Un proverbio Indu dice che, per essere perfettamente felici,
bisognerebbe non sapere nulla della propria felicità. Il problema è proprio
questo: esiste un solo sentimento umano, per quanto puro, che non sia stato
sfiorato da qualche più o meno impercettibile riflessione o elucubrazione
sfociata poi in ovvietà?
Ci affanniamo a porci domande su qualsiasi cosa, a chiederci
come essere felici. Finiamo per trasferire il concetto della felicità in
altri ambiti, come la soddisfazione di status symbol, di
aspettative condivise, di convenzioni. Sarò felice se divento ricco, sarò
felice se farò il bravo a scuola, sarò felice se …
Vinciamo solo se amiamo
davvero
Un esempio tra tutti: la competizione dilagante. Il voto
migliore, la vittoria al calcetto, ma anche l’Iphone 8 o la vacanza nella
località di tendenza. Si cerca di dare un valore quantitativo a ogni dimensione
della felicità, quasi a soddisfare un bisogno.
A farne le spese sono soprattutto i più piccoli, che si trovano immersi in
un mondo di aspettative, sia su quello che possono fare per essere felici, sia
su quello che il mondo, genitori in primis, potrà fare per la loro felicità.
Con risultati che si allontanano sempre di più dal benessere e dalla vera
soddisfazione.
Cos’è la felicità? Non esiste una risposta univoca, ma è
certo che si può essere felici soltanto amando ciò che si è e
quello che si fa. Sin da bambini.
“Quando avevo cinque
anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita.
Quando andai a scuola, mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi
“felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non
avevano capito la vita” (John Lennon)
In questa famosissima frase è racchiusa l’essenza della
felicità. Provate ad aprire il quaderno dei vostri pensieri e scrivete “Voglio
essere felice”. Non chiedetevi come (ora vi spieghiamo il perché). Prima però
un passo indietro: nella letteratura psicologica non esiste un concetto univoco
di felicità. Martin Seligman, uno dei principali autori in materia,
individua tre filoni di significato:
- le
emozioni positive e il piacere (la vita piacevole)
- l’impegno
(la vita impegnata)
- il
senso (la vita piena di significato)
Per essere felici bisogna essere in grado di portare avanti i
tre obiettivi, dando un valore particolare al significato. Dare
significato vuol dire apprezzare, essere grati e soddisfatti, laddove la
soddisfazione nasce in primo luogo dalla conoscenza ed accettazione di se
stessi.
A tutti i genitori che spesso dimenticano che bisogna essere
felici, non essere i migliori, proponiamo un esercizio che si chiama
“al meglio”. Provate a riflettere e raccontare un episodio in cui vi siete
sentiti davvero al massimo: non migliori, non bravi, ma semplicemente
desiderosi di portare avanti quel momento e quelle sensazioni in eterno.
- Quali
erano i vostri punti di forza in quel momento?
- Eravate
creativi, determinati, pazienti?
- Cosa
vi permetteva, in quel contesto, di essere così felici?
Provate a scriverlo o disegnarlo con i bambini, quasi fosse
un fumetto. Diventerà il vostro poster della felicità. Ricordare
quel momento vi aiuterà a tenere sempre a mente che la felicità è fatta di
attimi preziosi e perderla alla ricerca di qualcosa che è solo confronto,
esteriorità o, peggio, emulazione, non porta assolutamente a nulla.
Un libro per voi: “I bambini devono essere felici. Non farci
felici”
Nell’ambito delle riflessioni sulla felicità, ci siamo
imbattuti in un bel testo di due pedagogiste, Elisabetta Rossini ed Elena Urso.
Il titolo dice tutto: “I bambini devono essere felici. Non farci
felici”. Non serve cercare la perfezione, ma bisogna ricordarsi di quel
bambino dentro di noi che ogni tanto ci dice: “Se ti dico che ho sentito un
cagnolino parlare, non dirmi che non è vero. Chiedimi cosa mi ha detto”. Potete trovarlo qui.
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