di MARCO RONCALLI
Incontro Mauro Ceruti,
ordinario di filosofia della Scienza presso l’Università Iulm di Milano,
teorico del pensiero complesso, con un intento: riflettere su due parole che
stanno suscitando un certo dibattito e tornate a farsi vive nei discorsi
politici: nuovo umanesimo. «È interessante udire o leggere queste due parole in
tempi di chiusure brutali. Attenzione però, che il dibattito non porti a
trattare questo concetto come uno slogan politico, e nemmeno a considerarlo una
cornice, tantomeno un orizzonte per un solo Paese, il nostro o un altro.
Sarebbe una contraddizione» premette il nostro interlocutore che trovo
impegnato a preparare un contributo su questo tema per un convegno
internazionale programmato all’Urbaniana a fine novembre.
Lei, lei che già nel 2013, con Morin, nel libro La
nostra Europa, poi in un altro saggio di un anno fa, Il tempo della
complessità, (entrambi editi da Cortina) sottolineava la necessità di “un
nuovo umanesimo”, a cosa si riferiva e a cosa si riferisce?
Prima
di tutto non intendo un umanesimo astratto, fondato su un’idea impalpabile e
omologante di natura umana, bensì un umanesimo concreto...
Lo ha
detto anche papa Francesco nel 2014 e poi il convegno CEI di Firenze su questo
tema. Invitò a non fermarsi al piano delle idee, di «inforcare occhiali capaci
di cogliere e comprendere la realtà» e «strade per governarla» ...
Teniamolo
bene in mente: per la prima volta assistiamo ad una sorta di unificazione
dell’umanità... Ora si tratta di fare emergere l’orizzonte della civiltà umana
globale, non di un singolo Paese, nemmeno di un singolo continente. Si tratta
di imparare ad abitare e custodire questo nostro mondo, quasi trasfigurando le
nostre relazioni oltre la solidarietà, l’accoglienza. Ciò significa
consapevolezza che lo stesso essere umano è al contempo uno e molteplice. Sì unitas
multiplex. Perché la diversità è il tesoro dell’unità umana. L’unità è
il tesoro della diversità umana. E qualsiasi progetto politico non può guardare
più dentro un piccolo o grande perimetro, non può più stare rinchiuso in un
piano economico e quantitativo, ma abbracciare gli orizzonti più vasti
possibile, essere aperto verso la società, la convivialità. Insomma anche
questo nuovo umanesimo di cui si parla può avere un senso se definito e
declinato come nuovo umanesimo planetario. Dall'umanesimo che ha accompagnato
la mondializzazione europea dell’età moderna vanno cancellati per sempre i
tratti di dominatore. Sì i tratti di un umanesimo impegnato a rendere l’uomo
padrone della natura. Sappiamo che ogni volontà di dominare la natura degrada
non solo la natura, ma la nostra umanità, che le è inseparabilmente legata, e
che dalla natura dipende molto di più di quanto la natura non dipenda da noi.
Inoltre, questo volto dell’umanesimo è vanificato da contraddizioni...
Qual’ è la principale?
Penso
quella fra l’enunciazione di un principio universale, valido per tutti gli
uomini, e la sua pratica eurocentrica, od occidentalocentrica che dir si
voglia. Questo umanesimo ha cercato di sfuggire alla contraddizione definendo
l’uomo moderno europeo e poi occidentale come adulto o maturo, e definendo
infantile o immaturo l’uomo delle altre civiltà, giudicandole primitive. Ma un
tale giudizio ha anche comportato il disprezzo delle altre civiltà e
persino la giustificazione del loro sterminio. Bisogna riconoscere
l’insostenibilità di questo volto oscuro dell’umanesimo, rigenerarne il volto
che ha esaltato la dignità di ogni essere umano, chiunque sia, da ovunque
giunga. Occorre perseguire una globalizzazione di questo nuovo umanesimo.
Un umanesimo che ha poco di quello antico.
Quello
antico aveva prodotto un universalismo astratto, ideale, di fatto etnocentrico.
Il nuovo umanesimo planetario non può che produrre un universalismo concreto,
reso tale dalla comunità di destino irreversibile che lega tutti. Sento parlare
di patria. Ma la patria oggi è il pianeta. Di popolo. Ma il popolo è l’umanità
che abita una casa comune da custodire insieme.
Questa interdipendenza di fatto dove porterà?
Per
ora ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto condiviso. Per questo,
come dice con chiarezza papa Francesco, ciascuno riorientando la propria rotta
deve recuperare la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e
di un futuro condiviso da tutti. Acquisiti questi modelli di pensiero anche i
nostri comportamenti concreti ne risentiranno.
E allora qual è la vera sfida, oltre gli slogan politici o
le analisi circoscritte?
È
concepire l’umanità come una riserva di possibilità evolutive inedite, di
reinventare l’umanità come soggetto di un’evoluzione ancora incompiuta. È
questa la sfida di un nuovo umanesimo planetario, generato da una cultura della
complessità e destinato a ricostruirla ritessendola senza escludere nessuno.
È quello che ha scritto nel Tempo della complessità, anche
se, nonostante la società degli algoritmi o dell’intelligenza artificiale, si
continuano a vedere errori assurdi, gesti anacronistici, trionfi
dell’ignoranza più rozza…
Vero,
questo nuovo umanesimo ha bisogno prima di tutto di una rivoluzione culturale.
Basata su una nuova concezione dell’identità umana attraverso l’intreccio delle
dimensioni che la costituiscono, ma ancora separate da specialismi
disciplinari, approcci superati non costituendo più polarità opposte in ogni
caso: penso a cultura e natura; ragione ed emozione, mondo reale e virtuale.
Così il nuovo umanesimo è anche un progetto di sviluppo della conoscenza,
conoscenza dell’essere umano nella sua interezza frutto della interconnessione
dei sistemi, biologici, culturali, sociali.
Su
questa nuova scienza e politica della complessità occorre lavorare
intensamente, resistendo a forze regressive, riconoscendoci in una sola
famiglia, la famiglia umana. Sì, un lavoro ispirato da quella che Francesco
definisce anche la coscienza dei volti e la cultura dell’incontro.
Quel
movimento ideale che fece grande l’Occidente va rigenerato liberandolo da tutti
gli errori che lo portarono a essere dominatore sull’uomo e sulla natura.
L’epistemologo Mauro Ceruti non ha dubbi: «Per
la prima volta assistiamo a una sorta di unificazione dell’umanità, e qualsiasi
progetto politico non può più guardare dentro un piccolo o grande perimetro,
non può più stare rinchiuso in un piano economico e quantitativo, ma deve
abbracciare gli orizzonti più vasti possibili»
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