Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres
ha ribadito il 17 febbraio scorso, in un discorso al Consiglio di sicurezza,
che la distribuzione dei vaccini nel mondo è stata «enormemente diseguale e
ingiusta»: dieci Paesi si sono accaparrati il 75% di tutti i vaccini Covid-19
messi a disposizione dalle case farmaceutiche, mentre ce ne sono più di
centotrenta che non hanno ricevuto neppure una dose.
Sulla stessa lunghezza d’onda la denuncia di the ONE Campaign
– una ONG che si batte contro povertà e malattie prevedibili –, secondo cui le
nazioni con le economie più avanzate nel mondo hanno accumulato un miliardo di
dosi di vaccino anti-Covid in più del necessario, mentre molti di quelli in via
di sviluppo non hanno ricevuto ancora neppure una fiala.
Da settimane Guterres invita i Paesi ricchi a non cedere alla
logica del «nazionalismo dei vaccini» e, anche nel discorso del 17 febbraio, ha
insistito perché si realizzi con urgenza «un piano globale delle vaccinazioni
che riunisca tutti quelli che hanno il potere e le capacità scientifica,
tecnologica e finanziaria richieste». «In questo momento critico», ha detto il
segretario generale dell’ONU, l’equità sui vaccini è la più grande prova morale
che la comunità globale si trova di fronte».
Parte da questo dato la proposta del presidente francese
Emmanuel Macron, che ha chiesto all’Europa e agli Stati Uniti di inviare il 5%
delle loro forniture ai Paesi che ne mancano del tutto. In realtà, la
preoccupazione di Macron non è solo di ordine umanitario. I soli vaccini che
stanno arrivando ai Paesi più poveri vengono dalla Russia e dalla Cina, che
trovano in questo frangente un’occasione per allargare la loro influenza
politica, specialmente in Africa. Ultimamente, però, il G7 sembra puntare,
piuttosto che sulla redistribuzione dei vaccini, sul finanziamento del
piano mondiale per la loro somministrazione, facendo esplicita menzione della
necessità di aiutare i Paesi poveri, ma senza cambiare le regole di fondo che
hanno determinato l’attuale squilibrio.
L’appello della «Fratelli tutti»
A pochi mesi dalla promulgazione dell’enciclica «Fratelli
tutti» (4 ottobre 2020) l’emergenza della pandemia viene a confermare la
tragica attualità della denunzia di papa Bergoglio e del suo appello a una
svolta radicale nella gestione delle risorse a livello planetario. Proprio in
apertura del documento si trova il riferimento a Francesco d’Assisi, il quale
«invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello
spazio» e «dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui,
quanto se fosse accanto a lui”» (n.1). È la logica del Vangelo, che il
pontefice propone come sola risposta, anche a livello umano, al ritorno di
un’idea dell’unità del popolo e della nazione» che «crea nuove forme di egoismo
e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli
interessi nazionali» (n.11).
Una speranza delusa
Proprio nella «Fratelli tutti» si esprimeva la speranza che
l’emergenza della pandemia costituisse un’occasione di fraternità: «Una
tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per
un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga
sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati
che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (n.32).
La vicenda dei vaccini sta purtroppo dimostrando che il
prevalere degli egoismi nazionali non è debellato dalla globalizzazione, anzi
stabilisce con essa un’alleanza perversa e conferma le considerazioni più
negative dell’enciclica. «Siamo più soli che mai in questo mondo massificato
che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione
comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone
svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori. L’avanzare di questo
globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé
stessi, ma cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere,
rendendole più vulnerabili e dipendenti. In tal modo la politica diventa sempre
più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il “divide
et impera”» (n.12).
La fallacia della teoria della «mano invisibile»
Non è lo spettacolo che abbiamo avuto sotto gli occhi in
queste settimane, dove, in stretta sinergia con gli egoismi nazionali, è
apparso evidente il potere incontrollato delle multinazionali farmaceutiche, il
cui fondamentale movente è di trarre il maggior profitto possibile dalla
catastrofe umanitaria in atto?
Certo, dirà qualcuno, hanno fatto miracoli nel realizzare in
pochi mesi quello che in tempi normali richiedeva un lavoro di anni. E che in
questo abbiano avuto di mira il loro vantaggio economico non è una colpa, ma la
logica dell’impresa in un sistema di mercato. E in fondo il loro interesse era
lo stesso della comunità, confermando l’idea del fondatore dell’economia
politica, Adam Smith, secondo cui c’è una «mano invisibile» che fa convergere
gli interessi dei privati, pur caratterizzati da un fisiologico egoismo, nel
bene di tutti.
