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sabato 29 febbraio 2020

TENTAZIONI ... VIRALI

-  I Domenica di Quaresima

VANGELO – Mt 4,1-11
In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai:a lui solo renderai culto». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Commento di don Giovanni Berti

La Quaresima, i quaranta giorni che hanno lo scopo di aiutarci a rimettere al centro della vita personale e comunitaria l'annuncio pasquale, inizia come sempre con questo racconto di Gesù che per quaranta giorni va nel deserto. Il perché ci va è subito detto dall'evangelista Matteo: “...condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo”.
La strada umana del figlio di Dio passa per questa esperienza che è voluta da Dio. Ma perché lo Spirito di Dio conduce Gesù nel deserto? Si tratta per caso di una specie di “crash-test” di fedeltà che Dio opera per testare i punti deboli dell'uomo Gesù di fronte alla missione che inizierà con la predicazione e che lo porterà allo scontro finale e quindi sulla croce? E Dio fa così anche con noi? Ci mette alla prova ogni tanto con qualche esperienza difficile o disgrazia per vedere se siamo fedeli e quindi ottenere il bollino di santità?
I “crash-test” sono operati non solo dai produttori di automobili, ma anche da tutte quelle aziende di macchinari e oggetti di largo uso per verificare la tenuta del prodotto e anche per vantare la sua solidità in situazioni estreme. Un crash-test, che porta il prodotto a rompersi, può essere un modo molto efficace per farne vedere la solidità molto alta, oltre quello che si poteva immaginare.
Gesù nel deserto viene mandato per dimostrare la sua solidità come Figlio di Dio e come uomo, e anche per dimostrare la debolezza del suo tentatore con le sue tentazioni.
Il deserto per il popolo di Israele è il luogo del lungo cammino di liberazione che lo ha fatto diventare popolo di Dio attraverso molte prove. Alla fine del cammino dalla schiavitù d'Egitto il popolo arriva alla Terra promessa, e ci arriva rinnovato profondamente, con una consapevolezza nuova della sua forza e della forza di Dio. I momenti difficili ci sono stati e in qualche occasione si è andati vicini alla rottura finale dell'alleanza con il ritorno alla schiavitù, ma poi la vittoria finale c'è stata, perché Dio ha mostrato la sua presenza più grande di ogni resistenza.
Gesù è nel deserto con questa consapevolezza profonda: da Dio viene e in Dio e nel suo amore è protetto. Il diavolo non può scalfirlo con le più raffinate seduzioni, che all'apparenza non sembrano così malvagie, ma sono nel loro profondo un tentativo di allontanare l'uomo Gesù dalla sua natura divina di Figlio di Dio. Gesù viene tentato sulla fame, sulla religione e sul potere. Viene messo davanti a quelle realtà che spesso portano ogni uomo a perdere la propria identità profonda di figlio di Dio.
Quando pensiamo che i beni materiali siano più importanti di quelli spirituali, è li che rischiamo di dimenticare che siamo fatti per amare ancor prima che di mangiare. E che chi ci sta accanto non è solo una pancia da riempire ma prima di tutto un cuore da scaldare, perché “non di solo pane vivrà l'uomo”. Quando riduciamo la religione a qualcosa di magico e non approfondiamo veramente l'insegnamento della nostra fede, rischiamo di cadere anche noi nella trappola “religiosa” del tentatore quando esorta Gesù a buttarsi dal Tempio per sopravvivere in modo magico, come se fosse quella la vera fede. Quando anche noi pensiamo che la vera potenza sia nel controllo di più beni e persone possibili, quando pensiamo che il successo sia tutto e che dalle tasche piene saremo giudicati, anche noi rischiamo di perdere quello che abbiamo già nel cuore che è la capacità di amare, la più potente delle capacità e il più potente dei mezzi per avere il mondo sotto i nostri piedi. Infatti proprio dall'alto della croce Gesù avrà tutto il mondo sotto controllo del suo amore.
Gesù supera il crash-test del deserto evidenziando tutti i punti deboli dell'azione del diavolo. Per questo che all'inizio della Quaresima anche noi guardiano a Gesù nel deserto per poterlo scegliere di nuovo, per fare come lui, per essere come lui.
Quest'anno la nostra Quaresima inizia anche con una emergenza sanitaria che voglio vedere come un imprevisto crash-test per la nostra fede e anche per la nostra umanità. Abbiamo l'occasione per far vedere i punti forti che abbiamo già dentro e con i quali Dio ci ha creati. Non è Dio ad aver mandato il coronavirus, ma è lui che come Gesù ci conduce con il suo Spirito d'amore anche dentro questo deserto insidioso e per molti aspetti misterioso. Abbiamo lo Spirito di Dio in noi e abbiamo tutta l'umanità di Cristo. Non possiamo cedere e sono sicuro che alla fine verrà fuori il meglio di noi, della nostra comunità cristiana e della nostra umanità. E ancora una volta come nel racconto evangelico sarà il tentatore a fare brutta figura...


CORONA VIRUS: RITORNO A SCUOLA. CHE COSA FARE?

“La conoscenza aiuta la responsabilità e costituisce un forte antidoto a paure irrazionali e immotivate che inducono a comportamenti senza ragione e senza beneficio, come avviene talvolta anche in questi giorni Mattarella, 28.02.2020.

Intervista ad Antonetto Provenzale [1].

di Giovanni Perrone

Scuola: qualche giornata di vacanza, “grazie” al Corona Virus che, come un uragano, si è abbattuto all’improvviso su persone, famiglie e istituzioni.
Siamo stati invasi da comunicati, informazioni, talk show, vere e false notizie, e tanto, tanto panico!
Scienziati, decisori politici, demagoghi di turno … ognuno ha potuto esprimere il proprio parere, a ragione o a torto, a fin di bene comune o anche per interessi particolari. 
La diffidenza, la paura dell’altro, visto come possibile untore, si sono ampiamente diffuse. 
WhatsApp ha fatto la sua parte.
        Ora si torna a scuola. Che cosa fare? Mettiamo la coscienza a posto con la pulizia ‘straordinaria’ dei locali scolastici o con ordinanze e circolari di manzoniana memoria?  Prepariamo barbose 'lezioni-prediche' o lamentazioni ... ?
      La scuola, per sua natura, deve essere un ambiente sereno e virtuoso, luogo di relazioni positive con le persone e con il sapere. Si apprende ad andare avanti verso il futuro, con competenza e coraggio, insieme agli altri, per costruire il bene comune. L’educazione è, infatti, un virtuoso cammino  di speranza, di valorizzazione e di responsabilizzazione. 
     La prudenza e la vigilanza non sono virtù passive e statiche, ma aiutano nelle scelte e nell'avanzare verso il domani e fortificano il procedere coraggioso. Tutte le virtù, infatti, orientano, non evirano. 
      L'educatore è dispensatore di fiducia, competenza e impegno; è suscitatore di pensiero critico, non diffusore di angosce, fobie e pregiudizi.  E' persona dinamica, non testimone di immobilità. Le sue scelte sono caratterizzate da saggezza e sapienza.
      Quale può essere l’agire virtuoso in questo periodo? Per avere dei consigli pratici ne ho parlato con un esperto, il medico Antonetto Provenzale 

