Il 2 giugno si celebra
l’anniversario della nascita della nostra Repubblica. Lo faremo in una
atmosfera in cui proviamo nello stesso tempo sentimenti di incertezza e motivi
di speranza. Stretti tra il dolore per la tragedia che improvvisamente ci è
toccato vivere e la volontà di un nuovo inizio. Di una stagione nuova, nella
quale sia possibile uscire al più presto da questa sorta di incubo globale.
Tanti fra di noi avvertono
il ricordo struggente delle persone scomparse a causa del coronavirus:
familiari, amici, colleghi. Sovente senza l’ultimo saluto. ...
Accanto al dolore per le
perdite e per le sofferenze patite avvertiamo, giorno per giorno, una crescente
volontà di ripresa e di rinascita, civile ed economica.
La nascita della Repubblica,
nel 1946, segnava anch’essa un nuovo inizio. Superando divisioni che avevano
lacerato il Paese, per fare della Repubblica la casa di tutti, sulla base dei
valori di libertà, pace e democrazia.
Forze politiche, che erano
divise, distanti e contrapposte su molti punti, trovavano il modo di
collaborare nella redazione della nostra Costituzione, convergendo nella
condivisione di valori e principi su cui fondare la nostra democrazia.
Quello spirito costituente
rappresentò il principale motore della rinascita dell’Italia. Seppe unire gli
italiani, al di là delle appartenenze, nella convinzione che soltanto insieme
si sarebbe potuta affrontare la condizione di estrema difficoltà nella quale il
Paese era precipitato.
Questa sostanziale unità
morale è stata il vero cemento che ha fatto nascere e ha tenuto insieme la
Repubblica. E’ quel che ci fa riconoscere, ancora oggi, legati da un comune
destino.
Allora si reagiva ai lutti,
alle sofferenze e alle distruzioni della guerra. Oggi dobbiamo contrastare un
nemico invisibile, per molti aspetti sconosciuto, imprevedibile, che ha
sconvolto le nostre esistenze e abitudini consolidate. Ha costretto a
interrompere relazioni sociali, a chiudere le scuole. Ha messo a rischio tanti
progetti di vita e di lavoro. Ha posto a durissima prova la struttura
produttiva del nostro Paese.
Possiamo assumere questa
giornata come emblematica per l’inizio della nostra ripartenza.
Ho ricevuto e letto, in
questi tre mesi, centinaia di messaggi di preoccupazione ma anche di vicinanza,
di fiducia, di speranza.
Dobbiamo avere piena
consapevolezza delle difficoltà che abbiamo di fronte. La risalita non sarà
veloce, la ricostruzione sarà impegnativa, per qualche aspetto sofferta.
Serviranno coraggio e prudenza. Il coraggio di guardare oltre i limiti
dell’emergenza, pensando al futuro e a quel che deve cambiare. E la prudenza
per tenere sotto controllo un possibile ritorno del virus, imparando a
conviverci in sicurezza per il tempo che sarà necessario alla scienza per
sconfiggerlo definitivamente.
Serviranno tempestività e
lungimiranza. Per offrire sostegno e risposte a chi è stato colpito più
duramente. E per pianificare investimenti e interventi di medio e lungo
periodo, che permettano di dare prospettive solide alla ripresa del Paese.
Abbiamo detto tante volte
che noi italiani abbiamo le qualità e la forza d’animo per riuscire a superare
anche questa prova. Così come abbiamo ricostruito il Paese settant’anni fa.
Lo abbiamo visto nelle
settimane che abbiamo alle spalle.
Abbiamo toccato con mano la
solidarietà, la generosità, la professionalità, la pazienza, il rispetto delle
regole. Abbiamo riscoperto, in tante occasioni, giorno per giorno, doti che, a
taluno, sembravano nascoste o appannate, come il senso dello Stato e
l’altruismo.
Abbiamo ritrovato, nel
momento più difficile, il vero volto della Repubblica.
Ora sarebbe inaccettabile e
imperdonabile disperdere questo patrimonio, fatto del sacrificio, del dolore,
della speranza e del bisogno di fiducia che c’è nella nostra gente. Ce lo
chiede, anzitutto, il ricordo dei medici, degli infermieri, degli operatori caduti
vittime del virus nelle settimane passate.
