SI NAVIGA "A VISTA"
di Giuseppe Savagnone *
L’Ordinanza del presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci che
sancisce l’espulsione dei migranti e chiude loro i porti dell’Isola
– Ordinanza poi impugnata dal governo nazionale, con la motivazione
che «la gestione del fenomeno migratorio è competenza dello Stato e non delle
Regioni», e in seguito sospesa dal Tar –, ha suscitato, come
prevedibile, un vespaio di polemiche, riattualizzando la contrapposizione su
questo delicato tema tra “destra” e “sinistra” (a livello politico) e tra
sostenitori e oppositori di papa Francesco (all’interno della Chiesa).
Per una riflessione pacata
L’esperienza insegna, purtroppo, quali falsificazioni della realtà
possano essere perpetrate quando si discute di immigrazione, sotto la spinta di
stati d’animo esasperati e di interessi di parte. Da qui l’opportunità di
provare a fare una riflessione pacata, volta, prima che a sostenere una tesi o
l’altra, ad avviare un confronto civile, degno di una società democratica e di
una comunità ecclesiale. Questo non vuol dire che io non abbia un mio punto di
vista (chi segue i miei “chiaroscuri” dovrebbe saperlo), ma che desidero tenere
conto anche di quello degli altri, senza affrettarmi a catalogarli sotto questa
o quella etichetta offensiva, come oggi si usa fare.
Una rabbia comprensibile
La prima considerazione che mi viene in mente è che la rabbia del
presidente Musumeci è comprensibile. Nell’hotspot di Lampedusa sono
stipate da giorni 1.400 persone, a fronte di una capienza massima di
192. Questo mentre altri sbarchi si susseguono.
Si aggiunga a questo la gravità della situazione sanitaria. Il virus
non lo portano certo gli immigrati. Il presidente del Consiglio Superiore
di Sanità, Franco Locatelli proprio in questi giorni ha chiarito che,
«a seconda delle Regioni, il 25-40% dei casi sono stati importati da
concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia. Il
contributo dei migranti, intesi come disperati che fuggono, è minimale, non
oltre il 3-5% sono positivi e una parte si infettano nei centri di accoglienza
dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate».
Sgombrato il terreno da questa bufala, instancabilmente alimentata
dagli organi d’informazione (?!) di “destra”, resta vero che, nelle condizioni
disumane in cui i migranti vengono trattenuti, non solo i contagi tra loro sono
più facili, ma negli hotspot si verificano sempre più spesso disordini e
tentativi di fuga che ne rendono meno controllabile la diffusione, con pericoli
anche per la popolazione del territorio.
La latitanza del governo
Di fronte a questo inferno, non è stato solo Musumeci a protestare per
la scarsa incisività delle istituzioni nazionali. «Il governo» – ha
denunciato il sindaco di Lampedusa – «continua ad affrontare il problema
come se fosse una situazione ordinaria, mentre il Presidente del Consiglio
dovrebbe assumersi la responsabilità di quanto accade».
Si ha effettivamente l’impressione che, al di là di qualche intervento
occasionale, manchi un piano organico, da parte dello Stato, per fronteggiare
la situazione. Così come continua ad essere assente, dopo tanti discorsi, una
rigorosa pianificazione a livello europeo. Né si possono certo addebitare
queste carenze all’emergenza, visto che di questa crisi si parla ormai da anni.
Ma è anche per i migranti che ci si preoccupa?
Tuttavia – ed è questa una seconda considerazione che mi si impone – ,
leggendo l’ampia premessa con cui si apre l’Ordinanza, si ha la netta
impressione che a motivarla non sia stata la legittima preoccupazione per le
condizioni disumane in cui i migranti vengono a trovarsi, ma il fatto che la
loro tragica situazione «incide in modo significativo e allarmante sul rischio
concreto di diffusione del contagio» e la convinzione che «deve essere tutelata
l’incolumità e la salute di tutti i cittadini siciliani».
Anche se poi, nelle sue dichiarazioni, Musumeci ha cercato di
correggere il tiro, l’Ordinanza non nasce da una logica umanitaria, ma da una
visione egoisticamente regionalistica. Come conferma il fatto che essa non si
pone minimamente il problema della sorte degli espulsi: dice solo che essi
«devono essere improrogabilmente trasferiti e/o ricollocati in altre
strutture fuori del territorio della Regione Siciliana».
Prospettiva locale e prospettiva nazionale
Si potrà osservare che non è compito del presidente di una Regione affrontare
il problema nel suo complesso. Ma è proprio questo che il governo e i
sostenitori dell’illegittimità del testo normativo hanno obiettato. La politica
dell’accoglienza non può essere gestita dai poteri locali – come già in altre
occasioni essi hanno preteso di fare – con uno sbrigativo «fuori dai piedi» o
l’equivalente «ovunque, tranne che da noi». Se non altro perché una giusta
distribuzione è possibile solo in una logica nazionale, che ne stabilisca
ragionevolmente, in rapporto alle diverse situazioni territoriali, le modalità.