D. Gli alunni tornano a scuola. Troveranno ambienti puliti. Basta questo?
R. Si è diffuso tanto panico, purtroppo. E’ opportuno aiutare i ragazzi a riflettere sulle esperienze (talora traumatiche) vissute e a superare inutili paure e dannosi pregiudizi.  Gli alunni non possono trovare insegnanti e dirigenti allarmati. Questo periodo difficile può essere ‘valorizzato’ come occasione di crescita, di responsabilizzazione, di acquisizione di buone abitudini. L’educazione alla salute e specifiche lezioni d’igiene servono a poco se non producono buone abitudini e se gli alunni non vengono accompagnati nel percorso di crescita: non basta una bella e buona lezione una tantum!
La pulizia straordinaria è stata utile, ma è necessario garantire quotidianamente un’adeguata pulizia delle suppellettili e degli ambienti con i quali i ragazzi sono per molte ore al giorno a contatto. Gli stessi alunni vanno educati a tener tutto pulito, e a pulire se sporcano, coinvolgendoli in attività pratiche (per esempio, garantendo la pulizia delle superfici e delle suppellettili che utilizzano durante la giornata). Occorre utilizzare prodotti adeguati, che non creino problemi agli alunni (es. allergie). Nel frattempo occorre responsabilizzare adeguatamente – senza timore – il personale addetto alla vigilanza e alla pulizia. Anche i genitori devono essere ‘orientati’ e rassicurati.
D.  Quali attenzioni particolari suggerisce?
R. Personale scolastico e alunni devono lavarsi bene le mani quando è ritenuto opportuno (senza far diventare ciò una fobia). A tal fine nei locali dei servizi igienici occorrono dei dispensatori di sapone e carta mono uso. In diverse scuole all’estero in ogni aula si trova un lavabo, con sapone e carta. Sarebbe opportuno che anche nelle nostre scuole si provvedesse in tal senso. Si faciliterebbe l’adeguata pulizia delle mani e si eviterebbe la confusione nelle toilette.
E’ importante la vigilanza del personale addetto ai servizi igienici, per garantire una costante pulizia. A proposito, i maschi dovrebbero potere utilizzare degli orinatoi a parete per garantire maggiore igiene.
D. Quali precauzioni prendere per garantire agli ambienti scolastici  e agli alunni salubrità e igiene?
R. Occorre assicurare alle aule il frequente ricambio di aria. Se ci sono i condizionatori è necessaria la frequente pulizia dei filtri. Gli ambienti chiusi, infatti, favoriscono la concentrazione e la diffusione dei virus e dei batteri.
Durante la giornata è bene trovare una o più pause per svolgere delle attività all’aperto. Esse evitano la stasi e l’immobilismo e favoriscono una buona ossigenazione (cosa opportuna anche per migliorare la qualità degli apprendimenti).
Gli alunni in aula devono essere liberi nei movimenti, non sovraccaricati da indumenti pesanti (cappotti, copricapo, sciarpe …) utili solo in ambienti esterni.
D. Altri consigli?
R. Sono semplici consigli, ma sempre utili. L’esempio dei genitori e degli insegnanti è essenziale nel promuovere l’acquisizione di buone abitudini nelle giovani generazioni. I ragazzi hanno bisogno di un numero di ore adeguate per il sonno (non meno di otto ore). Le persone stressate, infatti, sono le più vulnerabili. I cellulari non devono essere tenuti in stanza da letto e occorre utilizzarli con moderazione (i ragazzi – e spesso gli stessi adulti- ne divengono facilmente schiavi). Tra l’altro, il frenetico uso di cellulari non favorisce la crescita di ragazzi creativi e dinamici.  Una prima colazione abbondante prima di recarsi a scuola è sempre necessaria.
Per quanto riguarda le merende, è opportuno utilizzare al minimo prodotti preconfezionati e preferire un semplice panino e una frutta. E’ necessario bere acqua abbondante, piuttosto che bevande gasate e zuccherate. Non occorre dimenticare che la frutta è un alimento essenziale in ogni età e aiuta le difese organiche.
Non dimenticare che l’attività motoria sia a scuola che fuori scuola è necessaria per un buono sviluppo psico-fisico. Le attività all’aria aperta evitano la diffusione dei virus.
In particolare nel periodo influenzale è bene evitare ambienti chiusi ed affollati dove il rischio di contaminazione è più elevato.
Se si tossisce o starnutisce è necessario usare fazzoletti usa e getta, coprirsi bocca e naso (per evitare la diffusione dei virus) e lavarsi le mani. Le mani non vanno messe in bocca, negli occhi e nel naso.
E’ buona abitudine parlare a bassa voce: l’urlare, il parlare a voce alta provoca infiammazione alla gola, riduce le difese organiche e favorisce la diffusione di germi.
Se si riscontrano problemi di salute è bene affidarsi ai consigli del medico che indicherà le opportune cure e medicine (evitare il fai da te). Il Ministero ha diffuso opportuni consigli per affrontare questo periodo complesso.
Anche questi momenti difficili debbono essere vissuti a scuola con responsabilità e serenità. Sono, infatti, transitori e non debbono disorientarci e condizionarci emotivamente. o condannarci all'immobilismo.
  

