Contro il “dio incentivo” vinca la fraternità
La meritocrazia può anche essere un valore
che crea conflitto e una società di classi. Il Vangelo invita a una conversione
di mentalità e autentica giustizia.
Anticipiamo alcune pagine dal volume
"Benedetta povertà? Provocazioni su Chiesa e denaro" (Emi, pagine 96,
euro 11,00) di Erio Castelluci, arcivescovo di Modena-Nonantola.
di Erio Castellucci
È indispensabile
prima di tutto intensificare l’opera formativa a partire dai ragazzi e dai
giovani, integrando questi argomenti nel normale itinerario dell’iniziazione
cristiana e della catechesi. I percorsi sull’educazione affettiva e quelli
sull’educazione economica ed ecologica procedono di pari passo, perché non sono
altro che dimensioni del medesimo stile di dono e condivisione, reciprocità e
gratuità.
La catechesi
cristiana non può ignorare l’atteggiamento evangelico che sta alla base di
entrambe le braccia dell’etica, quella cosiddetta individuale e quella sociale:
distinzione che ormai dovrebbe peraltro essere superata, perché è “sociale”
anche l’educazione sessuale ed è “individuale” anche l’educazione economica ed
ecologica. Il rispetto per la vita nascente e morente va di pari passo con il
rispetto per la vita emarginata e indigente; la pace e la nonviolenza nelle
relazioni tra l’uomo e la donna vanno di pari passo con la pace nelle relazioni
sociali e internazionali; la castità – cioè il rispetto dell’altro e il rifiuto
dello sfruttamento – nelle relazioni sessuali va di pari passo con la castità
nelle relazioni sociali, etniche, ambientali e interreligiose.
Una delle
esperienze pastoralmente più dolorose è vedere le nostre comunità cristiane
divise su ciò che dovrebbe rimanere unito, anzi profondamente intrecciato. Mi
colpiva, prima come parroco e ora come vescovo, registrare nel popolo di Dio –
e anche in noi ministri – una sorta di frattura verticale tra chi porta avanti
i valori della persona e della famiglia, e chi invece i valori della società e
dell’ambiente naturale. È proprio questo “invece” il problema. Se siamo davvero
cattolici, non possiamo adottare l’aut-aut ma l’et-et. Finché la
Veglia per la pace sarà di sinistra, e rigorosamente frequentata dai soli
cattolici “progressisti”, e la Veglia per la vita sarà di destra, e riservata
di fatto ai cattolici “tradizionalisti”, la Chiesa sarà divisa. Finché la
Giornata del creato sarà di sinistra e la Giornata della famiglia di destra,
continueremo a farci del male a vicenda. Una cosa è la maggiore sensibilità per
l’una o l’altra dimensione etica cristiana – sensibilità che dipende dalle
storie personali e dalle sfide della storia –, un’altra è l’assolutizzazione di
una sola dimensione, trasformando inevitabilmente l’appartenenza cattolica in
una battaglia «contro» altri cattolici.
Nemmeno questo stupisce, perché fin dai tempi di san Paolo le comunità erano divise, come dimostrano i partiti di Corinto (cfr. 1Cor 1,12); se non stupisce, però addolora. La divisione toglie forza interiore all’evangelizzazione. «Tutto è connesso», «tutto è in relazione », in una sorta di universale fraternità, come ripete la Laudato si’: relazione con Dio, sessualità, famiglia, poveri, giustizia, lavoro, pace, custodia del creato… Sono temi trasversali e interagenti.
Nello
specifico, la formazione riguardante l’economia implicherà anche doveri e
divieti: i doveri derivanti da un uso casto dei beni, che sono sempre mezzi e
mai fini, e dalla necessità di una loro condivisione, del controllo dei propri
investimenti perché non favoriscano commerci illeciti e immorali come quello
delle armi, il divieto della speculazione e del gioco d’azzardo, il dovere di
pagare le tasse, il dovere del rispetto per il creato, insieme a una visione
critica della cosiddetta meritocrazia, del “dio incentivo”, del dogma
dell’efficienza, produttività, redditività e competitività, i quali producono
“gli scarti”; per affermare invece la cultura dell’onestà, del dono e della
misericordia, che fa spazio anche a coloro che non sono vincenti e non sono in
grado di competere.
Competitività,
profitto, competenza: queste parole, che insieme formano il concetto di
meritocrazia, non sono certo inique, ma lo diventano quando risuonano avulse
dal contesto concreto. Una certa dose di competitività è necessaria e favorisce
la qualità; il profitto, quando è proporzionato al lavoro, ne rappresenta un
elemento di dignità, perché «l’operaio è degno del suo salario» ( Lc 10,7);
la competenza, che fa leva sui talenti di ciascuno, è essenziale per un’equa e
ordinata distribuzione ed efficacia del lavoro. Il problema sorge quando queste
parole diventano discriminatorie verso coloro che non sono in condizioni di
competere, non godono di alcun profitto e non hanno i mezzi per sviluppare i
loro talenti. «Il merito può svolgere un buon compito in una società già
giusta, ma nelle società ancora non giuste (e sono quelle reali), la
meritocrazia, il governo del merito, amplifica le ingiustizie». Ed è proprio la
fraternità a fare da ponte tra una povertà da combattere e una povertà da
riscattare. Come scrive Edgar Morin: «La fraternità infrange la legge di
qualunque regime che comporti discriminazione e oppressione».
Nessun commento:
Posta un commento