Ricordare
Maria Montessori
per salvare
la pedagogia
Maria Montessori
per salvare
la pedagogia
La pedagogista, nata 150 anni fa, è stata una figura centrale del
Novecento e premio Nobel per la Pace mancato.
Mise al centro l’educazione alla
libertà del bambino
di DANIELE NOVARA
La storia di Maria
Montessori è esemplare: una delle prime donne a laurearsi in medicina, con non
poche e ovvie difficoltà in un mondo completamente dominato dagli uomini, si
impegnò da subito nel movimento di emancipazione femminile e iniziò le sue attività
professionali nel settore che all’epoca si definiva “dei deficienti”, quello
che oggi chiameremmo “delle malattie mentali e psichiatriche”. Lavorò a fianco
di Giuseppe Montesano con cui ebbe una relazione (mai sfociata nel matrimonio),
dalla quale nacque un figlio quando lei aveva 28 anni. In accordo con il
collega e padre del bambino, questi venne affidato a una famiglia dell’Agro
Pontino.
Questa sofferenza segnò
inequivocabilmente la sua vita e il suo interesse si spostò completamente verso
i bambini. In questo settore, applicò quello che era lo spirito dei tempi
dal punto di vista scientifico: positivista e molto concreto. Recuperò i
materiali di Édouard Séguin e Jean Itard, che avevano lavorato tantissimo con i
bambini cosiddetti “deficienti” agli inizi dell’Ottocento, in piena rivoluzione illuministico–
rousseauiana, e su quella base costruì i suoi straordinari materiali con
cui ottenne risultati favolosi proprio nell’alfabetizzazione dei bambini
ritardati. Risultati che all’inizio del Novecento lasciarono sbigottiti alcuni
importanti rappresentanti della borghesia romana dove la Montessori fece i
primi esperimenti e che le consentirono di aprire, nel 1907, la famosa
Casa dei Bambini nel quartiere San Lorenzo.
Qualche anno dopo (1912),
pubblicò il suo Metodo, una grande opera pensatissima con
tutti i dispositivi, i materiali e l’organizzazione delle sue scuole che nel
frattempo avevano incominciato a diffondersi in tutto il mondo. Durante l’epoca
fascista, Mussolini cercò di “appropriarsi” di Maria Montessori, vista la sua
fama internazionale, ma l’operazione fallì: è un metodo che con il dispotismo
non può avere alcuna affinità. Venne il momento in cui fu costretta a lasciare
l’Italia. Un regime totalitario non vuole avere scuole dove i bambini vengono rispettati
come individui pensanti perché potrebbero costituire un pericolo per il
sistema. Per la stessa ragione in Spagna durante la dittatura franchista e
nella Germania di Hitler non ci sono state scuole montessoriane.
Vale la pena ricordare i
basilari scientifici e pedagogici su cui si basa la rivoluzione di Maria
Montessori:
1. Il bambino e la bambina rappresentano le basi della vita umana,
ossia delineano le condizioni perché risulti degna di essere vissuta. Fare le
cose giuste da piccoli, almeno nei primi sei anni, rappresenta quella che anche
i grandi scienziati hanno definito la costruzione di una “base sicura”. La
Montessori lo intuì in un’epoca in cui l’attenzione ai bambini non era quella
che promuoviamo oggi.
2. Per far crescere bene i bambini ci vuole metodo e lei ne
inventò uno basato sulla costruzione di un ambiente dove i piccoli possono fare
esperienza e dove gli adulti sostengono queste esperienze senza sostituirsi, e
dove la sensorialità costruisce l’apprendimento. Le famose letterine
smerigliate ne rappresentano un esempio straordinario, così comei
materiali concreti utilizzati in matematica (i fuselli e i gettoni in
legno, le aste numeriche, le perle dorate).
3. La libertà: l’introduzione del tema della libertà nel sistema
educativo fu una novità forte. Un secolo prima, Rousseau l’aveva dichiarato
nell’Émile, ma la Montessori lo concretizzò in un metodo: sono i bambini che
scelgono cosa fare, cosa non fare e come organizzarsi. Ha sempre ripetuto due
cose: «voglio andare in una Casa dei Bambini e non accorgermi della presenza
delle maestre» e il famosissimo «Aiutami a fare da solo», la sintesi perfetta
dello spirito montessoriano nella logica che la libertà è sempre formativa. Ricordiamo
Maria Montessori a 150 anni dalla nascita, avvenuta il 31 agosto 1870, ma anche
la crisi della pedagogia che stiamo vivendo, quella buona, non quella dei
baroni e delle accademie, quella pratica che organizza i processi educativi e
di apprendimento. L’Italia sta subendo gravi conseguenze, sia sul piano scolastico
che su quello genitoriale, per la mancanza di una scienza riconosciuta che
regoli questi processi.
Per capirla fino in fondo
bisogna andare sulla sua tomba, in Olanda a Noordwijk sul Mare del Nord. Aveva
chiesto di essere sepolta dove fosse morta, dichiarando da sempre di sentirsi
cittadina del mondo. E quel giorno, il 6 maggio 1952, a 82 anni, si
trovava lì nella casa di vacanza del figlio Mario che l’aveva seguita per tutta
la vita.
Le parole che compaiono
sulla sua pietra non lasciano dubbi sulla costante missione di questa grande
scienziata: “ Io prego i cari bambini, che possono tutto, / di unirsi a
me per la costruzione della pace / negli uomini e nel mondo”.
Candidata due volte al Nobel
per la Pace, non le fu mai attribuito, lasciando un vulnus enorme
nella storia di questo prestigioso Premio, mai consegnato a figure del mondo
educativo.
Che i 150 anni dalla sua
nascita siano l’occasione per una memoria attiva, consapevole, che riporti al
centro dell’attenzione i temi dell’educazione e della buona crescita dei
bambini.
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