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di Giuseppe Savagnone
La critica più spietata dell’attuale situazione politica italiana è, forse,
l’irriverente vignetta di Giannelli pubblicata sul «Corriere della sera» dopo
il via libera al nuovo governo da parte della piattaforma Rousseau.
In uno scenario dominato dalla scritta «CIRCOITALIA» una folla di
pagliacci, nani e ballerine, che hanno le sembianze dei principali protagonisti
della scena pubblica, suona a distesa trombette e tromboni, salutando la
discesa dell’acrobata Grillo che, da un trampolino con la scritta “Rousseau”,
plana verso Draghi – a sua volta vestito da Superman – con una acrobatica
giravolta, tendendogli la mano.
…E il lato chiaro
Davanti agli sviluppi della crisi di governo, è possibile, peraltro, anche
una reazione diversa, che ne valorizzi gli indubbi aspetti positivi. Il
presidente Mattarella, con la pazienza e l’equilibrio che hanno contraddistinto
il suo difficilissimo lavoro di questi anni, è riuscito a evitare che, in un
momento cruciale, che richiedeva una leadership politica sicura per la gestione
dei fondi europei e della somministrazione del vaccino, il Paese si trovasse
praticamente senza governo e impantanato in una campagna elettorale lacerante.
Una salutare discontinuità di metodo
E la figura di Draghi è stata sicuramente la scelta più ragionevole per
fronteggiare l’emergenza creata dall’irresponsabile gioco dei partiti sulla
pelle degli italiani. Anche il metodo a cui si è rigorosamente attenuto il
presidente incaricato conferma la serietà e la credibilità della persona. La
sua scelta di decidere in totale autonomia il programma e la lista dei ministri
– secondo quanto peraltro è previsto dalla nostra Costituzione –, evidenzia la
radicale discontinuità con ciò a cui si è assistito, dopo le elezioni del marzo
2018, quando i leader di Lega e 5stelle pretesero di gestire la formazione del
nuovo governo, esautorando del tutto il presidente incaricato Conte, e
stabilendone il programma con un “contratto” tra privati, frutto di un tira e
molla che spiega i problemi successivi.
I giochi della politica sulla testa
delle persone
È dunque pienamente comprensibile il sospiro di sollievo che milioni di
cittadini stanno tirando, intravedendo un po’ di luce, in fondo al tunnel che
si era creato con una crisi “al buio”, provocata da Italia viva per ragioni ideali
che nessuno ha mai ben capito, e per altre, utilitaristiche, che invece sono
apparse subito chiare. Mai come in questo momento, dopo più di due anni
dall’affermazione del populismo, le vicende dei palazzi del potere sono apparse
tanto estranee alle reali esigenze e alle richieste della gente. E non si può
non augurare buona fortuna a Draghi e al suo governo, soprattutto tenendo conto
del disastro che un suo fallimento rappresenterebbe per le persone in carne ed
ossa che in questo momento invocano aiuto.
Unità nazionale?
Resta lo sgomento davanti allo spettacolo offerto in questi giorni dalle
forze partitiche, ben rappresentato dalla vignetta di Giannelli. Il nuovo
premier è calato dall’alto come un deus ex machina, un messia. Il
nuovo governo non nasce, come dovrebbe, dalla politica. Non perché lo si possa
definire solo “tecnico” – nessun governo può esserlo veramente, e questo
neppure lo pretende –, ma perché non ha dietro di sé un progetto maturato nella
dialettica tra i partiti che lo sostengono.
Si parla con soddisfazione di un esecutivo “di unità nazionale”. Ma l’unità
è tale solo se nasce da un confronto e dal superamento argomentato dei
conflitti. Non si può definire tale un’ammucchiata di soggetti che non hanno
alcun vero dialogo tra di loro e che danno l’impressione di non sapere più
nemmeno tanto bene chi sono.
La giravolta dei 5stelle…
Emblematico il caso dei 5stelle. Da almeno dieci anni non hanno perduto
occasione per ribadire il loro disprezzo e la totale disistima nei confronti di
Draghi. Ancora nell’arile del 2020 Di Battista esprimeva l’opinione ufficiale
del Movimento quando, davanti all’ipotesi di un governo guidato da lui,
esclamava: «Dio ce ne scampi! Per tutto quello che ha fatto all’Italia e
contro l’Italia prima da direttore del Tesoro e poi da governatore della Banca
d’Italia!».
…E quella di Salvini
Quanto alla Lega, Salvini diceva nel febbraio 2017: «I complici della
Merkel, di Draghi e della Ue che ci sta affamando non potranno mai sedersi al
tavolo con noi». E citando le parole dell’allora presidente della BCE «l’Euro
ci tiene uniti, è irrevocabile», commentava: «Spiace che un italiano sia
complice di chi sta massacrando la nostra economia».
