Quando il tempo non sarà più
ingombrato dalla emergenza, prendiamoci la responsabilità di una politica più
attenta al necessario, un politica impegnata a cercare risorse per tutto ciò
per cui ne va della qualità della vita. Nel frattempo a noi tutti è chiesto di
praticare una virtù troppo spesso dimenticata: sapere ringraziare.
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La tecnologia è essenziale alla vita umana, lo sappiamo ogni
giorno, ma diventa evidente in momenti come quelli che stiamo vivendo: le
mascherine, i respiratori, tutti i dispositivi necessari ad allestire una
terapia intensiva.
Essenziale è la ricerca scientifica che consente di
preparare i vaccini, di fabbricare i farmaci. Sono i momenti come questi che
dicono la verità della necessità di investire di più nella ricerca, in quella
che sta in ascolto dei bisogni essenziali. Non c’è vita umana se non c’è ricerca
e non c’è tecnologia che produce quegli artefatti utili a rendere quanto più
possibile buona la qualità della vita. Ma non tutta la ricerca e non tutta la
tecnologia si costituiscono come risposta a questo bisogno essenziale; nella
seconda metà del secolo scorso Hannah Arendt ci ha fatto notare che molti
sforzi scientifici sono diretti a rendere il più artificiale possibile la vita,
quasi a perseguire il sogno di poter recidere i legami con il mondo naturale
sempre troppo imprevedibile.
Proprio perché la tecnologia consente di costruire il mondo
umano (quello che noi facciamo) come altro dal mondo della natura (quello che
noi troviamo già) si rischia di dimenticare quello che noi siamo: materia
vivente nel tessuto naturale della vita. Ma noi siamo parte della natura.
Per quanta conoscenza scientifica riusciamo ad
acquisire la vita naturale, quella che ci troviamo a vivere, resta in
molti suoi aspetti imprevedibile, perché capace di generare sempre
forme nuove. Come quelle piccole ma tremende “invenzioni” che sono i
virus. Pensare la vita nella sua complessità e imprevedibilità è
azione salutare del pensiero: obbliga all’umiltà, a uno sguardo
più misurato, a cercare un pensare che anziché recidere i legami con
la Terra ci ricordi che noi siamo fatti della stessa cosa di cui è
fatto il resto del mondo naturale. È questo nostro essere parte di
un mondo che non possiamo controllare alla radice di quella fragilità che oggi
un semplice e terribile virus ci ricorda.
Non cambia l’ordine delle cose sapere tutta la nostra
vulnerabilità, ma pensarla e accettarla obbliga ad altre scelte, ad altri
ritmi, obbliga soprattutto ad aver cura della vita.
Perché la vita ha bisogno di cura.
Senza cura non c’è vita. C’è una cura che procura quanto è
necessario a nutrire la vita e a conservarla. C’è una cura per fare fiorire le
potenzialità dell’essere, che si fa arte dell’esistere.
C’è una cura che ripara le ferite, quelle del corpo o
dell’anima, così che il quotidiano camminare nel tempo possa riprendere.
Questo momento è di emergenza per la cura che ripara:
medici, infermieri e operatori della salute, tutti quelli che ogni giorno
riparano la vita quando si inceppa, oggi sono lì a fare di più. A fare oltre la
misura.
Facciamo, noi tutti, in modo di non dimenticarlo quando
finalmente tutto questo sarà finito, quando butteremo le mascherine, quando
torneremo a respirare nell’aperto, senza quella paura che impedisce di esserci
veramente, di esserci con sé e con gli altri. Quando il tempo non sarà più
ingombrato dalla emergenza, prendiamoci la responsabilità di una politica più
attenta al necessario, un politica impegnata a cercare risorse per tutto ciò
per cui ne va della qualità della vita.
Nel frattempo a noi tutti è chiesto di praticare una virtù
troppo spesso dimenticata: sapere ringraziare.
Ringraziare, primi fra tutti, coloro che negli ospedali
stanno resistendo nella fatica di riparare la vita.
* Luigina Mortari è professore ordinario di Epistemologia della ricerca qualitativa e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi di Verona. Le sue ricerche hanno per oggetto la filosofia dell’educazione, la filosofia e la pratica della cura, la definizione teorica e l’implementazione dei processi di ricerca qualitativi, la formazione dei docenti e dei professionisti sociali, educativi e sanitari, e le politiche formative.
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