DELL'INSEGNANTE PUNITA
di Giuseppe Savagnone
Merita alcune considerazioni la vicenda dell’insegnante,
Rosa Maria Dell’Aria, 63 anni, docente di italiano da 30 anni nell’Istituto
industriale Vittorio Emanuele III, a Palermo, che è stata sospesa per due
settimane dall’Ufficio scolastico regionale, con stipendio dimezzato, per non
aver vigilato sul lavoro dei suoi studenti 14enni i quali, nella Giornata della
memoria dello scorso 17 gennaio, avevano presentato un power point da loro
elaborato, in cui si accostava il “Decreto sicurezza” voluto dal ministro degli
Interni Salvini alle leggi razziali del 1938.
A denunziare le “colpe” della docente era stato un
attivista, collaboratore di siti di estrema destra come “Vox” e “Primato
nazionale”, con un tweet indirizzato al ministro (leghista) della Pubblica
Istruzione (Miur) Marco Bussetti: «Salvini-Conte-Di Maio? Come il reich di Hitler,
peggio dei nazisti. Succede all’Iti Vittorio Emanuele III di Palermo, dove una
prof per la Giornata della memoria ha obbligato dei quattordicenni a dire che
Salvini è come Hitler perché stermina i migranti. Al Miur hanno
qualcosa da dire?».
Le reazioni
Il giorno dopo la sottosegretaria ai Beni culturali Luisa
Borgonzoni (anche lei, guarda caso, leghista) è intervenuta su Facebook: «Se è
accaduto realmente» – ha scritto – «andrebbe cacciato con ignominia un prof del
genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere».
In effetti l’ispezione dell’Ufficio scolastico regionale è
arrivata puntualissima. «Abbiamo ricevuto una segnalazione dal ministero, ma
eravamo già al corrente di quanto accaduto» — spiega il provveditore Marco
Anello —. «La libertà di espressione non è libertà di offendere e
l’accostamento delle leggi razziali al decreto sicurezza è una distorsione
della realtà».
Risultato: la grave sanzione disciplinare a carico della
professoressa Dell’Aria. Ma forse non è neppure finita lì: ultimamente a scuola
è arrivata perfino la Digos che sta verificando l’accaduto parlando con preside
e professori.
Storia e presente nell’istruzione
La prima considerazione che sorge spontanea, sulla scorta di
queste notizie, riprese dai giornali, è che c’è ancora qualche professore – e
forse, per fortuna, non sono così pochi – che ritiene essenziale collegare il
passato al presente.
Troppe volte, nelle aule scolastiche, all’enorme mole di
studi storici – non solo la “Storia” propriamente detta, ma la “Storia della
letteratura italiana”, la “Storia dell’arte”, la “Storia della filosofia”, etc.
–, non corrisponde la capacità della scuola di insegnare a leggere questo
passato alla luce del presente, pur nel rispetto dei diversi contesti, per
cogliere meglio il significato e la direzione delle situazioni odierne.
Accade così che i ragazzi si annoino a imparare una serie di
nozioni che sembrano non riguardare la loro vita reale, ed escano alla fine del
tutto impreparati ad affrontare i problemi personali e collettivi che li
attendono. Significativo il distacco delle nuove generazioni dalla politica e
il declino di tutte le forme di partecipazione, compresa quella alle scadenze
elettorali, che registrano a un assenteismo sempre più accentuato.
“Vigilare” sulle ricerche personali degli studenti
La professoressa Dell’Aria ha mostrato di essere all’altezza
della sua funzione professionale proponendo ai suoi alunni, già durante
l’estate, delle letture che stimolavano la loro riflessione e che essi,
liberamente, hanno sentito il bisogno di tradurre in una ricerca personale
(hanno 14 anni, non sono bambini!) in cui passato e presente, periodo fascista
e situazione italiana odierna, venivano messi in relazione.
