«Basta
bimbi chiusi in casa La didattica a distanza? Ha causato danni educativi»
Giorgio Tamburlini,
presidente del Centro per la salute del bambino di Trieste: «Il rischio di
contagio tornando in aula è basso, non possiamo permetterci di perdere altri
mesi»
di Nicoletta Martinelli
Esporsi al rischio di contagio, è il minore dei
mali: peggio sarebbe, per i bambini – e in special modo per i più piccoli –
vedersi sottrarre altro tempo prezioso, continuare a essere privati delle tante
esperienze indispensabili a una crescita sana ed equilibrata. «Questa non può
essere un’estate come le altre. E non possiamo permetterci di perdere anche
questi mesi. Settembre è lontano e bisogna agire adesso». È categorico Giorgio
Tamburlini, pediatra, presidente del Centro per la salute del bambino di
Trieste e membro del Comitato scientifico dell’International Society for Social Pediatrics and Child Health:, insieme
ad altri 22 autorevoli colleghi ha compilato un appello rivolto al governo
perché l’infanzia sia messa al centro del decreto Rilancio.
Perché agire subito?
Perché i danni provocati dalla chiusura delle
scuole, così protratta, sono stati tanti e altri ne avremo. La didattica a
distanza non è stata efficace, la mancanza di sostegni per i bambini con
difficoltà di apprendimento, la povertà, anche culturale, di certi contesti
familiari hanno esacerbato le situazioni già problematiche. E anche là dove i
bambini hanno avuto a disposizione la tecnologia necessaria e genitori
supplenti dei maestri, questa situazione non è stata indolore. La maggior parte
dei piccoli ha accumulato un ritardo educativo. Sarà arduo recuperarlo e non
possiamo permettere che peggiori.
Eppure, non pare così scontato che a settembre le scuole riapriranno.
Devono aprire. E anche prima di settembre. Il
rischio di contagio tornando in aula è molto basso. Per diversi motivi. Prima
di tutto, numerosi studi effettuati in più Paesi e da differenti gruppi di
ricerca, dimostrano che i bambini si ammalano molto poco. E quando si ammalano
presentano sintomi lievi. Con poche eccezioni.
La Francia, che vive una situazione molto simile alla nostra, ha rischiato
riportando i bambini in classe, e sembra abbia avuto ragione.
Ma certo. Perché, venendo al secondo punto
della questione, il rischio di venir contagiati in classe, in una situazione controllata e garantita,
è minore di quello che si avrebbe restando a casa. Si torna a frequentare i
nonni, i parenti, gli amici, le baby sitter. Le relazioni tornano a
moltiplicarsi e così pure le possibilità di entrare a contatto con il virus.
È possibile minimizzare questi rischi?
Sicuramente. A patto di fare scelte equilibrate,
che riducano al minimo la possibilità di contagio, da una parte, e
dall’altra mettano fine a questa prolungata mancanza di apporti e rapporti
educativi, di socializzazione.
Cosa intende?
Bisogna accettare e spiegare che il rischio
tornando in classe non è pari a zero. Però, è uno zero virgola, sempre basso.
Bastano le solite precauzioni. E norme ragionevoli. È necessario che gli
adulti, educatori e insegnanti, osservino le regole che tutti conosciamo, che
indossino la mascherina e che abbiamo un’anamnesi pulita nell’ultimo mese. Che
gli ambienti siano sanificati. Se le norme sono esagerate, finiscono per
scoraggiare ogni iniziativa.
E se poi il contagio arriva?
E dove si è stati contagiati? Dentro o fuori
quello spazio? È impossibile stabilirlo. Ma non si possono mettere i dirigenti
scolastici o i responsabili degli spazi ricreativi di fronte a questa spada di
Damocle. L’eccesso di scrupoli paralizza. E non serve a nessuno. Tantomeno ai
bambini.
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