-
- Vangelo
Mt 15, 21-28
In quel tempo, partito di là,
Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa,
che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio
di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse
neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila,
perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non
alle pecore perdute della casa d'Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!».
Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai
cagnolini». «È vero, Signore - disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le
briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come
desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.
Discepoli urlanti, discepoli danzanti
Commento
di p. Paolo Curtaz
Spesso andiamo dietro a Gesù gridando. Siamo discepoli
urlanti, come la cananea di oggi.
Seguiamo la via che è il Signore, d’accordo, ma alzando la
voce, chiedendo attenzione, manifestando dolore o disagio.
Come fa la donna di oggi che porta nel cuore il cruccio del
genitore che assiste, impotente, alla malattia di un figlio.
Come, probabilmente, faremmo anche noi, dopo averle tentate
tutte, dopo avere provato ogni cura, ogni possibilità, spinti da quell’amore
assoluto che, spesso, portiamo nel cuore per i nostri figli. Amore che ci
spinge, alla fine, a fare i conti con il Dio che reputiamo distratto o, peggio,
malvagio.
Ha sentito che è giunto un guaritore da sud, dalla Galilea.
Un giudeo che opera miracoli.
Perché non fare un tentativo?
Allora sbraita, piange, supplica, cerca di commuovere il
Nazareno. Lo chiama figlio di Davide, come lo era Salomone,
che secondo il popolo aveva capacità taumaturgiche e veniva invocato per
operare le guarigioni.
Sa bene, la Cananea, che i santoni vanno convinti, allora
esagera, sbraita, fa la sceneggiata.
Il suo dolore è autentico, certo.
Ma il modo di manifestarlo è esagerato e fastidioso.
La sua fede c’è, ma va liberata dalla crosta di
superstizione e isteria che la tengono prigioniera della sofferenza.
Durezza
Le urla e i pianti della cananea imbarazzano. Davanti al
dolore disperato restiamo senza parole.
Vogliamo solo fuggire.
Anche gli apostoli sono spiazzati. Gesù, invece,
indifferente, tace. Non le rivolge nemmeno la parola.
I discepoli vorrebbero la ascoltasse, almeno per farla
smettere.
La risposta di Gesù è uno schiaffo: non è un’ebrea e lui è
venuto per le pecore di Israele.
Ecco: ci mancava un Gesù razzista.
La missione di Israele
Israele si considerava un popolo eletto, scelto da Dio in
mezzo agli altri popoli.
Alcuni aggiungevano: per svelare al mondo il vero volto di
Dio.
Ma questa particolarità, almeno nei primi secoli, si era
trasformata in Israele in una chiusura ossessiva: nessuna alleanza con altri
popoli era possibile, nessun matrimonio misto era autorizzato per non
contaminare il popolo. fu l’esilio in Babilonia a cambiare prospettiva: gli
ebrei prigionieri in quella terra videro che anche i pagani avevano dei valori
morali e che le loro credenze religiose portavano in sé qualcosa di positivo
che, addirittura, finì con l’influenzare l’evoluzione della fede ebraica.
Il profeta che incontriamo oggi nella prima lettura, uno dei
tre che scrisse il rotolo di Isaia, è uno di coloro che superò la mentalità
ristretta del popolo e profetizza: ogni pagano avrà accesso al tempio.
Anche ai tempi di Gesù la situazione era simile: da una
parte una società meticcia era dominante in Israele, dall’altra forti spinte
conservatrici arroccavano la fede ebraica su posizioni difensive.
I primi cristiani dovettero litigare non poco per capire
quale fosse la volontà di Gesù: rivolgersi alle sole pecore di Israele, come
anch’egli aveva fatto, o aprirsi ai pagani, come sembrava indicare una serie di
suoi atteggiamenti?
Il confronto fu aspro ma, grazie allo Spirito, alla
cocciutaggine di san Paolo e al buon senso, si capì che il cristianesimo era
rivolto all’intera umanità.
Altrimenti io non sarei qui. E nemmeno voi.
Insulti
Ed è questo il contesto in cui Matteo, ebreo, racconta
l’episodio della guarigione della donna cananea.
Non soltanto pagana, quindi, ma figlia di uno dei popoli
storicamente nemici di Israele. Riprendendo il racconto dell’evangelista Marco
e calcando la mano, Matteo sta per dare una poderosa lezione a quanti, nella
sua comunità, guardavano in malo modo quelli che, come san Paolo, stavano
portando alla fede proprio i goim, gli stranieri.