[1] Antonetto Provenzale, medico chirurgo, esperto in medicina delle emergenze, ha operato per molti anni nella Croce Rossa Italiana.



venerdì 28 febbraio 2020

INTELLIGENZA ARTIFICIALE: SERVE UN'ALGOR-ETICA

Il Papa: Intelligenza artificiale, si tratta di un crocevia epocale

È la “nuova frontiera” che stringe in un rapporto complesso l’uomo e la macchina. Alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Paglia legge il discorso preparato da Francesco sulle potenzialità e rischi delle nuove tecnologie: la Chiesa è chiamata a contributo di riflessione perché ciò che automatico sia a servizio e leda mai la dignità della persona

di Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Quello che è certo, e al Papa è ben chiaro, è che si tratta di un crocevia epocale. Come quando, scrive, l’uomo ha inventato la macchina a vapore, l’elettricità, la stampa. Adesso è la stagione dell’intelligenza artificiale, l’epoca in cui a prendere decisioni anche importanti sono spesso, insieme, l’uomo e un algoritmo, ovvero una relazione tutta da esplorare. Francesco non presenzia alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, la lieve indisposizione che da ieri lo ha indotto a modificare gli impegni non gli consente di salutare di persona le molte personalità presenti – dal presidente del Parlamento europeo al direttore generale della Fao – e i tanti esperti che in questi giorni hanno preso parte al Workshop dal titolo "The “good” Alghoritm? Artificial Intelligence: Ethics, Law, Health".

Digitale e pensiero critico
Nel discorso che al suo posto legge il presidente dell’Accademia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il Papa mette subito in chiaro un aspetto, la tecnologia che popola la “galassia digitale” è “un dono di Dio”. Ma è anche una risorsa dai risvolti complessi, in cui il rapporto tra “l’apporto propriamente umano e il calcolo automatico” va studiato bene perché non sempre è facile “prevederne gli effetti” e “definirne le responsabilità”. Per questo l’approccio del Papa alla questione è di tipo problematico. Le nuove tecnologia, afferma, non sono “strumenti neutrali” e per la loro stessa natura arrivano a “rendere labili confini finora considerati ben distinguibili: tra materia inorganica e organica, tra reale e virtuale, tra identità stabili ed eventi in continua relazione tra loro””.
Digitale e democrazia
A livello personale, osserva, “l’epoca digitale cambia la percezione dello spazio, del tempo e del corpo”, mentre “l’omologazione si afferma come criterio prevalente di aggregazione”, cosicché “riconoscere e apprezzare la differenza diventa sempre più difficile”. A livello socio-economico, sottolinea Francesco, emerge il profilo di “utenti sono spesso ridotti a ‘consumatori’, asserviti a interessi privati concentrati nelle mani di pochi”.
 Dalle tracce digitali disseminate in internet, gli algoritmi estraggono dati che consentono di controllare abitudini mentali e relazionali, per fini commerciali o politici, spesso a nostra insaputa. Questa asimmetria, per cui alcuni pochi sanno tutto di noi, mentre noi non sappiamo nulla di loro, intorpidisce il pensiero critico e l’esercizio consapevole della libertà. Le disuguaglianze si amplificano a dismisura, la conoscenza e la ricchezza si accumulano in poche mani, con gravi rischi per le società democratiche.
L’uomo prima della funzione
Francesco riconosce i tanti vantaggi della tecnologia, le scienze biologiche devono tanto all’intelligenza artificiale. Tuttavia, sostiene, “è nostro impegno tutelare e promuovere, non solo nella sua costitutiva dimensione biologica, ma anche nella sua irriducibile qualità biografica”.
La correlazione e l’integrazione fra la vita vivente e la vita vissuta non possono essere rimosse a vantaggio di un semplice calcolo ideologico delle prestazioni funzionali e dei costi sostenibili. Gli interrogativi etici che emergono dal modo in cui i nuovi dispositivi possono – appunto – “disporre” della nascita e del destino delle persone richiedono un rinnovato impegno per la qualità umana dell’intera storia comunitaria della vita.
L’etica incontra l’algoritmo
E qui il Papa chiama in causa il ruolo antico e sempre nuovo della Chiesa, far sì che la persona, immagine di Dio, sia il centro e non il margine di ogni conquista umana. Nel caso degli apparati tecnologici questo vuol dire che non basta la coscienza di chi li inventa, ma serve formare pure quella di chi li usa.
Si intravede una nuova frontiera che potremmo chiamare “algor-etica”. Essa intende assicurare una verifica competente e condivisa dei processi secondo cui si integrano i rapporti tra gli esseri umani e le macchine nella nostra era. Nella comune ricerca di questi obiettivi, i principi della Dottrina Sociale della Chiesa offrono un contributo decisivo: dignità della persona, giustizia, sussidiarietà e solidarietà.
Aggiornare diritti e doveri
Francesco vede l’“algor-etica” come “un ponte” in grado di “far sì che i principi si inscrivano concretamente nelle tecnologie digitali, attraverso un effettivo dialogo transdisciplinare”. E chiede agli esperti di “un’azione educativa più ampia”
Nel momento presente, peraltro, sembra necessaria una riflessione aggiornata sui diritti e i doveri in questo ambito. Infatti, la profondità e l’accelerazione delle trasformazioni dell’era digitale sollevano inattese problematiche, che impongono nuove condizioni all’ethos individuale e collettivo. Certamente la Call che oggi avete firmato è un passo importante in questa direzione, con le tre fondamentali coordinate su cui camminare: l’etica, l’educazione e il diritto.

VATICAN NEWS







giovedì 27 febbraio 2020

EMERGENZA SANITARIA


La Presidenza nazionale dell'AIMC ha diffuso un documento sui comportamenti più opportuni di fronte all'emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Corona Virus.

