ne avevano indebolito l’immagine e la credibilità. Sullo sfondo, c’era la logica populista (e, remotamente, rousseauiana), secondo cui chi governa è solo un portavoce della volontà generale del popolo sovrano. Salvo, poi, ad assistere alla manipolazione di questa volontà popolare da parte di abili demagoghi. Da qui i famosi “contratti” di Berlusconi col popolo italiano e le sue promesse iperboliche. Da qui la denuncia dei 5stelle contro la “casta”. Da qui i bagni di folla di Salvini nelle piazze. In questa logica si collocava anche il titolo di «avvocato del popolo» assunto da Conte. Il risultato finale era stato quello di governi in balìa del tiro alla fune tra i partiti che avrebbero dovuto sostenerli, dell’andamento dei sondaggi, degli esiti delle consultazioni sulla piattaforma Rousseau, dei continui contrasti con le regioni.
Un nuovo stile
Draghi ha dato un taglio a tutto questo. È lui, come prevede del resto la Costituzione, a rappresentare il governo. Dai tempi in cui, nel primo esecutivo Conte, un ministro faceva il bello e il cattivo tempo, arrivando a dichiarare pubblicamente che dell’opinione del presidente del Consiglio non gli importava nulla, sono passati meno di due anni, ma sembrano cento. E, così come non è lo zimbello dei partiti, Draghi non è neppure l’avvocato del popolo. Non fa dipendere la sua autorità dalla «volontà generale», ma dalla carica legittimamente assunta per la designazione del presidente della Repubblica e il voto del Parlamento. È il rappresentante dello Stato. Per questo può permettersi di seguire una linea politica impopolare, senza deflettere di fronte a critiche e malumori, e senza neppure dover ricorrere a quelle continue conferenze stampa con cui il suo predecessore cercava di tenere alto il livello del consenso. Emblematica di questa linea fortemente “istituzionale” la scelta di un militare, il generale Figliuolo – e non di un imprenditore, com’era Domenico Arcuri –, al posto di Commissario straordinario per l’emergenza Covid 19. Draghi sa di non poter contare ciecamente sul senso di responsabilità di una parte della popolazione, che continua a protestare contro le ultime chiusure e a violare i criteri più elementari di prudenza. E neppure su quello dei partiti della coalizione di “unità nazionale” che sostengono il suo governo, al cui interno non mancano coloro che strizzano l’occhio al malcontento popolare, facendo il doppio gioco. Ma l’imperturbabilità del volto del premier riflette una fermezza che non si lascia turbare, almeno all’apparenza, da questi inconvenienti.
Il rapporto con le regioni e con l’Europa
Anche con i governatori regionali il nuovo governo sembra avere una più chiara volontà di esigere un orientamento comune. È evidente, in una emergenza che coinvolge tutto il Paese, che gli interessi e i punti di vista delle singole regioni vanno tenuti presenti, ma non possono essere assunti come normativi. È necessario, per la somministrazione dei vaccini, seguire regole comuni ed evitare gli arbìtri. Su questa linea si sta muovendo Draghi e, anche se la resistenza degli egoismi particolaristici è forte, anche questa è una novità. Di questo maggiore protagonismo dello Stato è un ulteriore segno il progetto di promuovere la produzione di vaccini anti-Covid in Italia. Ne stanno parlando il ministro Giorgetti e i rappresentanti di Farmindustria, l’associazione delle aziende del settore. Le delusioni derivanti dal comportamento ambiguo e scorretto delle multinazionali farmaceutiche – oltre che dalle incertezze della gestione dei vaccini da parte dell’Europa – sta spingendo il governo a cercare una strada che potrebbe essere più lunga, ma si prospetta più sicura. Va ricordato, a questo proposito, che l’approvvigionamento di vaccini anti-Covid non riguarda solo l’emergenza in atto, ma anche il futuro, perché si prevede che la vaccinazione debba essere ripetuta anche nei prossimi anni. Sarebbe dunque importante non dipendere dal balletto delle promesse e delle marce indietro delle attuali case produttrici.
Ma non è il ritorno della politica…
Ritorna dunque lo Stato. Non certo contro il popolo – è stato
il populismo a inventare questa contrapposizione – ma, almeno in linea di
principio, al servizio del bene comune, che ha come suo fruitore fondamentale
proprio il popolo. Non si può ancora dire se la svolta di Draghi produrrà gli
effetti sperati – è troppo presto per dare un giudizio sull’orientamento
politico complessivo di questo governo –, ma è innegabile che, almeno nello
stile e nel metodo, qualcosa è cambiato. Qualche commentatore ha visto in
questo un ritorno della politica. È un giudizio ottimistico che purtroppo non
si può condividere. Il soggetto ultimo della politica, in una democrazia, non è
lo Stato, ma la comunità dei cittadini. Lo Stato è un organo, che può
funzionare più o meno bene, ma non può sostituire la comunità politica. Ora è
proprio questa che negli ultimi decenni, in Italia, si è imbarbarita,
inseguendo slogan sempre più ingannevoli. Anche la decadenza del senso dello
Stato è una conseguenza di questa deriva. E non basta certo una figura attenta
al senso delle istituzioni, com’è l’attuale presidente del Consiglio, a
riscattare il vuoto di coscienza e di responsabilità verso il bene comune, che
si manifesta anche nei comportamenti quotidiani di tante persone e che si
riflette, poi, in tante convulsioni autoreferenziali dei partiti, di cui
l’ultima, in casa del Pd, è un esempio.
… perché questo dipende da noi
È dai “rappresentati” che bisogna ricominciare, se si vuole
che la categoria dei “rappresentanti” cambi, non solo quantitativamente (come
nella riforma approvata dall’ultimo referendum) ma, quel che più conta,
qualitativamente. È necessario un nuovo stile di partecipazione. Bisogna ridare
forza alle idee rispetto alle chiacchiere, alle argomentazioni rispetto agli
stati d’animo irrazionali, alla verità rispetto alle fake news.
Ogni cittadino è chiamato a questo risveglio civile, a
partire da se stesso e cercando di suscitarlo negli altri. Ci sono nella nostra
società risorse di umanità che possono e devono essere valorizzate e immesse
nella vita pubblica, anche utilizzando gli stessi social che oggi spesso
veicolano piuttosto rabbia, odio e disinformazione. C’è una responsabilità
degli intellettuali che dev’essere riscoperta da loro stessi, prima che dagli
altri. C’è una presa di coscienza richiesta ad ognuno, quale che sia il suo
ruolo, di fronte a una carenza che colpisce tutti e che il Covid ha solo
evidenziato. Così – e solo così – ritorna la politica.
*Pastorale Cultura Diocesi Palermo
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