Ma proprio quello a cui stiamo assistendo, a livello
mondiale, nel caso della pandemia costituisce la più chiara smentita della
teoria liberista di Smith. Lasciando il campo al gioco degli interessi
particolari, il risultato è che quelli dei più forti prevalgono su quelli dei
più deboli e, ben lungi dall’armonizzarsi con essi, in un bene comune in cui
alla fine siano appagate le esigenze di tutti, li schiacciano senza pietà.
La posizione della Chiesa
Si verifica ciò che dice la «Fratelli tutti»: «Certe parti
dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce
un settore umano degno di vivere senza limiti» (n.18). Centinaia di milioni di
persone si stanno trovano ai margini della corsa alla salvezza fisica, perché
sprovviste del denaro necessario ad avere quello che altri, più fortunati, sono
riusciti ad avere, grazie alla maggiore capacità dei loro Paesi di pagare il
prezzo richiesto dalle case farmaceutiche.
Davanti a questo vale la decisa presa di posizione della
Chiesa, espressa nella «Fratelli tutti»: «Il mondo esiste per tutti, perché
tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le
differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza
e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i
privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti» (n.118).
Il potere incontrollato dell’economia
La logica puramente capitalistica delle multinazionali farmaceutiche
– «gli affari sono affari…» – si è peraltro evidenziata anche nei confronti
degli stessi Paesi ricchi, talora costretti a contratti iugulatori dalla loro
condizione di debolezza verso chi deteneva il quasi monopolio di un farmaco
indispensabile. Per non parlare dei ritardi e del mancato rispetto di questi
accordi, di cui alcuni paesi sono stati vittime, protestando e minacciando
azioni legali, ma trovandosi obbligati, alla fine, a fare buon viso a cattivo
gioco.
È il prevalere del potere economico su quello politico,
energicamente denunziato da papa Francesco, sia nell’ultima enciclica, sia
nella precedente, «Laudato si’» , con il conseguente venir meno del primato del
bene comune a favore degli interessi privati.
Non sembra esagerato prevedere che – se è vero, come
sostengono alcuni scienziati, che il Covid-19 è solo il primo di una serie di
virus che potrebbero in futuro aggredire l’umanità provocando pandemie non meno
gravi di quella in corso – il mondo di domani è destinato ad essere controllato
non dai politici, non dai militari, non dagli scienziati, ma dalle
multinazionali farmaceutiche, da cui dipenderà la sopravvivenza fisica delle
popolazioni.
C’è a chiedersi se sia questo il senso della giusta
valorizzazione della proprietà privata. Citando la sua enciclica precedente,
Francesco ha ricordato nella «Fratelli tutti» che «la tradizione cristiana non
ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà
privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di
proprietà privata» (n.120).
«Se li mori moiano»
Ma il deterioramento più grave non è quello che colpisce il
sistema, bensì la regressione umana che questa situazione rivela. Le parole del
segretario generale dell’ONU costituiscono una risposta a chi trovava
pessimistica l’affermazione della «Fratelli tutti» secondo cui «nel mondo
attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono»
(n.30).
Questo appare ancora più doloroso se si pensa che buona parte
della popolazione privilegiata appartiene all’area occidentale del pianeta,
cresciuta nella tradizione cristiana. Torna in mente il caso di quel frate,
cappellano su una nave negriera, che nel suo diario, registrando con
preoccupazione la difficile situazione in cui i naviganti si trovavano a causa
di una bonaccia che immobilizzava il veliero, soprattutto la mancanza d’acqua,
annotava con innocente franchezza il suo auspicio che il capitano decidesse di
riservarla, da quel momento in poi, di riservarla solo all’equipaggio, non distribuendola
più agli schiavi ammassati nella stiva. «E, se li mori moiano», concludeva, «ci
vuol pazienza».
Può darsi che si trovino dei rimedi parziali alla grave
situazione di discriminazione e di ingiustizia che abbiamo davanti agli occhi.
Ma i problemi che essa evidenzia non si risolvono con mosse tattiche. È il
sistema che va cambiato. Questo, però, esige un risveglio delle coscienze e una
mobilitazione dell’opinione pubblica dei Paesi sviluppati – a cominciare dal
nostro. L’alternativa è tra l’indifferenza di cui parla papa Francesco, e una
rivolta etica (non necessariamente religiosa) che rifiuti di rassegnarsi a
pensare che «se li mori moiano, ci vuol pazienza».
*Pastorale
Cultura Diocesi Palermo
Nessun commento:
Posta un commento