Pubblichiamo l’articolo di padre Michael
Czerny, sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano
integrale e Segretario speciale del Sinodo dei vescovi per la regione
panamazzonica, dal titolo "La Chiesa in Amazzonia e lo sviluppo umano
integrale. Impegno profetico per la dignità di tutti gli esseri umani"
di Michael Czerny s.j.
Come il Buon samaritano, la Chiesa vuole
mettere in atto il proprio impegno per la compassione e per la giustizia del
Vangelo in Amazzonia. Essa è chiamata a osservare e comprendere, per poi
aprirsi al dialogo e agire. Ecco la ragione per cui Papa Francesco ha convocato
un Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica. Con l’aiuto del Sinodo,
sarà possibile avviare delle azioni pastorali e ambientali in Amazzonia e
riaffermare le modalità “dell’essere Chiesa” comportate da tali azioni.
Instrumentum laboris
Questa sollecitudine nell’impegnarsi viene
assunta esplicitamente nell’ultimo capitolo dell’Instrumentum laboris (IL), che sintetizza le sfide e le
speranze di una Chiesa profetica nella regione amazzonica. L’orizzonte in cui
ci si muove, senza il quale non possono esistere vita e giustizia, è il fatto
che «tutto è connesso», come Papa Francesco ha spiegato nell’enciclica Laudato
si’ (138). Il sociale e il naturale, l’ambientale e il pastorale non
possono e non devono essere separati. Compartimentalizzazioni riduttive -
intellettuali e spirituali, imprenditoriali e politiche - hanno messo in
pericolo la vita umana sulla Terra, casa comune dell’umanità.
Il Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica
Il prossimo Sinodo si impegna ad aiutare a
risanare le violazioni in una parte del mondo dove le conseguenze delle idee
errate e delle pratiche dannose hanno esiti particolarmente seri. È arrivato il
momento in cui la Chiesa si confronti con questa problematica. Per questo, nel
tema del Sinodo, troviamo le parole «Nuovi cammini per la Chiesa e per
un’ecologia integrale», e il titolo dell’ultimo capitolo dell’IL è «Il ruolo
profetico della Chiesa e la promozione umana integrale». Entrambi parlano di
dimensioni o dinamiche che devono andare insieme nella missione della Chiesa:
il suo ministero pastorale non va staccato dalla promozione umana e
dall’ecologia integrale.
Terra disputata su più fronti
Come l’enciclica Laudato si’, con la sua
esaustiva esposizione storica, scientifica, economica e pastorale, anche l’il
offre una lunga analisi delle condizioni dell’Amazzonia. Nelle parole di Papa
Francesco: «L’Amazzonia è una terra disputata su diversi fronti: il
neo-estrattivismo e la forte pressione da parte di grandi interessi economici
che dirigono la loro avidità sul petrolio, il gas, il legno, l’oro, le
monocolture agro-industriali» (Papa Francesco, Discorso all’incontro con i
popoli dell’Amazzonia, Puerto Maldonado, Perù, 19 gennaio 2018). Aggiunge
l’IL: «La molteplice distruzione della vita umana e ambientale, le malattie e
l’inquinamento di fiumi e terre, l’abbattimento e l’incendio di alberi, la
massiccia perdita della biodiversità, la scomparsa delle specie (più di un
milione degli otto milioni di animali e piante a rischio), costituiscono una
cruda realtà che chiama in causa tutti. La violenza, il caos e la corruzione
dilagano. Il territorio è diventato uno spazio di scontri e di sterminio di
popoli, culture e generazioni» (n. 23).
Minacce a popolazioni indigene
La situazione dell’Amazzonia ha diverse cause.
Ci sono delle responsabilità locali e multinazionali che sostengono e
incoraggiano investimenti, pubblici o privati, che hanno impatti devastanti
sull'ambiente amazzonico e sui suoi abitanti. Tuttavia, un punto di partenza
fondamentale è il fatto che le popolazioni indigene vedono minacciati i loro
territori delimitati da interessi che li sfruttano, e spesso viene loro negato
il diritto alla propria terra.
Violazioni al diritto internazionale
Questo costituisce una violazione del diritto e
delle convenzioni internazionali. «La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui
diritti dei popoli indigeni (approvata il 13 settembre 2007), a cui il Papa
ha fatto riferimento in diverse occasioni, contiene diritti importanti come
quello all’autodeterminazione, in virtù del quale quei popoli decidono
liberamente il proprio statuto politico e perseguono liberamente il proprio
sviluppo economico, sociale e culturale (art. 3). Nell’esercizio del loro
diritto all’autodeterminazione, i popoli indigeni possono rivendicare
l’autonomia nelle questioni riguardanti i loro affari interni e locali (art.
4). E dall’art. 6 della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del
lavoro (Ilo) sui popoli indigeni e tribali, del 1989, si ricava il loro diritto
a non subire misure legislative o amministrative che li possano riguardare
direttamente senza essere stati prima consultati “in buona fede e in forma
appropriata alle circostanze”, affinché diano il proprio consenso previo,
libero e informato» (Pedro Barreto s.j., Sinodo per l’Amazzonia e diritti
umani: Popoli, comunità e Stati in dialogo, «La Civiltà Cattolica», 20
luglio 2019).