Un’eclatante ambiguità: il rinnovo dell’accordo con la Libia
Resta il fatto che, alla base di questa situazione sbagliata non c’è
solo l’improntitudine del presidente della Regione Sicilia, ma prima di tutto
l’incapacità del governo di proporre un progetto serio per la gestione
dell’accoglienza e dell’integrazione di migranti.
Quella di questi giorni non è l’unica occasione in cui lo si è visto.
Ai primi di febbraio si è lasciato che scattasse la proroga automatica, per
altri tre anni, senza sostanziali modifiche, del memorandum Italia-Libia, in
base a cui il nostro Paese ha finanziato generosamente la Libia perché
bloccasse con tutti i mezzi – compresi i lager e le violenze della guardia
costiera sui naufraghi – le partenze verso le nostre coste.
Il vero Salvini è stato Minniti
Le indignate denunzie della “sinistra” contro le prese di posizione di
Salvini nei confronti dei migranti hanno oscurato il fatto che quell’accordo
era stato firmato dal governo Gentiloni nel febbraio del 2017 e gestito dal
ministro degli Interni – del PD – Minniti. Salvini è stato abile nel
contribuire a questa smemoratezza, per lucrare i consensi derivanti da scelte
altrui e dalla conseguente drastica diminuzione degli sbarchi (risalente in
realtà ai mesi precedenti alla sua entrata in carica). Ci sarebbe aspettati,
adesso, che quell’ “errore” fosse corretto introducendo nel memorandum clausole
vincolanti contro le violazioni sistematiche dei diritti umani da parte del
governo libico. E invece lo si è rinnovato così com’era, pur dichiarando che ci
si riservava di chiedere in futuro delle modifiche (ma le modifiche andavano
chieste prima, non dopo il rinnovo! E infatti, anche la recente visita del
ministro Lamorgese non sembra aver prodotto più di qualche generica
raccomandazione umanitaria, tutt’altro che cogente).
La mancata abolizione dei “Decreti sicurezza”
Analoga ambiguità il governo ha avuto nei confronti dei due “Decreti
sicurezza” voluti da Salvini e bollati, giustamente, come “Decreti
insicurezza”, perché, essendo volti a rendere quanto più possibile difficile
l’integrazione, rischiano di condannare alla clandestinità permanente persone
che, a questo punto, diventerebbero effettivamente pericolose.
Dopo le vivacissime proteste che questi due testi normativi avevano
giustamente suscitato, ci si poteva aspettare che fosse una priorità del
nuovo governo abolirli o almeno modificarli radicalmente. Invece, no. La sola
cosa che è cambiata è l’atteggiamento dei rappresentanti delle istituzioni, ora
meno fiscale e rigoroso di quando Salvini gestiva il ministero degli Interni.
Delle deroghe si sono fatte riaprendo i porti per rendere di nuovo
possibile l’accoglienza. Restano però tutte le limitazioni previste dai Decreti
che rendono difficile l’integrazione. Si naviga a vista.
Insomma, mentre quello di Salvini è un progetto politico, questo non
lo sembra esserlo. Certo, bisogna dare atto che quello delle migrazioni è un
problema di amplissime proporzioni e di difficilissima soluzione, di cui
sarebbe follia pretendere la soluzione in tempi brevi. Ma l’attuale governo
sembra incapace non solo di risolverlo, bensì di affrontarlo con una sua
precisa linea politica, che possa costituire un’alternativa a quella
(disastrosa) dei governi precedenti.
Così si svalutano anche gli appelli di papa Francesco
A questo punto non c’è da stupirsi se molti cittadini hanno dato
ragione a Musumeci. Anche tanti cattolici, che sarebbero in astratto d’accordo
con papa Francesco sulla necessità di accogliere i poveri, in concreto si
sentono minacciati da un’accoglienza caotica e senza prospettive di una
corretta integrazione. In questo modo non si rende un buon servizio neppure
agli immigrati. E acquistano forza le sorde resistenze, anche nell’ambito
ecclesiale, nei confronti degli accorati appelli di Francesco, che ancora in
questi giorni ci ha messi in guardia dalla “cultura dello scarto”. Dimenticando
che lo stesso pontefice ha sempre sottolineato che l’accoglienza, senza
integrazione, non è una soluzione, anzi perpetua in altre forme la logica dello
scarto.
Senza un linea politica adeguata, vincerà la paura
La verità è che la carità non può fare a meno della giustizia e la
giustizia non può fare a meno della politica. Se quest’ultima continuerà a
barcamenarsi tra dichiarazioni di principio umanitarie e una effettiva mancanza
di progettualità e di efficienza nel tradurle in scelte e misure concrete, è
inevitabile che l’opinione pubblica – già nel recente passato molto
sensibile alla “propaganda della paura” di matrice sovranista – finisca
per concludere che la linea del respingimento dei migranti è l’unica
realisticamente praticabile. E questo, al di là delle controversie tra “destra”
e “sinistra”, per il nostro Paese significherebbe ricadere in una regressione
ben più grave di quella economica, perché coinvolgerebbe non il Pil, ma la
nostra umanità.
*Pastorale Cultura Diocesi Palermo
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