Luce e calura estiva respingono il Covid
e richiamano noi
ex reclusi
sfiniti
di MARINA CORRADI
«Abbiamo
incrociato i dati dell’irraggiamento solare in 246 Paesi del mondo tra il 15
gennaio e il 30 maggio e quelli della prevalenza di infezione da Sars-CoV-2
diffusi dall’Oms. C’è una relazione quasi perfetta tra i due dati: al crescere
dell’irraggiamento solare diminuisce il numero di nuovi contagi». La ricerca di
cui Enrico Negrotti ha riferito su 'Avvenire' di domenica 28 giugno è firmata
da Università degli Studi di Milano, Irccs Fondazione Don Gnocchi, Istituto
nazionale di astrofisica e Istituto nazionale dei tumori. Il Sole, la forza del
Sole contro il virus della pandemia globale. Una di quelle notizie che
allargano un po’ il cuore.
Il
Sole dunque agisce e incide nel gran teatro dell’epidemia. Ne basta poco,
dicono gli scienziati: «Basta una tenue dose di Uv-C, pari a 3,4 millijoule per
centimetro quadro, per inattivare completamente il virus, anche alle dosi più
alte. (...) Poi abbiamo ripetuto l’esperimento con gli Uv-A e gli Uv-B, che al
contrario degli Uv-C raggiungono la Terra, e il risultato è stato lo stesso».
Non
so quanto sia un millijoule di Sole, e credo non lo sappia il 99,9
per cento degli italiani. Tuttavia in quell’ultimo
caldissimo week end di giugno, e mentre entriamo nel primo e
altrettanto afoso fine settimana di luglio, in tanti abbiamo avuto
la sensazione che le centinaia di migliaia di persone pronte a
correre al mare o
in montagna, su treni affollati, o affrontando in auto code di ore, stiano come
rispondendo a un istintivo segnale, dopo mesi passati chiusi in casa. Il
Sole altissimo, allo zenit, del solstizio d’estate, la vampata del caldo
africano, la luce di interminabili tramonti, sembrano convocare una moltitudine
di italiani a un non scritto appuntamento: con l’estate, col grande Sole del
Mediterraneo.
Sfiniti da mesi immobili fra quattro mura, stanchi, forse, anche
di avere paura, ora che il nemico sembra indebolito, in quanti non hanno
rinunciato al desiderio di vedere il mare, di sentire il Sole bruciare sulla
pelle o colmare l’aria tersa delle cime alpine. Tanti sono stati
quelli che hanno risposto all’appuntamento con l’estate che certi viaggi sono
stati odissee.
Eppure li stiamo vedendo, finalmente sulla riva, pallidi di un
lunghissimo inverno: chiassosi, disordinati e – è vero – anche non rispettosi
del decretato distanziamento. Ma felici: come bambini. Bambini che ritrovano
una gioia che credevano perduta: il mare c’è ancora, il Sole del mezzogiorno di
giugno e di luglio ancora picchia come un fabbro su un’incudine, e, alzando gli
occhi, non si riesce a sostenerne la luce. Non sai quanto è un millijoule di
Sole, ma te lo senti addosso quel fiato benefico, quel fuoco che indora il
grano, e piega i rami degli alberi sotto il peso dei frutti maturi.
Quel
primo week end d’estate del 2020 e, ora, questo secondo son quasi un’inconscia
transumanza. Con lo smartphone in mano e il navigatore in auto a guidarci, ma
convocati dal Sole: come un’umanità antica, migrante verso il caldo e la
luce. E certo, assai pochi si tengono regolarmente distanziati, e dalle auto
dei più giovani viene un’assordante musica da discoteca, e l’assalto ha
avuto e ancora ha qualcosa di sguaiato; e sembra quasi che molta
Italia abbia solo voglia di dimenticarsi del Covid. Eppure,
tra questi bagnanti sulle spiagge ci sono anche i
medici e gli infermieri che vedevamo, in tv, bardati di tute da astronauti,
combattere l’epidemia senza fermarsi, da mattina a sera. Ci sono alcuni che
nella strage della Bergamasca o del Lodigiano hanno perso un padre, o un nonno.
Ci sono certamente quelli che nelle albe ancora buie di marzo formavano
interminabili code davanti ai supermercati. E c’è chi guida le ambulanze, o
porta viveri ai poveri e ai disoccupati.
Ci
sono, nella folla esplosa sulle strade e sulle spiagge, quelli che
faticosamente hanno tenuto per mesi i bambini prigionieri in casa. Ed eccoli,
finalmente al mare. I bambini liberati corrono come leoncelli, scavano,
costruiscono castelli, o affrontano per la prima volta le onde in braccio alla
mamma. E come ridono quando l’acqua li accarezza, come tendono le mani a quella
sostanza trasparente, azzurra, volendola stringere, afferrare. E tu
che li stai a guardare hai proprio tutto, nel cuore: le corsie di quel certo
ospedale, i camion carichi di bare a Bergamo, le sirene d’ambulanza laceranti
il silenzio di una Milano immobile. Sai di oltre trentamila morti, ne hai
memoria, eppure pensi che è dovere dei vivi, vivere. Che, fossi morta tu,
vorresti che i tuoi figli riprendessero a vivere. E a portare i loro bambini al
mare, felici sotto a questo eterno Sole che torna, e risana e rinvigorisce.
Quanti millijoules annientano il nemico? Non lo sappiamo, ma ancestralmente
conosciamo il bene di questa luce fedele e feconda. E la inseguiamo come si
cerca una sorgente limpida, dopo un livido inverno di dolore e di morte.
Abbracciamo il Sole, allora, e dal suo calore lasciamoci abbracciare. E
proviamo a essere saggi quanto basta per poter continuare a farlo.
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