Leggi: DOCUMENTO

martedì 25 febbraio 2020

QUARESIMA, TEMPO DI CONVERSIONE

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2020

«Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20)

Cari fratelli e sorelle!
Anche quest’anno il Signore ci concede un tempo propizio per prepararci a celebrare con cuore rinnovato il grande Mistero della morte e risurrezione di Gesù, cardine della vita cristiana personale e comunitaria. A questo Mistero dobbiamo ritornare continuamente, con la mente e con il cuore. Infatti, esso non cessa di crescere in noi nella misura in cui ci lasciamo coinvolgere dal suo dinamismo spirituale e aderiamo ad esso con risposta libera e generosa.
1. Il Mistero pasquale, fondamento della conversione
La gioia del cristiano scaturisce dall’ascolto e dall’accoglienza della Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù: il kerygma. Esso riassume il Mistero di un amore «così reale, così vero, così concreto, che ci offre una relazione piena di dialogo sincero e fecondo» (Esort. ap. Christus vivit, 117). Chi crede in questo annuncio respinge la menzogna secondo cui la nostra vita sarebbe originata da noi stessi, mentre in realtà essa nasce dall’amore di Dio Padre, dalla sua volontà di dare la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Se invece si presta ascolto alla voce suadente del “padre della menzogna” (cfr Gv 8,45) si rischia di sprofondare nel baratro del nonsenso, sperimentando l’inferno già qui sulla terra, come testimoniano purtroppo molti eventi drammatici dell’esperienza umana personale e collettiva.
In questa Quaresima 2020 vorrei perciò estendere ad ogni cristiano quanto già ho scritto ai giovani nell’Esortazione apostolica  Christus vivit: «Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente. E quando ti avvicini per confessare i tuoi peccati, credi fermamente nella sua misericordia che ti libera dalla colpa. Contempla il suo sangue versato con tanto affetto e lasciati purificare da esso. Così potrai rinascere sempre di nuovo» (n. 123). La Pasqua di Gesù non è un avvenimento del passato: per la potenza dello Spirito Santo è sempre attuale e ci permette di guardare e toccare con fede la carne di Cristo in tanti sofferenti.
2. Urgenza della conversione
È salutare contemplare più a fondo il Mistero pasquale, grazie al quale ci è stata donata la misericordia di Dio. L’esperienza della misericordia, infatti, è possibile solo in un “faccia a faccia” col Signore crocifisso e risorto «che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico. Ecco perché la preghiera è tanto importante nel tempo quaresimale. Prima che essere un dovere, essa esprime l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre ci precede e ci sostiene. Il cristiano, infatti, prega nella consapevolezza di essere indegnamente amato. La preghiera potrà assumere forme diverse, ma ciò che veramente conta agli occhi di Dio è che essa scavi dentro di noi, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore, per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà.
In questo tempo favorevole, lasciamoci perciò condurre come Israele nel deserto (cfr Os 2,16), così da poter finalmente ascoltare la voce del nostro Sposo, lasciandola risuonare in noi con maggiore profondità e disponibilità. Quanto più ci lasceremo coinvolgere dalla sua Parola, tanto più riusciremo a sperimentare la sua misericordia gratuita per noi. Non lasciamo perciò passare invano questo tempo di grazia, nella presuntuosa illusione di essere noi i padroni dei tempi e dei modi della nostra conversione a Lui. .... 



