Camminare
con l’altro
di MAURO LEONARDI
Siamo nel pieno dell’estate più difficile del secolo, quella
dopo i mesi di un lockdown che speriamo
non si ripeta più.
La stanchezza che ci dobbiamo scrollare di dosso non è il normale stress
di aver corso tanto, di aver lavorato troppo, di non aver dormito abbastanza,
ma è un bisogno di pace, soprattutto interiore, che prenda le distanze dalle
sirene delle autoambulanze che ogni quindici minuti solcavano le nostre strade
lacerando i silenzi delle nostre città ricordandoci che un’altra persona stava
male, che forse un altro come noi stava per morire.
Siamo logorati più che stanchi. Il riposo
che cerchiamo è quello che deve gettare l’àncora nella
contemplazione più che nella ricreazione fisica. E così, tra
restrizioni nei viaggi, paure e mancanze di soldi, la domanda
che si staglia sempre più necessaria è: cosa ci serve davvero
durante il tempo estivo? Abbiamo bisogno di bellezza,
senza dimenticarci però che la bellezza non è solo quella del
Creato, ma soprattutto quella della vita, dei legami. I mesi in
casa ci hanno bruscamente aperto gli occhi sulla verità per cui
'famiglia' non è solo dove mangiare o dormire, ma è dove vivere. La bellezza cui dobbiamo
attingere e che dipende solo da noi e non dai nostri soldi o dalle circolari
ministeriali, è quella della vita e dei legami.
In questi mesi tutti abbiamo incontrato nei modi più diversi
tante persone che soffrivano e noi, essendo buoni, abbiamo avuto, come primo
atteggiamento, quello di risolvere la causa della loro sofferenza, ma spesso
abbiamo fallito. Se una persona soffre perché la madre è morta o l’ha
abbandonata, noi non ci possiamo fare nulla. Anzi, possiamo fare una cosa sola:
avere 'compassione', 'patire assieme'. È giusto (e necessario) ovviamente
cercare di dare un tetto a chi non ce l’ha, o di dar da mangiare all'affamato,
ma ciò di cui davvero ciascuno di noi ha un bisogno assoluto è di avere
qualcuno che condivida con noi. Che stia assieme a noi. Che, in primo luogo,
viva con noi lo stesso destino da poveri e di sofferenti: perché ci sono tanti
tipi di povertà e di sofferenza.
Banalmente, vorrei suggerire queste vacanze, di
provare a vivere assieme agli altri 'la penitenza' e l’allegria
del camminare. Ho degli amici appassionati di escursioni ardite
che mi hanno raccontato come quest’estate, la prima con un
figlio, abbiano trascorso l’intera mattinata a fare 'il giretto'
del lago di montagna dove si trovavano: il bimbo ha poco più di
un anno e la bellezza del suo camminare traballante sembrava loro più emozionante che
salire la parete attrezzata di un monte delle Dolomiti.
Percorriamo a piedi, se possiamo, le strade di chi ci sta
accanto e di chi amiamo. Percorreremo così le strade dell’umanità che significa
stare accanto all’uomo. E così rimedieremo al dolore che è la madre di tutti i
dolori: la solitudine ovvero la principale ragione dell’angoscia dell’uomo.
Joseph Ratzinger ne era convinto alla fine degli anni Sessanta del Novecento,
quando nella sua 'Introduzione al cristianesimo', scriveva: «Nell’estrema
preghiera di Gesù sulla Croce ('Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato' –
Mc 15, 34), come del resto anche nella scena dell’orto degli ulivi, il nucleo
più profondo della Passione non sembra essere qualche dolore fisico, bensì la
radicale solitudine, il completo abbandono. In ciò viene in luce, in
definitiva, semplicemente l’abissale solitudine dell’uomo in genere: dell’uomo
che nel suo intimo è solo, tragicamente solo.
Pur camuffata, questa solitudine rimane la vera
situazione dell’uomo, e denota al contempo la più
stridente contraddizione con la natura stessa dell’uomo, che non
può sussistere da solo, ma abbisogna invece di una vita
con altri. La solitudine è perciò la ragione
dell’angoscia, radicata nel fatto stesso che l’essere è
gettato allo sbaraglio, eppure deve ugualmente esistere, anche
trovandosi costretto ad affrontare l’impossibile.
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