Domenica di Pentecoste
At
2,1-11/1Cor 12,3-7.12-13/
Gv 20,19-23
Commento di Paolo Curtaz
Distanziamento sociale
Un passo alla volta. Siamo ancora impauriti, storditi. Come plantigradi
che escono dalla tana dopo un lungo inverno. La paura è ancora tanta. E non
sappiamo ancora se e per quanto tempo saremo in bilico fra il sentirci liberi e
guardare come possibile untore ogni persona che incontriamo. Pare che l’unico
modo per proteggersi, senza alcuna evidenza scientifica, sia ancora la distanza
sociale. Complimenti ai tecnici soprattutto per la loro competenza linguistica.
Non bastava dire distanza fisica? No. Sociale. Cioè: le relazioni sono un
pericolo. Ecco, bravi. Come se ne avessimo bisogno. E la nostra Chiesa italiana
ancora si guarda attorno stranita. Sono iniziate timidamente celebrazioni
marziane, che negano la comunità; tutti mascherati, tutti distanti, nessun
abbraccio…
Sia, ma fino a quando? Tant’è. Non si tratta di tornare come prima ma di
cogliere, di quello che è accaduto, l’insegnamento profondo, le indicazioni per
l’anima. È tempo di accogliere il cambiamento. Almeno quello interiore. Tempo
di lasciare spazio ad uno sguardo diverso, alternativo, innovativo. Delle
persone, della società, dell’essere Chiesa. Difficile, direte. Non ce la
facciamo.
Non siamo capaci. Vero. Infatti non dipende da noi, non scherziamo. È
tempo di Pentecoste. Finalmente. Shevuot Shevuot, la festa della mietitura,
Pentecoste per i fedeli greci che ricordano la sua celebrazione cinquanta
giorni dopo Pesah, era una festa agricola che, col passare dei secoli, era
stata arricchita da un’altra interpretazione: in quel giorno si ricordava il
dono della Torah sul monte Sinai. Israele era molto fiero della Legge che Dio
gli aveva consegnato; pur essendo il più piccolo fra i popoli, era stato scelto
per testimoniare al mondo il vero volto del misericordioso. Proprio il quel
giorno, e non casualmente, Luca situa la discesa dello Spirito Santo. Spirito
che era già stato donato, dalla croce e il giorno di Pasqua. Perché ripetere
questa effusione? Perché quel giorno? Forse Luca vuole dire ai discepoli che la
nuova Legge è un movimento dello Spirito, una luce interiore che illumina il
nostro volto e quello di Dio! Gesù non aggiunge precetti ai tanti (troppi!)
presenti nella Legge orale, ma li semplifica, li riduce, li porta
all’essenziale. Un solo precetto, quello dell’amore, è richiesto ai discepoli.
Fantastico, grazie Gesù! Ma cosa significa amare nelle situazioni concrete?
Ecco che lo Spirito ci viene in soccorso. Gesù non dona delle nuove
tavole, cambia il modo di vederle, ci cambia il cuore, radicalmente. Oggi
festeggiamo la Legge che lo Spirito ci aiuta a riconoscere. Tuoni, nubi, fuoco,
vento. Luca descrive l’evento rimandando esplicitamente alla teofania di Dio
sul monte Sinai: i tuoni, le nubi, il fuoco, il vento sono elementi che
descrivono la solennità dell’evento e la presenza di Dio ma che possono anche
essere riletti in una chiave spirituale.
Lo Spirito è tuono e terremoto: ci
scuote nel profondo, scardina le nostre presunte certezze, ci obbliga a
superare i luoghi comuni sulla fede (e sul cristianesimo!). Lo Spirito è nube:
la nebbia ci costringe a fidarci di qualcuno che ci conduce per non perdere la
strada della verità. Lo Spirito è fuoco che riscalda i nostri cuori e illumina
i nostri passi. Lo Spirito è vento: siamo noi a dover orientare le vele per
raccogliere la sua spinta e attraversare il mare della vita! Lo Spirito diventa
l’anti-babele: se l’arroganza degli uomini ha portato alla confusione delle
lingue, a non capirsi più, la presenza dello Spirito ci fa udire un solo
linguaggio, una sola voce. Invochiamo lo Spirito quando non ci capiamo in
famiglia, in parrocchia, sul lavoro. Invochiamolo quando non riusciamo a
spiegarci.
Lo Spirito fa diventare i pavidi
apostoli dei formidabili evangelizzatori: ora non hanno più paura e osano,
vanno oltre, dicono senza timore la loro fede e la loro speranza. È la
pentecoste: la Chiesa si inebria e diventa missionaria. Lo Spirito Lo Spirito è
presenza d’amore della Trinità, ultimo dono di Gesù agli apostoli, invocato da
Gesù come vivificatore, consolatore, ricordatore, avvocato difensore, invocato
con tenerezza e forza dai nostri fratelli cristiani d’oriente. Senza lo Spirito
saremmo morti, esanimi, spenti, non credenti, tristi. Lo Spirito, discreto,
impalpabile, indescrivibile, è la chiave di volta della nostra fede, ciò che
unisce tutto. Lo Spirito, già ricevuto da ciascuno nel Battesimo, è colui che
ci rende presente qui e ora il Signore Gesù. Colui che ci permette di
accorgerci della sua presenza, che orienta i nostri passo a incrociare i suoi.
Siete soli? Avete l'impressione che la vostra vita sia una barca che fa acqua
da tutte le parti? Vi sentite incompresi o feriti? Invocate lo Spirito che è
Consolatore che con-sola, fa compagnia a chi è solo. Ascoltate la Parola e
faticate a credere, a fare il salto definitivo? Invocate lo Spirito che è
Vivificatore, rende la vostra fede schietta e vivace come quella dei grandi
santi.
Fate fatica a iniettare Gesù nelle vene
della vostra quotidianità, preferendo tenerlo in uno scaffale bello stirato da
tirare fuori di domenica? Invocate lo Spirito che ci ricorda ciò che Gesù ha
fatto per noi. Siete rosi dai sensi di colpa, la vita vi ha chiesto un prezzo
alto da pagare? La parte oscura della vostra vita vi ossessiona? Invocate
l’avvocato difensore, il Paracleto, che si mette alla nostra destra e sostiene
le nostre ragioni di fronte ad ogni accusa. Così gli apostoli hanno dovuto
essere abitati dallo Spirito, che li ha rivoltati come un calzino, per essere
finalmente, definitivamente, annunciatori e, allora, solo allora, hanno
iniziato a capire, a ricordare col cuore. Se avete sentito il cuore scoppiare,
ascoltando la Parola, state tranquilli: c’era lo Spirito che, finalmente, era
riuscito a forzare la serratura del vostro cuore e della vostra incredulità!
Lo
Spirito, lui, ci permette di cambiare. Lo Spirito, lui, ci permette di
ripartire.
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