XXII DOMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
2020
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
Commmento di don Lucio Gridelli
Il vangelo della domenica XXII è la continuazione di quello della domenica precedente in
quale Gesù affermava che sul pietra che è Pietro edificherà "la sua
assemblea".
Il vangelo odierno ha tre affermazioni chiarissime e
durissime.
La prima, diciamo così, è teologica: il Messia, morirà,
risorgerà.
La seconda è il rimprovero a Pietro: Tu non pensi secondo
Dio, ma second gli uomini.
Terza: Se qualcuno vuole venire dietro a me, se vuoi
essere cristiano, devi seguire la strada di Cristo , la sua croce e misegua.
I Sinottici (Mt, Mc e Lc) concordemente riportano tre annunci
di passione, morte e risurrezione. Questo è il primo. Dopo il secondo annuncio
gli evangelisti notano tristezza, perplessità, incomprensione da parte di tutti
i discepoli e paura di interrogare Gesù. Dopo il terzo neppure reazioni.
È più facile accettare Gesù come Messia, il Figlio di Dio,
che non accettare l’idea del Messia sofferente!
Questa volta è Pietro a reagire negativamente, facendosi
forse portavoce degli altri.
“Satana” (ebraico e aramaico) non è necessariamente il nome
del diavolo. Significa avversario, guastafeste, colui che mette il bastone fra
le ruote.
“Skandalon” (greco) è qualsiasi cosa contro cui uno inciampa
e cade. Nel NT l’uso è esclusivamente metaforico per designare qualcosa che
rende difficile la fede.
Il fatto che tutto ciò sia posto subito dopo il conferimento
del mandato a Pietro è senza dubbio sorprendente. Non sono i meriti personali
alla base delle scelte di Dio.
È importante la motivazione del rimprovero: non pensi
secondo Dio, ma secondo gli uomini.
La seconda lettura lo dice con molta chiarezza sotto forma di
esortazione.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare
rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio,
ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. … il vostro modo di pensare, …. Cambiare il modo di
pensare è la metanoia che l’italiano traduce con “conversione”, confondendo un
po’ le idee a chi non è esperto del linguaggio.
Avevamo letto anche domenica scorsa:
O profondità della ricchezza, della sapienza e della
conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le
sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
Il discorso di Gesù prosegue passando dalla sua vicenda
terrena alla nostra personale:
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
La croce, viene a dirci Gesù, è una componente essenziale
della vita cristiana, come lo è stato nella sua vicenda personale. Certo, non a
tutti capiterà di incontrare le stesse difficoltà. Il Signore non pretende da
nessuno più di quanto sia capace, col suo aiuto, di affrontare, ma ciascuno di
noi dovrà condividere una parte della passione di Gesù. Tutto questo non spiega
il mistero del dolore, ma dice che il dolore umano ha un significato e un
valore.
Sia chiaro, però, la croce non è un fine, la croce è
soltanto un mezzo. Il fine della vita cristiana è la gioia.
Questa è la meta alla quale ci chiama Gesù: la partecipazione eterna alla gioia
infinita di Dio.
Alla fine della vicenda terrena di Gesù c’è la resurrezione.
Se noi “seguiamo” Gesù nelle vicende terrene, lo seguiremo pure nella
risurrezione.
La chiave di lettura di tutto il discorso è l’amore. Quando
sono innamorato di una persona, non c’è ostacolo che possa impedirmi di
seguirla, dovunque.
Perdere e salvare:
nel nostro linguaggio potremmo dire meglio “mettere in gioco”, “rischiare”,
mettere in gioco la propria vita, rischiare la propria esistenza.
La nuova traduzione rende sempre yuch non con “anima” ma con
“vita”. Si tratta cioè di salvare o perdere se stessi, la propria persona.
Della seconda lettura vi faccio notare ancora
una importante precisazione sul “culto”:
Vi esorto a offrire i vostri corpi (meglio la vostra persona, voi stessi) come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non ci devono essere nella nostra quotidianità dei momenti
sacri e dei momenti profani, dei momenti dedicati a Dio e dei momenti riservati
a noi. Quando sono vissuti con fede, tutti i momenti sono nostri e tutti gli
stessi momenti sono di Dio.
Culto spirituale non
contrapposto a materiale, ma vero culto, culto animato dallo Spirito.
Dovremmo vivere così la nostra assemblea liturgica domenicale
secondo quanto ci suggerisce una delle esortazioni che segnano il passaggio
dall’offertorio alla preghiera eucaristica:
Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la
gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo a
offrire il sacrificio gradito a Dio.
La prima lettura oggi è molto più della semplice
introduzione al vangelo. Per questo le dedico ampio spazio.
Geremia ci introduce bene
nello spirito di questa domenica con un brano delle sue “confessioni”.
Ricordiamo che Geremia è “tipo”, cioè “profezia vivente”, di
Gesù. La realizzazione certo supera di molto il “tipo”!
Geremia, più di altri profeti, parla molto di se stesso,
rivela il suo intimo nella sue “confessioni” (11,18-20; 15,10-11.15-21;
17,14-18; 18,18-23; 20,7-18). Se voleste leggerle per intero, e fareste molto
bene, tenete presente che siamo nell’AT, che vige ancora la legge del taglione
e che il profeta si esprime con assoluta sincerità in momenti di grande
tensione.
Il brano segue l’intervento di Pascur, sacerdote e
sovrintendente del tempio, che, uditi alcuni oracoli del profeta, lo fa
fustigare e per una notte lo mette ai ceppi, e inizia l’ultima sezione delle
celebri “confessioni di Geremia”
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi
hai fatto violenza e hai prevalso.
I vocaboli vanno intesi tranquillamente nel loro significato
attuale.
Dio lo obbliga ad annunziare calamità e miserie (“Violenza,
oppressione” 6,7) mentre gli uomini lo ricoprono di derisione e di scherno.
Geremia oggi ci interpella in prima persona.
Noi, che ci consideriamo cristiani non poi tanto male,
abbiamo alle volte questo atteggiamento: Signore sono un buon cristiano, lavoro
per te, magari anche un po’ come piace a me, son disposto a fare anche qualcosa
di più, ma, ti prego, “non sedurmi” Signore, non chiedermi cose troppo oltre la
normalità!
… perché correttamente intuiamo che, una volta che ci
lasciassimo prendere, ci accadrebbe come a Geremia: nel mio cuore c’era come
un fuoco ardente che non potevo contenere!
Allora però correttamente dovremmo risvegliare la nostra fede
nel fatto che il Signore non ci chiede cose al di sopra delle nostre forze e
che insieme con la sua richiesta manda anche gli aiuti, le “grazie”, per
realizzarla.
Non ha senso una fede in Cristo senza la croce. Questo è il
messaggio della domenica.
Quando stavo per spedire il messaggio ho avuto un
momento di dubbio sulla frase finale. È assolutamente esatta, ma può dare
un’impressione negativa. E allora ho pensato di spiegarmi con un paragone.
Una dell cose che amo di più, e che per i limiti posti dalla
vecchiaia mi mancano di più, è la montagna e in particolare l’arrampicare.
Per raggiungere una cima impegnativa non metto in conto
rischi e fatiche e nemmeno momenti di paura.
E’ per raggiungere quella vetta sulla quale mi attende a
braccia aperte Gesù in persona.
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