UN VIRUS CHE CI PREOCCUPA E CI INTERROGA

Le patologie del corpo e 
quelle dell’anima

di Giuseppe Savagnone *

L’assurgere del coronavirus a protagonista quasi esclusivo della vita del nostro Paese non è solo un fenomeno che riguarda la sfera della salute fisica, ma sta mettendo in luce patologie che si annidano a un livello più profondo, quello dell’anima degli italiani, e che dovrebbero preoccuparci non meno dell’allarme sanitario.
Il virus come strumento di polemica partitica…
Una prima patologia è il clima di esasperata conflittualità politica che ha reso impossibile, perfino in questo momento di emergenza nazionale, una risposta solidale alla sfida del virus. Una parte dell’opposizione – quella che fa capo alla Lega – sembra concentrare in questi giorni la propria attenzione, più che sull’epidemia, sulle vere o presunte responsabilità del governo, trasformando lo stato di calamità nazionale in uno strumento per delegittimare  il premier e giungere, come ha sempre sperato, a nuove elezioni.
Per averne un saggio, basta leggere i titoli di prima pagina di alcuni quotidiani, portavoce abituali di questa destra politica, dove, a differenza di quelli delle altre testate, volti a informare sulla gravità della situazione e sulle misure prese per fronteggiarla, si pensa ad attaccare l’esecutivo.
… invece che come sfida che crea solidarietà
Ora, sono personalmente convinto (come molti altri) che, nella gestione dell’emergenza, si siano fatti alcuni errori – per esempio quello di bloccare i voli diretti con la Cina, rendendo così impossibile monitorare i viaggiatori provenienti da là e che sono giunti egualmente in Italia attraverso altri scali. Ma forse in questo momento sarebbe stato il caso di accantonare i propri rancori di parte e puntare, per una volta, sulla solidarietà nazionale. Tanto più che un indebolimento o addirittura le dimissioni del governo, in questa delicatissima congiuntura, avrebbero come unico effetto quello di consegnare il Paese al caos.
La soluzione è difendere le frontiere?
Una seconda patologia è l’ostinazione nell’attribuire la causa dei mali italiani alla mancata difesa delle frontiere. Alcuni giornali hanno legato l’accoglienza all’arrivo del contagio in Italia. Cosa che riprende la polemica del leader della Lega, Salvini, che in diversi interventi pubblici di questi giorni ha collegato il problema della diffusione del coronavirus a quello, da sempre centrale nella sua battaglia politica, della difesa delle frontiere dai migranti.
Citiamo alcuni di questi interventi: «Governo ha sottovalutato coronavirus, far sbarcare migranti ora è irresponsabile». «Forse ora qualcuno avrà capito che è necessario chiudere, controllare, blindare, bloccare, proteggere?». «Blindiamo e sigilliamo i confini».
Ma quali frontiere?
In realtà, proprio la diffusione del coronavirus sta evidenziando in modo irrefutabile l’impossibilità, nel mondo globalizzato, di “blindare e sigillare i confini”. Uno slogan fallace anche quando Salvini faceva il braccio di ferro con Carola Rakete, mentre centinaia di migranti, fuori dal raggio dei riflettori, sbarcavano sulle nostre spiagge dai barconi.
Adesso l’idea di chiudere le frontiere è resa ancora più assurda per il fatto che non si sa più quali siano queste frontiere. Quelle con l’Africa, ancora tenacemente evocate dal leader della Lega, non c’entrano nulla con l’epidemia in corso, che sicuramente non è venuta da là. E non ne abbiamo in comune con la Cina. L’unico blocco possibile, quello dei voli diretti, è stato probabilmente, come si diceva un errore, perché ha reso incontrollabile il flusso di coloro che venivano da quel Paese. E certo Salvini non pretende che «blindiamo» i nostri confini chiudendoci al mondo intero, perché una tale misura sarebbe, per l’Italia come per chiunque altro, un suicidio economico (si pensi al turismo, agli scambi commerciali…) .
Il virus è tra noi
Non c’è dunque nessuna frontiera da chiudere. Tanto più che il virus che ci aggredisce non ha nazionalità e non ha bisogno di chiedere nessun permesso di soggiorno, perché, quale che sia stata la sua originaria provenienza, sono degli italiani a esserne portatori, e non lo hanno preso in Cina, ma al bar sotto casa loro. La netta contrapposizione fra “noi di dentro” e “gli altri di fuori”, che è stata il leit motiv della campagna sull’opinione pubblica italiana in questi ultimi due anni, naufraga miseramente in una situazione in cui la minaccia può venire anche dal nostro vicino di casa.
Il virus come attentato alla sicurezza
Una terza patologia che il coronavirus sta rivelando è la fragilità di una popolazione italiana invecchiata, che da troppo tempo ha assunto come valore fondamentale la sicurezza e che teme sopra ogni altra cosa il rischio (quello della morte, ma anche quello della vita: vedi calo drammatico delle nascite). Da qui la diffidenza verso chi è “diverso”. Da qui il panico che si è impadronito del Paese davanti a questo virus “straniero”, sconosciuto, subito demonizzato come una nuova peste.
Il disaccordo tra gli scienziati
Non ho nulla contro il virologo Burioni, ma al posto suo avrei evitato, almeno per ovvi motivi psicologici, di paragonare la mortalità potenziale del Covid-19 a quella dell’influenza spagnola, che tra il 1918 e il 1920 fece milioni di vittime in tutto il mondo.
Non sono in grado di dare una valutazione sulla fondatezza di questa sua affermazione. Ma prendo atto che scienziati altrettanto autorevoli vedono la situazione in modo molto diverso. È il caso di Maria Rita Gismondo, virologa responsabile del laboratorio dell’ospedale Sacco di Milano: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così. Guardate i numeri (…). Non è pandemia! Durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno! Per coronavirus 1!».
Anche un’altra illustre virologa italiana, Ilaria Capua, che negli Stati Uniti dirige il One Health Center of Excellence della University of Florida, intervistata da Lucia Annunziata, ha sostenuto che quella in atto è «una sindrome simil-influenzale» che potrebbe durare «fino a primavera inoltrata o prima dell’estate». E ha espresso la sua convinzione «che il virus farà il giro del mondo in tempi abbastanza rapidi, perché siamo tanti e il virus troverà tanti corpi, come batterie. Ma non vuol dire che ci saranno forme gravi, anzi molto probabilmente sarà sempre più debole».
Un giudizio che francamente non si presta a paralleli con la micidiale “spagnola”. E che di sicuro non autorizzerebbe le scene di panico collettivo a cui stiamo assistendo in questi giorni. Chi ha ragione? Le autorità fanno bene a prendere le misure più severe, tenendo conto delle peggiori eventualità, ma il loro invito alla calma andrebbe preso più sul serio.
Il virus ci costringe a vedere la nostra finitezza
Il punto è – e questa è forse la patologia più insidiosa, tra quelle messe in evidenza dal coronavirus – che l’individuo della società industrializzata e consumistica, inebriato e stordito dal suo frenetico attivismo, stenta ad accettare i limiti che derivano dalla sua strutturale finitezza. Anche se ci siamo ormai da tempo lasciati alle spalle le filosofie ottocentesche che esaltavano il Soggetto, mettendolo al posto di Dio, la maggior parte vive tenendo il più possibile lontano dal proprio sguardo l’ineluttabile realtà della sofferenza, della malattia e della morte. Come ha scritto Pascal, «gli uomini, non avendo potuto guarire la morte  (…), hanno deciso di non pensarci per rendersi felici». E d’altronde, ci siamo costruiti un tipo di vita in cui non c’è il tempo di pensare ad altro che alle scadenze immediate.
Questa anestesia collettiva ora viene messa in crisi. Per quanto possa essere ridotto, di fatto, l’effetto letale del coronavirus, nell’immaginario collettivo un’epidemia richiama sempre, inevitabilmente, la precarietà della vita e la possibilità angosciosa della morte. È questa angoscia che si annida sordamente al fondo del panico diffuso.
Una finestra sulla vita
Eppure, proprio perché ci costringe a fermarci e a riflettere, l’epidemia in corso, con i suoi tantissimi aspetti negativi, può anche essere l’occasione di una guarigione dalla superficialità a cui la fretta spesso ci costringe. E questa presa di coscienza non è necessariamente motivo di disperazione. La finitezza e la vulnerabilità non sono di per sé una maledizione. Se accettate, esse possono costituire, come ha detto qualcuno, «una finestra sulla vita», un modo per viverla più intensamente.
Unirci a quelli che fanno la loro parte
Forse dobbiamo a un virus l’occasione di guardarci allo specchio e di prendere coscienza dei nostri demoni. Senza dimenticare che questo specchio ci rimanda anche il volto di tanti che si stanno sforzando, in questi giorni, di fare, con serietà e con coraggio, il possibile e qualche volta l’impossibile per contribuire al bene comune. Ma il modo migliore per onorarli non è di tessere il loro elogio, bensì di imitarli come possiamo, facendo umilmente ciascuno la propria parte.

*Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore ed Editorialista.






lunedì 24 febbraio 2020

EDUCARE SENZA GRIDARE ....

Educare senza gridare è la scelta migliore che possiamo fare come genitori ed educatori. Urlare non è istruttivo né salutare per il cervello del bambino. Lungi dal risolvere qualcosa, in realtà si attivano due tipi di risposte emotive: paura e/o rabbia. Impariamo a educare, a imporre la disciplina con il cuore, l’empatia e la responsabilità.