È sgradevole Gesù, in Matteo. Non rivolge la parola alla
cananea. Afferma di non volerla aiutare.
Poi, a causa dell’insistenza dei suoi, accetta di rivolgerle
la parola. E le dà della cagna.
Non siete in imbarazzo anche voi?
Colpito e affondato
La durezza di Gesù ha una doppia finalità.
Sono due le persone da convertire.
Questa povera donna e chi, fra i suoi discepoli, la
considerava veramente una cagna. Nel nome di Dio.
Non è una discepola, la cananea. Non gli importa di chi sia
Gesù. Né del suo messaggio.
Le importa solo la guarigione della figlia ed è disposta a
tutto pur di vederla guarire.
Anche se pagana, ha una sua fede, forse, sa come si trattano
gli dei e i sacerdoti e i santoni e i guru.
Si blandiscono, si convincono, si corrompono.
Ma quando vede che non bastano le urla e i titoli
altisonanti (Signore! Figlio di Davide!), quando vede la durezza della
reazione di questo guru, vacilla.
Come facciamo noi quando, tiepidi e scostanti, ci troviamo
di fronte ad un grave problema e, subito, diventiamo fervorosi: sgraniamo
rosari, promettiamo pellegrinaggi, accendiamo ceri votivi per convincere la
distratta divinità ad occuparsi di noi. Diventando discepoli urlanti.
Ed è lì, in quel momento, che Dio tace.
E davanti a quel silenzio la donna cede, e si prostra.
Chiede aiuto, ora. Solo aiuto. Non dice come. Non forza la
mano.
Gesù, allora, ne prova la fede. Non gli basta quel gesto.
Vuole di più.
Perché mai dovrebbe prendere il pane dei figli per darlo ai
cani?
Perché mai dovrebbe occuparsi di noi? Deve prima occuparsi
dei suoi figli! Dei suoi discepoli!
Verità sgradevole. Sgradevole, impertinente, fastidiosa.
Ma verità.
Non sempre chi ti dà una carezza ti vuole bene e chi ti dà
uno schiaffo ti vuole male…
Colpita nell’orgoglio, messa all’angolo, la cananea esprime
la sua vera natura, ora parla il suo cuore di madre.
Hai ragione, sono proprio una cagna, non so chi sei, non
so che fai, non mi sono mai fatta vedere e pretendo il pane dei figli. Hai
perfettamente ragione. Ma i cani si accontentano delle briciole che cadono dal
tavolo.
Bene, risposta esatta.
Gesù è stupito, sorride, ne sono certo.
Lezioni
Ecco la lezione. Per noi, per la comunità di Matteo, per
quelli che distribuiscono patentini di cattolicità, ancora oggi. Dio non divide
il mondo secondo le nostre categorie, ma secondo il suo cuore.
E una cagna cananea può avere molta più fede del più devoto
fra i cattolici.
Ai pagani diventati discepoli, nel dolore di vedere che la
maggioranza del popolo ebraico non ha riconosciuto in Gesù il Messia, san Paolo
ricorda che la chiamata di Dio è irrevocabile, cancellando l’idea
antievangelica e antigiudaica che tanti danni ha fatto nella storia, che i
giudei siano deicidi e che abbiano tradito la chiamata di Dio.
Discepoli danzanti
Non solo.
Smettiamola di imitare la cananea, smettiamola di andare
dietro a Gesù urlando.
O lamentandoci. O borbottando. O immaginando un Dio che deve
(dovrebbe) darci retta proprio perché gridiamo e sappiamo bene in che cosa
consiste la nostra felicità, il nostro bene. E lui, cortesemente, si adegui.
Imitiamo, piuttosto, la figlia di Israele, Maria la bella
che ieri abbiamo celebrato nel suo percorso finale e di cui abbiamo ancora
ascoltato il canto delle meraviglie che Dio compie in chi si fida di lui.
Un canto vorticosamente danzato insieme a sua cugina
Elisabetta, nella polvere dell’aia.
Donne trasformate dallo Spirito.
Bel suggerimento: smettiamola di essere discepoli urlanti.
Diventiamo, infine, discepoli danzanti.
Nessun commento:
Posta un commento