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mercoledì 24 febbraio 2021

ECOLOGIA. VINCERE L'APATIA


Il monito di Insua, argentino, direttore del Movimento cattolico mondiale per il clima: «La maggior parte dei cristiani non è ancora cosciente della grave urgenza e della natura drammatica della crisi ecologica che ci sta di fronte». Come ama ripetere Francesco, «tutto è connesso» Occhi puntati anche sul “greenwashing” di tante grandi aziende

 -          Di LORENZO FAZZINI     

L’emergenza climatica da affrontare subito. Una 'conversione ecologica' che, come avvenuto per Francesco, l’intera Chiesa deve attuare. E attenzione al greenwashing che tanti brand stanno facendo. Tomás Insua, argentino, ex manager di Google, dirige il Movimento cattolico mondiale per il clima. Con lui, in questo percorso sulle parole-chiave del decennio, diamo uno sguardo al tema 'ecologia'.

Perché è trascorso così tanto tempo prima che la questione ecologica diventasse un tema di interesse globale? Il pianeta è in pericolo ormai da diversi decenni, ma sembra che solo negli ultimi anni l’opinione pubblica abbia universalmente preso coscienza del problema. Perché?

Sì, è vero che l’umanità ha impiegato molto tempo per affrontare la crisi ecologica, sebbene gli scienziati abbiano più volte avvisato dell’urgenza di tale questione. Al contempo, esiste una lunga storia della Chiesa riguardo questo tema e sul fatto che ci si deve prendere cura della terra. Oltre 50 anni fa papa Paolo VI parlava di «catastrofe ecologica»; Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e naturalmente Francesco sono stati molto chiari nei loro insegnamenti sulla nostra responsabilità verso la creazione. La posta in gioco consiste nel fatto che la crisi ambientale è qualcosa che ci circonda, una serie di sfide legate alla nostra vita quotidiana: esse crescono costantemente, senza che ci rendiamo conto di quanto siano connesse tra di loro. Naturalmente restano in ballo potenti interessi economici, che lavorano in maniera lobbistica e che continuano a far funzionare le cose come al solito. Le compagnie petrolifere, le multinazionali dell’agrobusiness e le aziende che operano nei trasporti, tra le altre, hanno lavorato parecchio perché si evitasse di affrontare la distruzione ecologica.

Molte imprese oggi affermano che stanno lavorando in maniera sostenibile. Numerosi attivisti ambientali, però, denunciano il fatto che in vari casi si tratta solo di greenwashing, cioè di una spruzzata di 'verde' su un 'corpo' ancora inquinante. Come capire se un’azienda sta davvero cambiando pelle o sta facendo solo scelte di marketing opportunistico?

È indubbio che alcune imprese stanno lavorando davvero per diventare più sostenibili, mentre altre rimangono interessate unicamente a presentare ai clienti una propria versione 'verde'. È importante guardare da vicino le pratiche di ciascuna impresa per vedere se è veramente impegnata nel cambiamento ecologico oppure se si tratta di un semplice maquillage propagandistico. Vi sono diversi strumenti al riguardo. Per esempio il think tank indipendente Carbon Tracker, con sede a Londra, ha dimostrato come tutte le maggiori compagnie dedicate ai carburanti provenienti da carbon fossile, come Shell o Exxon, stanno impegnando miliardi di euro per esplo- rare nuove riserve di gas o petrolio esattamente mentre stanno mentendo al proprio pubblico affermando di essere impegnate a costruire un futuro energetico pulito. Una simile ipocrisia è stata denunciata da centinaia di associazioni cattoliche che hanno deciso di disinvestire i propri asset finanziari dalle corporation dedite alle energie fossili. Inoltre, il report 'Banking on Climate Change' ha comprovato come tutte le maggiori banche, come alcune banche italiane, stanno finanziando progetti legati alle energie fossili, in un modo incompatibile con gli Accordi sul clima di Parigi.

Papa Francesco è oggi universalmente riconosciuto come un 'campione' nella difesa ambientale grazie alla sua enciclica Laudato si’. Lei ha più volte avuto occasione di incontrarlo. Ha scoperto da dove è sorta questa sua preoccupazione per la tematica ecologica?