Tutti coloro che sono genitori o che lavorano ogni giorno nel mondo dell’educazione e dell’insegnamento saranno stati tentati di alzare la voce in molteplici occasioni, allo scopo di fermare un comportamento fuori controllo o di sfida, di bloccare dei capricci che mettono a dura prova la pacatezza. Non possiamo negarlo, queste situazioni capitano spesso, sono momenti in cui la fatica si combina con lo stress e la nostra disperazione supera il limite.
Gridare non educa, educare con urla rende sordo il cuore e chiude il pensiero.
Ma cedere e lasciare spazio alle urla è qualcosa che molte persone fanno. Non è un tabù genitoriale. In realtà alcuni dicono che gridare, così come “un bel ceffone quando ci vuole”, sia utile. Ora, per chi sceglie di educare gridando e vede di buon occhio questi metodi, si tratta della normalità. Forse sono gli stessi metodi che sono stati usati con loro quando erano bambini. Adesso che sono diventati adulti, non sono in grado di utilizzare altri strumenti, altre alternative più utili e rispettose.
Educare senza gridare non è solo possibile, ma necessario. Disciplinare, correggere, guidare e insegnare senza ricorrere alle urla ha un impatto positivo sullo sviluppo della personalità del bambino. Si tratta di un modo efficace per prendersi cura del suo mondo emotivo, per soddisfare la sua autostima, per dare l’esempio e fargli vedere che c’è un altro tipo di comunicazione che non fa male, che sa comprendere ed entrare in connessione con le esigenze reali.
L’impatto neurologico sul cervello dei bambini
Qualcosa che come genitori ed educatori avremo notato in più di un’occasione è che a volte ci mancano le risorse, le strategie e le alternative. Sappiamo che gridare non è utile e che non ci porta mai a ottenere il risultato che ci aspettiamo. Quello che otteniamo è che nello sguardo del bambino compaia un guizzo di paura, di rabbia repressa… È quindi necessario apprendere le chiavi per educare senza gridare, per creare un’educazione positiva che ci permetta di risolvere con intelligenza queste situazioni.
Un primo aspetto che non possiamo perdere di vista è l’impatto che le grida hanno sul cervello umano e sullo sviluppo neurologico del bambino. L’atto di “gridare” ha uno scopo ben preciso nella nostra specie, così come in qualsiasi altra: avvertire di un pericolo, di un rischio. Il nostro sistema di allarme si attiva e rilascia il cortisolo, l’ormone dello stress che ha come scopo quello di metterci nelle condizioni fisiche e biologiche necessarie per fuggire o lottare.
Di conseguenza, il bambino che vive in un ambiente dove viene fatto uso e abuso delle urla come strategia educativa soffrirà di precise alterazioni neurologiche. L’ippocampo, la struttura del cervello legata alle emozioni e alla memoria, sarà più piccolo. Anche il corpo calloso, punto di congiunzione tra i due emisferi, riceve meno flusso sanguigno, influenzando così l’equilibrio emotivo, la capacità di attenzione e altri processi cognitivi…
Gridare è una forma di abuso, un’arma invisibile, non si vede e non si tocca, ma il suo impatto sul cervello del bambino è semplicemente devastante. Questo rilascio eccessivo e costante di cortisolo mantiene il bambino in uno stato permanente di stress e di allarme, in una situazione di angoscia che nessuno merita e che nessuno dovrebbe provare.
Educare senza gridare, educare senza lacrime
Paolo ha 12 anni e non sta andando molto bene a scuola. I suoi genitori adesso lo stanno mandando in un istituto dove danno lezioni extra scolastiche per rinforzare varie materie. Si alza ogni giorno alle 8 del mattino e torna a casa alle 9 di sera. In questo trimestre Paolo non ha avuto la sufficienza in due materie, matematica e inglese. Due in più rispetto allo scorso trimestre.
Quando torna a casa con i voti, suo padre non può fare a meno di urlargli contro. Gli rimprovera la sua passività e tutti i soldi che stanno investendo su di lui “per niente”. E non manca la tipica frase “se continui così, non diventerai mai nessuno”. Dopo il rimprovero, Paolo si chiude in camera ripetendosi che fa tutto schifo, che vuole lasciare la scuola e andarsene da casa il prima possibile, lontano da tutto e da tutti, in particolare dai suoi genitori.
Questa situazione, certamente comune in molte case, è un piccolo esempio di ciò che provocano le grida assieme a delle frasi infelici pronunciate in un dato momento. Ma vediamo più in dettaglio quello che una situazione di questo tipo può causare se queste reazioni sono all’ordine del giorno nell’ambiente familiare.
I bambini e gli adolescenti interpretano il grido come un’espressione di odio, quindi se i loro genitori si rivolgono a loro in questo modo, si sentiranno respinti, non amati e disprezzati.
  • La mente non elabora correttamente le informazioni che vengono trasmesse attraverso un messaggio emesso con un tono di voce alto. Quindi tutto ciò che si dice gridando è privo di qualsiasi utilità.
  • Ogni grido suscita un’emozione e in generale si tratta di rabbia e necessità di fuggire. Più che risolvere la situazione, la complichiamo ulteriormente.
Come possiamo educare senza gridare?
L’abbiamo detto all’inizio, ci sono molte possibilità prima di ricorrere alle urla, diverse strategie che possono aiutare a costruire un dialogo più riflessivo, un’educazione positiva sulla base di quei pilastri sui quali costruire un rapporto più sano con i nostri figli. Vediamo alcune soluzioni.
  • Dobbiamo prima di tutto capire che gridare significa perdere il controllo. Solo questo. Pertanto nel momento in cui sentiamo che appare il bisogno di gridare, dobbiamo fare un respiro e riflettere. Se il nostro primo impulso per porre fine ai capricci di questo bambino di 3 anni o per comunicare con questo adolescente di 12 è ricorrere alle urla, dobbiamo fermarci e capire che alzando la voce perdiamo tutto.
  • C’è sempre un motivo dietro un comportamento o una situazione. Comprendere ed entrare in empatia con il bambino è un progresso, e per questo sono richieste due cose: la pazienza e la vicinanza. Il bambino che esplode in un capriccio ha bisogno che gli insegniamo a gestire il suo complesso mondo emotivo. L’adolescente abituato a sentirsi dire cosa deve fare in qualsiasi momento, ha bisogno che gli chiediamo cosa pensa, cosa sente, cosa gli succede … Essere ascoltati a volte può essere un vero toccasana in questa età e in qualsiasi altra.
Per concludere, educare senza gridare è prima di tutto una scelta personale che richiede volontà e impegno quotidiano da parte di tutta la famiglia. Bisogna anche dire che non c’è una chiave magica che ci aiuterà in tutte le situazioni e con tutti i bambini. Tuttavia, alcune sono utili con la maggior parte di loro: condividere del tempo di qualità, dare ordini coerenti, identificarci come figure di supporto incondizionato o incoraggiarli ad assumersi le responsabilità che sono alla loro portata considerando il loro livello di sviluppo.