Siamo orgogliosi di quanto
hanno fatto tutti gli operatori della sanità e dei servizi essenziali, che –
spesso rischiando la propria salute – hanno consentito all’intera nostra
comunità nazionale di respirare mentre la gran parte delle attività era ferma.
Siamo grati ai docenti per la didattica a distanza, agli imprenditori che hanno
riconvertito in pochi giorni la produzione per fornire i beni che mancavano per
la sicurezza sanitaria, alle donne e agli uomini delle Forze dell’Ordine,
nazionali e locali, alla Protezione Civile, ai tanti volontari, che hanno
garantito la sicurezza e il sostegno nell’emergenza.
Sono consapevole che a
questi comportamenti se ne sono, talvolta, contrapposti altri ad opera di chi ha
cercato e cerca di sfruttare l’emergenza. Comportamenti simili vanno accertati
con rigore e repressi con severità ma sono, per fortuna, di una minoranza molto
piccola della nostra società.
Questo 2 giugno ci invita a
riflettere tutti su cosa è, su cosa vuole essere la Repubblica oggi.
Questo giorno interpella
tutti coloro che hanno una responsabilità istituzionale - a partire da me
naturalmente - circa il dovere di essere all’altezza di quel dolore, di quella
speranza, di quel bisogno di fiducia.
Non si tratta di immaginare
di sospendere o annullare la normale dialettica politica. La democrazia vive e
si alimenta di confronto fra posizioni diverse.
Ma c’è qualcosa che viene
prima della politica e che segna il suo limite.
Qualcosa che non è
disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale,
la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro.
Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con
l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo.
Mi permetto di invitare,
ancora una volta, a trovare le tante ragioni di uno sforzo comune, che non
attenua le differenze di posizione politica né la diversità dei ruoli
istituzionali.
Siamo tutti chiamati a un
impegno comune contro un gravissimo pericolo che ha investito la nostra Italia
sul piano della salute, economico e sociale.
Le sofferenze provocate
dalla malattia non vanno brandite gli uni contro gli altri.
Questo sentimento profondo, che avverto nei nostri concittadini, esige
rispetto, serietà, rigore, senso della misura e attaccamento alle istituzioni.
E lo richiede a tutti, tanto più a chi ha maggiori responsabilità. Non soltanto
a livello politico.
Siamo chiamati a scelte
impegnative.
Non siamo soli. L’Italia non
è sola in questa difficile risalita. L’Europa manifesta di aver ritrovato
l’autentico spirito della sua integrazione. Si va affermando, sempre più forte,
la consapevolezza che la solidarietà tra i Paesi dell’Unione non è una scelta
tra le tante ma la sola via possibile per affrontare con successo la crisi più
grave che le nostre generazioni abbiano vissuto. Nessun Paese avrà un futuro
accettabile senza l’Unione Europea. Neppure il più forte. Neppure il meno
colpito dal virus.
Adesso dipende anche da noi:
dalla nostra intelligenza, dalla nostra coesione, dalla capacità che avremo di
decisioni efficaci.
Sono convinto che insieme ce
la faremo. Che il legame che ci tiene uniti sarà più forte delle tensioni e
delle difficoltà.
Ma so anche che la condizione
perché questo avvenga sarà legata al fatto che ciascuno, partecipando alla
ricostruzione che ci attende, ricerchi, come unico scopo, il perseguimento del
bene della Repubblica come bene di tutti. Nessuno escluso.
Domani mi recherò a Codogno,
luogo simbolo dell’inizio di questo drammatico periodo, per rendere omaggio a
tutte le vittime e per attestare il coraggio di tutte le italiane e tutti gli
italiani, che hanno affrontato in prima linea, spesso in condizioni estreme,
con coraggio e abnegazione, la lotta contro il coronavirus.
Desidero ringraziarli tutti
e ciascuno. L’Italia – in questa emergenza – ha mostrato il suo volto migliore.
Sono fiero del mio Paese.
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