Dal Vangelo secondo
Matteo - (Mt 24,37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del
Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio
mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in
cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e
travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due
uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne
macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il
Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a
quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe
scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non
immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Il commento al Vangelo di domenica 1 Dicembre 2019 – a cura di Paolo Curtaz:
Arriva
Arriva il diluvio, e facciamo finta di niente. Oppure è già
arrivato, l’acqua ci arriva alle ginocchia, e speriamo che smetta di piovere. O saliamo su un gradino facendo finta di
niente.
Arriva il diluvio e pensiamo di non esserne coinvolti, la
colpa è degli altri, e poi cosa mai potrei fare? Meglio trovarsi un rifugio
protetto, arrampicarsi su un albero, che so.
Arriva il diluvio.
Diluvio di parole grevi, di rabbia, di contrapposizioni, di
sospetti, di ignoranza, di frasi gridate, di disinteresse, di disonestà, di
narcisismo.
Arriva il diluvio. E possiamo continuare a non vedere, a
mangiare e bere, a flirtare, a figliare, come ai tempi di Noè.
Guardando con commiserazione qualche esaltato che si
costruisce una gigantesca arca per galleggiare a trovare una terra nuova. E
immaginare che ci sia qualche interesse nascosto. Qualche affare losco e
putrescente.
Arriva il diluvio e possiamo
fingere. E scomparire.
Oppure.
Oppure fermarci a riflettere. Oppure alzare lo sguardo.
Oppure trovare una soluzione.
Oppure dedicarsi qualche tempo per fare spazio, per
accogliere una Parola che giunge da lontano e porta lontano. Per accogliere un
vagito.
Benvenuti in Avvento.
Arriva il Signore.
Non siamo qui a far finta che poi nasce Gesù. È nato nella Storia, tornerà nella gloria e
qui, in mezzo, ci siamo noi.
Ci diamo un tempo per fermarci, per lasciare che la nostra
anima ci raggiunga, per smettere di far finta di niente. Ancora una volta.
Ancora un Natale. Per nascere. Per rinascere.
Per farlo nascere ancora e ancora questo Cristo, questo Dio, questo atteso.
Questo Dio che chiede ancora di nascere in ciascuno di noi. In
noi che da tanti anni lo accogliamo e che rischiamo di abituarci allo stupore.
In chi vi ha rinunciato, travolto dal dolore o dal peccato. In chi crede di
credere e ancora non ha incontrato il Dio bellissimo di Gesù. In questa Chiesa
talora stanca e spenta, confusa e affannata. Sì, abbiamo bisogno di una scrollata. Di una
profezia.
Profezie
Arriva la pace. L’arte della guerra si è fatta precisa e
scientifica, Isaia.
E preferiamo forgiare armi, fondendo gli aratri. E deponiamo
le falci, per affilare le lance.
Dopo tanti anni di odio e di guerra, nonostante tutto,
nonostante le cataste di cadaveri dell’ultimo secolo, l’uomo non cambia. Le
diversità diventano divisione, le opinioni altrui una minaccia, il modo di
vedere le cose un ostacolo. L’altro è avversario, nemico, pericolo.
In Siria come in Libia, nell’agone politico come sugli spalti
degli stadi, come, che tristezza sconfinata, fra i cattolici. Diversità non
come opportunità ma come sfida e aggressività.
Cosa vede Isaia? Non il futuro, ma interpreta il presente.
Accogliere Dio, accogliere questo Dio, il nostro Dio, il Dio di Israele
definitivamente manifestatosi in Gesù, vediamo oltre, non dopo.
Oltre le nostre divisioni, oltre le nostre piccole battaglie,
oltre l’evidenza.
È una sfida, certo.
Ma come ricorda Paolo ai Romani: la notte è avanzata,
indossiamo le armi della luce. Più è
buio, più splendo della luce del Vangelo.
Arriva Dio.
L’Avvento ci viene donato per alzare lo sguardo. Per
costruire l’Arca. Per indossare Cristo.
Gesù viene, continuamente, nelle nostre vite. Nella
quotidianità del lavoro, della donna che macina, dell’uomo che lavora nei
campi. Viene furtivamente, il Signore e ci avverte: uno è preso, l’altro
lasciato.
Uno incontra Dio, l’altro no. Uno è riempito, l’altro non si
fa trovare.
E leggendo questa pagina, che non capiamo, che pensiamo parli
di disgrazie e di fine del mondo, gridiamo: speriamo di essere
lasciati!
No, affatto: speriamo di essere presi. Presi dall’amore.
Rapiti dall’amore. Riempiti.
Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua
presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di
spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio.
Viene come un ladro, perché sa che siamo preziosi.
Sa che dentro la cassaforte del nostro cuore brilla il
diamante del desiderio e dell’amore ancora da scoprire, ancora da donare.
Prende, rapisce, svuota. Perché, come ci siamo ripetuti nelle
ultime domeniche, solo dalla consapevolezza del nulla scaturisce il desiderio,
si innesca la ricerca.
Voglio essere preso, Signore, ancora.
Arriva. Ci sei?
Stai sveglio, amico che leggi. Svegliati. Smettila di fare la vittima. Smettila di
proiettare addosso a Dio le tue paranoie. Viene, davvero, oggi, adesso.
Trovati il modo di esserci. Stai sveglio nella tua anima. Prega,
ama, medita.
Ritagliati uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare
la Parola. Magar regalati una domenica pomeriggio per fare un paio d’ore di
silenzio e di preghiera, fai una piccola deviazione andando al lavoro per
entrare in una chiesa.
Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale
cristiano: prepara un presepe, addobba un albero, partecipa alla novena. Fai
qualcosa, una piccola cosa, per chiederti se Cristo è nato in te, per non
lasciarti travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive.
Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale
da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che
Dio ha già atteso lungamente lui»
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