sabato 22 febbraio 2020

CHIAMATI ALLA PERFEZIONE

Più in alto, ancora

Dal Vangelo secondo Matteo  - Mt 5, 38-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Commento di p. Paolo Curtaz

Tutto è nostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro.
Papa Francesco, il movimento che mi ha accompagnato a Cristo, quel maestro di vita spirituale, il mio cammino di fede, diremmo oggi.
Tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.
Questo possiamo fare per tornare ad essere credenti credibili.
Discepoli. Cioè seguire gli insegnamenti del Maestro. Senza infingimenti, senza glosse, senza “ma”, senza annacquare, senza ridurre l’incontro a dottrina, a etica, a ragionamento, a politica.
E Cristo, a conclusione dell’immenso discorso delle Beatitudini, dopo avere chiesto a chi cerca la felicità di fidarsi, di crederci, alza il tiro.
Ha ragione, il Signore: se facciamo quello che fanno tutti, se amiamo chi ci ama, se perdoniamo chi poi ci perdona, se prestiamo a chi sappiamo di restituirà, che facciamo di straordinario?
Il mondo è pieno di buon senso. Più o meno.
Il cristiano, quindi, sarebbe solo un brav’uomo più ragionevole degli altri?
No. Non basta il buon senso.
Ciò che il mondo ha bisogno è di santità.
Della santità di Dio che si rifletta nel nostro sguardo, nelle nostre parole, nei nostri gesti.
Il taglione
Diversamente da come appare, la cosiddetta legge del taglione era una forma di giustizia primitiva ma efficace. Contenuta anche nel Codice di Hammurabi, è una limite alla barbarie, alla vendetta privata. La troviamo nella Torà (Es 21): Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.
L’idea era quella della proporzione e al tempo di Gesù era previsto un risarcimento (come scrive il rabbino medievale Rashi di Troyes: Non si intende che si deve privarlo a sua volta dell’organo menomato).
Alla vecchia legge del taglione Gesù ne contrappone una inversa: invece della vendetta suggerisce di accettare un altro torto maggiore di quello ricevuto.
Di porre la guancia destra, quindi ad un manrovescio, più brutale del solo schiaffo, a chi ti schiaffeggia.
Alla Torà (Es 22,25-26) che afferma che alla sera occorre restituire il mantello, la sopravveste, Gesù dice di lasciargli anche quello, restando in mutande.
Di ascoltare gli angari, da cui viene angheria, i corrieri del re che avevano il potere di costringere chiunque a mettersi a loro servizio, percorrendo più strada di quanta richiesta.
Di concedere prestiti a vuoto.  Sul serio?
Paradosso
In questo brano Gesù raggiunge certamente il vertice del linguaggio paradossale. Ma, come fanno notare gli esegeti, non dobbiamo prendere alla lettera le parole del Signore, quanto capirne l’intenzione profonda, non occorre presentare materialmente l’altra guancia ai persecutori ma dare possibilità al malvagio di riflettere sui suoi errori. Non si tratta di subire passivamente i soprusi, di rimanere inerti davanti alle ingiustizie ma di rinunciare ad ogni rivincita, anche a qualche diritto pur di cercare di salvare chi ci perseguita.
Gesù propone un’ascesi paradossale, che disarma l’avversario.
“Gesù non offriva l’altra guancia quando lo schiaffeggiavano, però morì in croce per i malvagi, un sacrificio immensamente superiore. I santi del cristianesimo, salvo casi aneddotici, non si sono esercitati in ingenuità nel regalare il proprio vestito ad un mendicante o nel raddoppiare il tempo del servizio militare, ma in ben più ardue rinunce a favore dei perseguitati e dei nemici” (I.Goma).
La logica del paradosso è sempre presente nell’annuncio evangelico, anche nel nostro, non è certo tenendo le porte della canonica aperte ai poveri che risolveremo la questione dell’immigrazione ma i segni che proponiamo sono credibili e profetici. Questa carica di sovversione evangelica ha caratterizzato la storia della Chiesa anche se, a dire il vero, a volte la Chiesa si è piegata alla logica comune, tradendo il Vangelo.
Non violenza
Rispetto alla non-violenza il cristiano proclama la possibilità del dialogo, lo esercita fino in fondo ma, alla fine, pone il bene della vita altrui prima di ogni altra cosa, ammettendo la difesa personale e di chi sia ha intorno.
Da qui è nata la querelle dell’intervento umanitario, anche violento. Da qui la guerra giusta di agostiniana memoria, che tentava di porre un freno alla violenza (De Civitate Dei, IV, 6).
Per quel che mi riguarda voglio affrontare l’origine della rabbia e della volenza che trovo in me, che pongo nei miei piccoli gesti quotidiani, che avvelenano le relazioni.
Per amare il prossimo, come chiede il Levitico, devo anzitutto imparare ad amare me stesso.
La perfezione dell’amore
Alla fine capitolo delle Beatitudini, Gesù pone un’autentica rivoluzione: invita ad amare i nemici (agàpe) con l’amore che ci proviene da Dio, non per simpatia, non per folle idealità.
Ed esemplifica il modo di amare: pregare per quelli che ci perseguitano (Matteo sta scrivendo ad una comunità di perseguitati!).
E motiva: questo è possibile perché imitiamo l’atteggiamento di Dio che fa piovere sui giusti e i malvagi. E invita noi discepoli a riflettere: in cosa i nostri atteggiamenti non diversi rispetto a chi non crede?
L’amore resta un vertice ma corriamo il rischio di interpretarla come se fosse il risultato di uno sforzo. È possibile sforzarsi di amare? Non è solo un sentimento? No, certo, l’amore ha anche una componente di volontà soprattutto nei confronti dei nemici, di chi ci ha fatto del male.
Non un amore di affetto, o mieloso, ma una scelta consapevole, dettata dalla nostra vicinanza a Cristo. Questo amore nasce come imitativo (fare come il Padre che fa sorgere il sole e fa piovere) ma, in Giovanni, diventa contagioso: sono capace di amare con l’amore con cui il Padre mi ama!
Mamma mia se mi piace questa cosa!