Un anti-europeismo viscerale
Non era una questione di antipatia personale. Entrambe queste forze
politiche hanno avuto in comune, da sempre, il loro deciso anti-europeismo.
Quando erano al governo insieme, il nostro Paese, che era sempre stato un punto
di riferimento nella UE, è stato sull’orlo della rottura con Bruxelles.
Misuriamo oggi, alla luce dell’aiuto decisivo che l’Europa ci sta offrendo, in
questo momento di crisi, l’abisso in cui una simile evenienza – per fortuna
superata dall’avvento del Conte 2 – ci avrebbe gettato…
Le ragioni dei soldi
Sono bastati pochi giorni perché sia 5stelle che Lega capovolgessero la
propria linea. Per i primi la motivazione sarebbe l’occasione “storica” di
creare un ministero per la transizione ecologica. Ma se davvero questo
ministero era ai loro occhi così decisivo, come mai in ben due governi dove i
pentastellati sono stati presenti non è mai stato costituito?
Quanto alla Lega, Salvini ha spiegato la sua “conversione” con estrema
franchezza: «Preferisco mettermi in gioco e gestire 209 miliardi che stare
fuori». Certo, ha precisato, nell’interesse dei nostri figli. Ma questo non è
un progetto politico. La sola prospettiva chiara che emerge dalle parole del
leader leghista è quella di sedere anche lui al tavolo del potere, quando si
tratterà di spendere il denaro che l’Europa ci ha dato (suo malgrado).
Il Pd senza memoria
Ma neppure gli altri sostenitori del nuovo governo che sta nascendo
sembrano in grado di offrigli un vero retroterra politicamente qualificato. Il
Pd da troppo tempo sta sforzandosi, vanamente, di ricordare che cosa è un
partito “di sinistra”. Nel suo programma, ormai da tempo, il tema della
giustizia e quello della responsabilità sociale, sono stati sostituiti da
quello dei diritti senza doveri, caro all’individualismo liberale (quello che
Marx esecrava).
Non è un caso che i suoi maggiori successi siano stati registrati, in
questi anni, sul fronte della bioetica (fecondazione assistita, pillola
abortiva, suicidio assistito) e del gender (legge Cirinnà). Nel frattempo,
però, la forbice tra ricchi e poveri, nel nostro Paese, si è andata allargando
paurosamente. Oggi, secondo i dati forniti dal «Sole24ore», il 20% degli
italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale, un altro 20% ne
possiede il 16,9%, mentre al 60% più povero resta appena il 13,3% della
ricchezza del paese.
Il vero Salvini era stato Minniti!
Significativo anche il comportamento sulla questione dell’immigrazione. È
vero, il Pd, quando era all’opposizione, si è contrapposto a Salvini sulla
questione dei “porti chiusi”. Ma in realtà era stato il precedente ministro
degli Interni, Minniti – Pd – a stringere con la Libia degli accordi di
cooperazione che prevedevano la repressione violenta dei migranti. È stato
grazie a questi accordi che il flusso migratorio si è drasticamente ridotto già
nei mesi precedenti l’avvento al governo della Lega (Salvini si è pavoneggiato
di un successo non suo). Al prezzo di un trattamento che l’Alto Commissariato
dell’Onu per i diritti umani ha definito, allora, «un oltraggio alla coscienza
dell’umanità». E il ritardo enorme del Pd, quando è andato al governo, nell’abolire
i “decreti sicurezza” emanati da Salvini, conferma questa scarsa capacità di
andare oltre gli slogan umanitari.
L’esperienza di Monti
Oggi molti temono che il governo di Draghi, come quello di Monti – che
veniva a sua volta a salvare l’Italia dopo il populismo dei “contratti” di
Berlusconi, e generò per reazione quello dei 5stelle – si muova seguendo
logiche di ordine puramente finanziario ed economico, senza tenere conto
sufficientemente del problema della giustizia sociale. Magari producendo, come
contraccolpo una nuova ondata populista.
È vero che adesso, a differenza che nel caso di Monti, lo scenario non è
quello di uno spread alle stelle e di una carenza di risorse, bensì di una
eccezionale abbondanza di mezzi per affrontare i problemi del Paese. Possiamo
dunque sperare che le scelte che saranno fatte non lo siano al pezzo di lacrime
e sangue, soprattutto dei più deboli socialmente. Ma non c’è nessuna forza
politica, dietro questo governo, che sia in grado di garantirlo.
Auguri a Draghi , ma soprattutto agli
italiani
Resta comunque il fatto che, in questa oscillazione tra governi “tecnici”
(che poi sono anche politici) e populismo, è la vera politica a essere ormai da
troppo tempo latitante. Auguriamo dunque a Draghi, sinceramente, buon lavoro.
Ma soprattutto auguriamo all’Italia di veder rinascere, al più presto, una
classe politica – espressione a sua volta di una rinnovata coscienza civile dei
cittadini – che non renda più necessario, in futuro, l’attesa di un messia.
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