Quando ho incontrato papa Francesco l’anno scorso, egli mi ha condiviso quanto l’assemblea dei vescovi latinoamericani di Aparecida, svoltasi nel 2007, sia stato il momento in cui è iniziata quella che egli ha chiamato «la mia conversione ecologica». Mi ha spiegato come i vescovi brasiliani, tramite la loro preoccupazione sulla foresta amazzonica, lo abbiano aiutato a comprendere l’importanza di prendersi a cuore della creazione di Dio. Ora egli ha pubblicamente condiviso questa sua vicenda personale in pubblico, testimoniando che non è troppo tardi per iniziare a prendersi a cuore dell’ambiente.

Diverse voci cattoliche si sono levate per sottolineare come le posizioni di Laudato si’ non siano ecclesialmente diffuse, e che vi siano - tra il clero e in generale nelle gerarchia - piccoli gruppi che rifiutato la «conversione ecologica» richiesta da Francesco. Si tratta di un rilievo corretto?

Bisogna anzitutto rilevare che queste resistenze sono molto ridotte. Io penso che la ricezione della Laudato si’ sia stata estremamente positiva, sebbene esistano piccoli gruppi che negano l’evidenza scientifica. La sfida più grande non è tanto questa resistenza, ma l’apatia. La maggior parte dei cristiani non è ancora cosciente della grave urgenza e della natura drammatica della crisi ecologica che ci sta di fronte. Inoltre, ricordiamoci bene che la chiamata per una «conversione ecologica» non arriva anzitutto da papa Francesco, ma da Giovanni Paolo nel 2001. Anche Benedetto XVI, che da qualcuno è stato soprannominato 'Papa verde', ha sottolineato con molta forza che la preoccupazione ecologica è una questione morale, molto importante per i cristiani. Papa Francesco ha sintetizzato in maniera splendida i precedenti insegnamenti della Chiesa e vi ha aggiunto il suo distintivo afflato pubblicando Laudato si’, inquadrando i valori antichi della fede cristiana nel più ampio contesto della crisi ecologica attuale.

Gaël Giraud, il gesuita economista noto per la sua proposta di transizione

ecologica, ha affermato in un’intervista: «Se non sono toccato nel profondo dalle sofferenze degli ultimi della Terra, non lo sarò per lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi». In altre parole, la sensibilità ecologica deve camminare pari passo con quella sociale. Perché sembra così difficile avere al contempo una coscienza sociale e al contempo ambientale?

Sono completamente d’accordo con Giraud. Il problema è che molte persone non sono consapevoli delle connessioni che ci uniscono a Dio, al pianeta e agli altri. Questo è il grande dono della Laudato si’: creare connessioni tra questi diversi piani e offrire una visione di ecologia integrale che li tenga uniti. Non possiamo dire di preoccuparci dell’ambiente se non ci prendiamo a cuore i nostri fratelli e sorelle in quanto esseri umani. Allo stesso tempo siamo chiamati a riconoscere il fatto che la crisi climatica non colpisce solo i ghiacciai delle Alpi ma i più poveri del mondo: le persone che vengono lasciate in miseria dai tifoni nelle Filippine, quanti perdono le proprie case per le inondazioni in Bangladesh oppure coloro che vedono distrutti i loro raccolti agricoli in Africa e America latina a causa della desertificazione. E la lista potrebbe continuare. Come ama ripetere Francesco, «tutto è connesso».

Il Movimento Cattolico per il Clima ha sei anni di vita. Un bilancio?

Siamo profondamente grati a tantissime realtà per i risultati raggiunti, dalle occasioni di incontro con papa Francesco alla partecipazione di migliaia di leader locali che sono stati formati come animatori di Laudato si’. Siamo grati alle centinaia di associazioni che hanno deciso di disinvestire i propri soldi dalle corporation dei combustibili fossili e per gli eventi che hanno riguardato migliaia di comunità nella 'Stagione della creazione', durante la celebrazione annuale di preghiera e azione per la nostra casa comune che si tiene ogni anno a settembre.

 

www.avvenire.it

 

 

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