Un cammino di croce
In realtà, è proprio la disuguaglianza delle
forze e, in molti casi, la flagrante mancanza di rispetto dei diritti
costituzionali, oltre all’imposizione di un cosiddetto modello di sviluppo, che
continuano a causare grande disarticolazione sociale, vulnerabilità,
degradazione delle relazioni, migrazione, disoccupazione, violenza e fame in
molte comunità indigene. La mancanza di riconoscimento, demarcazione e
titolarità dei territori (una condizione sine qua non per la sicurezza,
la stabilità della comunità e la sopravvivenza culturale) ha portato a un
numero allarmante di morti a cause delle nuove malattie o di natura violenta.
«Mettere in discussione il potere nella difesa del territorio e dei diritti
umani è mettere a rischio la propria vita, aprendo un cammino di croce e
martirio» (IL 145).
La difesa dei territori
L’IL pone l’esempio delle 1119 persone indigene
che sono state uccise tra il 2003 e il 2017 solo in Brasile «per aver difeso i
loro territori» (Cfr. Consiglio Indigenista Missionario, cnbb, Brasile,
Relatório de violência contra os Povos Indígenas no Brasil – Dados de 2017,
pp. 84ss, cfr. anche la presentazione di dom Roque Paloschi: «Na ausência da
Justiça, a violência cotidiana devasta as vidas dentro e fora das terras
indígenas», p. 9, Brasília 2018. ). In verità, in molteplici casi queste
uccisioni sono da attribuirsi a ubriachezza, violenza domestica o liti tra
persone. In generale, comunque, sono da considerarsi come conseguenze di cause
tanto ambientali come sociali e strutturali, di problemi derivanti dalla
mancanza di demarcazione dei territori e di invasione degli stessi da parte di
potenti interessi esterni.
L’impegno della Chiesa
La Chiesa nel suo ruolo pastorale lavora in
favore delle vittime e, nel suo ruolo profetico, si oppone agli abusi. È
chiamata a essere «sostenitrice della giustizia e difensore dei poveri». Papa
Benedetto XVI lo ha ricordato alla Conferenza di Aparecida nel suo discorso
inaugurale (n. 395). La sua presenza è, in realtà, «un prisma che permette di
identificare i punti fragili della risposta degli Stati, e delle società in
quanto tali, davanti a situazioni urgenti, riguardo alle quali,
indipendentemente dalla Chiesa, ci sono debiti concreti e storici che non si
possono eludere» (Pedro Barreto S.J., art. cit.). Allo stesso tempo la Chiesa
vede «con coscienza critica», come fa con ogni popolo tra i quali evangelizza,
«una serie di comportamenti e realtà dei popoli indigeni che vanno contro il
Vangelo» (il 144).
Un impegno profetico
I Pontefici, partendo da Papa Leone XIII alla
fine del diciannovesimo secolo, il concilio Vaticano ii e la Dottrina sociale
della Chiesa offrono chiare linee guida. In risposta a un modello dominante di
società che produce esclusione e disuguaglianza, e un modello economico che
uccide gli uomini e le donne più vulnerabili e distrugge la casa comune, la
missione della Chiesa include infatti un impegno profetico per la dignità di
tutti gli esseri umani senza distinzione, la giustizia, la pace e l’integrità
del creato.
Rispetto, riconoscimento e dialogo
Come ha detto chiaramente Papa Francesco:
«Credo che il problema essenziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo,
compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche
proprie degli indigeni e dei loro territori. […] In questo senso dovrebbe
sempre prevalere il diritto al consenso previo e informato» (Discorso ai
rappresentanti di popoli indigeni, in occasione della 40° sessione del
Consiglio dei governatori del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo,
Ifad, 15 febbraio 2017.) Anche a Puerto Maldonado, il Papa affermò: «considero
imprescindibile compiere sforzi per dar vita a spazi istituzionali di rispetto,
riconoscimento e dialogo con i popoli nativi; assumendo e riscattando cultura,
lingua, tradizioni, diritti e spiritualità che sono loro propri» (Discorso
all’incontro con i popoli dell’Amazzonia, Puerto Maldonado, Perù, 19
gennaio 2018).
Ordine sociale
In Amazzonia, il “buon vivere” dei popoli
indigeni dipende principalmente dalla demarcazione dei loro territori e dal suo
scrupoloso rispetto. «La politica — ha detto san Giovanni Paolo II — è l’uso
del potere legittimo per il raggiungimento del bene comune della società» (Discorso
nel “Giubileo dei governanti e dei parlamentari”, 4 novembre 2000). Il
compito fondamentale della politica è quello di assicurare un giusto ordine
sociale, e la Chiesa «non può [e non] deve rimanere ai margini nella lotta per
la giustizia» (EG 183, citando DCE 28). Così, la Chiesa è a
fianco delle popolazioni indigene nella cura del loro territorio.
Evangelizzazione e promozione umana
Con tutte queste grandi dinamiche e sfide,
minacce e promesse che sono presenti nella nostra mente e anche nella nostra
preghiera, ricordiamo le parole di Papa Francesco che aprono l’ultimo capitolo
dell’IL: «Dal cuore del Vangelo riconosciamo l'intima connessione tra evangelizzazione
e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta
l'azione evangelizzatrice» (EG, 178).
Da
"L'Osservatore Romano"