Certezze sbagliate
a partire dal lessico.
Quali cicatrici porteranno?
di
Daniele Mencarelli
La pandemia da coronavirus che ha investito
l’intero pianeta, complice anche l’arrivo della bella stagione, inizia ad
allentare la sua presa. Come al termine di un conflitto, inizia la stagione
della ricostruzione, termine improprio visto che il virus che ha mietuto
migliaia e migliaia di vittime non ha distrutto nulla di materiale. Ci ha
devastato altrove, nella psiche, negli affetti, nelle economie di molti che
avevano già prima della pandemia non pochi problemi a riguardo.
Gli analisti di ogni settore umano hanno
cominciato a illustrare quel che ci aspetterà nei mesi che verranno. E in
particolare quelli legati all’economia e alla finanza, con toni più o meno
devastanti, vedono tutti nel prossimo futuro una crisi drammatica, che
investirà inevitabilmente tutti.Anche sul fronte dell’istruzione si
parla di ripartenza, di nuove formule d’insegnamento che tengano
conto del virus, perché con questo nemico invisibile ci dovremo convivere
per un po’, e questo è l’unico dato certo di quel che ci aspetta. Ciò
che sorprende, riguardo al tema dell’istruzione, è l’approccio
linguistico, si parla dei nostri figli in termini di produttività scolastica,
di resa formativa,di rendimento da proteggere. Si usa nei loro confronti un
lessico che prende in prestito dal mondo del lavoro, dell’industria, dell’economia.
Chissà cosa ne avrebbero pensato il maestro Manzi, o il maestro
Giorgio Caproni, o i migliaia e migliaia di insegnanti che
approcciano
ai loro alunni come a figli da crescere ed
educare con amore. Quel lessico, infatti, segna con evidenza una distanza
di sguardo e sensibilità, un distacco tra mondo adulto e mondo dell’infanzia.
Dal tema dell’istruzione a uno sguardo più
ampio, a una domanda, che deve interrogare tutti, a partire da chi scrive. Noi
adulti, genitori, in particolare quelli che hanno figli bambini, nel corso di
questi due mesi e oltre di pandemia ci siamo chiesti veramente cosa sentissero
i nostri figli? Abbiamo tentato di immedesimarci nei loro sentimenti? In quello
che provavano, spesso senza dircelo direttamente?
Oppure è accaduto il contrario? E le parole
con cui ci avviciniamo all’infanzia stanno lì a dimostrarlo, ovvero che abbiamo
preteso di alzare loro al nostro sguardo, alla nostra età, al nostro mondo di
interessi materiali, rendendoli un prodotto della nostra vita, un investimento
da proteggere dagli attacchi del mercato.
I bambini come hanno vissuto nel loro cuore
questa pandemia? Quali cicatrici gli rimarranno? Di questi mesi di clausura, di
tutte le immagini di disperazione e morte, della paura di abbracciare quello
che ieri era il migliore amico, di tutto questo cosa si porteranno per la vita
intera?
Non ci sono risposte. Ognuno dei nostri figli
vivrà una sua declinazione personale, unica e irripetibile, di quel che ha
patito oggi per questa pandemia da coronavirus.
Noi adulti, padri e madri, una
sola cosa possiamo fare: alleggerirgli il carico. Rendere la loro memoria un
luogo dove convivono ricordi negativi accanto a tanti bellissimi.
Abbassarci,
con umiltà e amore, alla loro straordinaria altezza.
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