            www.cercolituovolto.it


CORONA VIRUS: EVITARE IL PANICO e LE FALSE NOTIZIE

Croce Rossa: 
la situazione è preoccupante ma inutile il panico

Quasi 78 mila i contagiati nel mondo. Aumentano i casi in Corea del Sud, ma calano i nuovi contagiati in Cina per le polmonite virale. In Italia 44 persone sarebbero positive al virus, due i morti. Per Giuseppe Ippolito direttore scientifico dello Spallanzani di Roma “non bisogna farsi prendere dall'allarmismo"

di Alessandro Guarasci

Il Coronavirus Covid 19 ha provocato finora 2.360 vittime a livello mondiale. E’ quanto emerge dal bilancio aggiornato della statunitense Johns Hopkins University. Il totale dei casi confermati di contagi è salito a quota 77.662, mentre i pazienti guariti sono in aumento e finora sono 21.029. Per la Croce Rossa Internazionale i nuovi casi registrati in Europa, in Corea e in Iran dimostrano che l'epidemia non è più circoscritta solo alla Cina.
Aumentano in casi in Corea del Sud, in calo i contagi in Cina
La Corea del Sud ha accertato altri 87 casi di contagio da Coronavirus, portando il totale a quota 433: l'ultimo aggiornamento inasprisce la situazione, visto che il Paese è quello con il maggior numero di casi verificati dopo la Cina. In Cina, i nuovi contagiati sono 397, molto al di sotto dei 900 registrati ieri. Massima l’allerta anche in Iran dove si registrano 5 morti e 28 casi confermati. L'esplosione del coronavirus sarà al centro dei colloqui del G20 finanziario in corso questo weekend a Riyad, in Arabia Saudita.
Due morti in Italia, dimesso un uomo ricoverato allo Spallanzani
E’ salito a 44 il numero dei pazienti risultati positivi ai test del Corovinarus e residenti tra la Lombardia e il Veneto. L’Italia è il Paese col più alto numero di contagiati a livello europeo.  E ci sarebbe una seconda vittima. Si tratta di una donna residente in Lombardia che potrebbe essere collegata ai casi di Codogno. Ieri è deceduto in Veneto Adriano Trevisan, di 78 anni, all'ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova. Ma arrivano anche notizie positive. Il ricercatore italiano ricoverato allo Spallanzani per coronavirus sarà "dimesso in giornata". Il giovane, caso confermato di Covid-19, era risultato persistentemente negativo ai test. Per Giuseppe Ippolito direttore scientifico dello Spallanzani di Roma “non bisogna farsi prendere dall'allarmismo”, mentre il paziente arrivato da Ostia è negativo. Il premier Conte ha detto che il governo è “al lavoro senza sosta per reagire con la massima compattezza a questa emergenza”. Su indicazioni della prefettura, il vescovo di Piacenza monsignor Giovanni Ambrosio ha disposto per le Messe nelle chiese della Diocesi che la Comunione sia distribuita solo sulla mano e non in bocca e ha chiesto di evitare lo scambio di pace.
La Croce Rossa chiede senso di responsabilità ai cittadini
Emanuele Capobianco, direttore Salute della Federazione internazionale di Croce Rossa, dice che "l'epidemia sta muovendosi in altri Paesi. E questi nuovi casi che sono aumentati, particolarmente nella giornata di ieri, non solo in Italia, ma anche in Corea e soprattutto in Iran, sono preoccupanti perché sono l'indicazione di un'epidemia che non è più circoscritta alla Cina e che si sta rapidamente diffondendo al di fuori della Cina, aumentando il rischio pandemia". "E’ una situazione preoccupante - spiega ai nostri microfoni -  ma non c'è assolutamente bisogno di panico. Dobbiamo seguirla tutti insieme. La solidarietà sarà un elemento fondamentale per affrontare questa sfida che speriamo non arrivi, ma se dovesse presentarsi in maniera più grande richiederà da parte di tutti i cittadini un forte senso civico, senso di responsabilità per ridurre le conseguenze di un'epidemia che speriamo possano essere non gravi" .
Intervista a Emanuele Capobianco
Come sta reagendo la Croce Rossa Internazionale? Che cosa state facendo in questo momento per far sì che il contagio sia limitato?
R. - Noi lavoriamo su due aree: una prima area è di comunicazione, ed è un'area sulla quale ci stiamo concentrando per far passare i messaggi alle comunità per prevenire i rischi di infezione. Facciamo un lavoro comunicazione anche per prevenire lo stigma, per prevenire risposte non adeguate nei confronti di persone che possono essere colpite dalla malattia, ne abbiamo viste in diversi paesi. Per noi il principio di umanità è fondamentale, ed è una delle cose che cerchiamo di promuovere, non solo in questo caso ma in tutto  il nostro lavoro di Croce Rossa a livello internazionale. Stiamo anche lavorando per cercare di controbattere quelle fake news, quell’informazione che si propaga soprattutto nei social media. E poi ovviamente siamo sul campo con i nostri volontari per dare una mano alle persone colpite, agli operatori sanitari con i nostri volontari che sono pronti anche ad un possibile peggioramento dell’epidemia, nel quale ci sarà sempre più bisogno di dare appoggio psicologico alle persone infettate, ai familiari, ai sanitari e possibilmente anche un appoggio pratico per gestire l'emergenza.
Si sente dare un consiglio, magari uno importante ai cittadini?
R. - Lavarsi le mani regolarmente, far lavare le mani alle persone anziane, e quando ci si sposta lavarle frequentemente perché questo è il mezzo con cui l'infezione si può propagare. Una buona igiene lavandosi le mani riduce anche il rischio di trasmissione di altri virus come il virus influenzale che in questo momento circola tra di noi. E’ una cosa molto semplice, lo diciamo, ma non lo facciamo abbastanza.



Il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno messo a punto un decalogo anti-coronavirus. Si tratta di dieci raccomandazioni per prevenire l’epidemia.
Realizzato con l’adesione degli ordini professionali medici e delle principali società scientifiche e associazioni professionali, oltre che della Conferenza Stato Regioni, il manifesto è pubblicato sul sito del Ministero e Iss.

Ecco il decalogo
1 Lavati spesso le mani.
2 Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
3 Non toccarti occhi, naso e bocca con le mani.
4 Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci.
5 Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
6 Pulisci le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol.
7 Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
8 I prodotti Made in China e i pacchi ricevuti dalla Cina non sono pericolosi.
9 Contatta il Numero Verde 1500 se hai febbre o tosse e sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni.
10 Gli animali da compagnia non diffondono il nuovo coronavirus.