Sulla validità o meno di questa interpretazione si potrà,
naturalmente, discutere, come sempre quando si valutano i fatti storici: ma
quello che conta, a scuola, non sono le risposte, bensì le domande, perché non
si tratta di indottrinare, ma di aiutare gli studenti a sviluppare il loro
senso critico e a esercitarlo, quale che sia l’esito dei loro tentativi.
Non è in gioco, dunque, solo la «libertà di espressione», ma
la stessa libertà di pensiero. E non della professoressa, bensì dei suoi
ragazzi.
Perché è di questo che –con palese marcia indietro rispetto
alle parole del provveditore e, più a monte, del tweet che l’accusava – le
viene ufficialmente addebitato: di non avere «vigilato» sul lavoro dei suoi
alunni, e di non avere così impedito loro di pensare e di dire quello che
pensavano.
Nessun insulto a nessuno: solo un giudizio storico –
peraltro non della docente ma degli studenti.
Da qui una seconda considerazione riguardante il rapporto
che questo provvedimento suppone debba correre tra insegnanti e studenti.
Una visione indegna della scuola e che, peraltro, non ha più alcun collegamento
con la realtà dei rapporti tra le generazioni.
Oggi i giovani non accettano più censure e steccati imposti
dagli adulti. In nessun ambito. E credere che la scuola faccia eccezione solo
perché c’è l’arma del voto e delle sanzioni disciplinari è cecità.
Se anche avesse voluto, la prof. Dell’Aria non avrebbe
potuto impedire ai suoi studenti di pensare quello che hanno pensato e detto.
E se ci avesse provato, in nome del principio di autorità, avrebbe solo screditato
questa autorità, che per un insegnante dev’essere quella della ragione e non
quella della costrizione.
Scuola e politica
Una terza considerazione riguarda il ruolo della politica a
scuola. All’inizio di quest’anno scolastico in un tweet Salvini aveva scritto:
«Per fortuna che gli insegnanti che fanno politica in classe sono sempre meno,
avanti futuro!».
Il punto è che la politica – forse il nostro ministro degli
Interni a scuola non lo ha apppreso – non ha nulla a che fare con la propaganda
per un partito o per un altro, perché è l’impegno per il bene comune.
Educare i giovani a questo impegno dovrebbe essere uno degli
scopi fondamentali della scuola, su cui dovrebbero convergere le diverse
discipline, ognuna col suo contributo specifico.
E dobbiamo dire che le disgrazie della nostra democrazia – dall’astensionismo
dilagante al populismo – risalgono proprio all’incapacità della scuola di
aprirsi ai problemi della comunità politica e di insegnare ai ragazzi a
leggerli e discuterli criticamente, nella varietà delle opinioni.
Ben venga, allora, il tentativo degli alunni della prof.
Dell’Aria di “fare politica”, nel modo consono a un’istituzione culturale com’è
quella scolastica, cioè con delle argomentazioni (anche se eventualmente
discutibili).
Nel merito della questione
Una quarta considerazione riguarda, infine, il merito della
questione.
Finora ho cercato di mostrare che la sanzione disciplinare
contro la docente del Vittorio Emanuele III è in contrasto con la logica della
scuola – anche se il collegamento fatto dai suoi alunni tra le leggi fasciste e
il “Decreto sicurezza” fosse infondato.
Voglio dire adesso, prima di concludere questo articolo, che
personalmente ritengo questo collegamento assolutamente corretto.
Non certo nel senso che Salvini sia fascista come lo fu
Mussolini. È ovvio che nella storia non si riproducono mai le stesse situazioni
e anche le tendenze di fondo cambiano volto di epoca in epoca. Però si possono
riscontrare delle inquietanti analogie tra quello che fu il fascismo e quello
che oggi, in modo diversi, cerca di fare il nostro vicepremier.
E la prova migliore di questo è proprio l’intervento
autoritario e repressivo con cui si è voluto non solo punire un docente, ma
soprattutto intimidire tutti gli altri, spingendoli a «vigilare» sui loro
alunni perché non pensino troppo.
Stile squisitamente fascista. Da ora in poi, prima di
permettere ai propri alunni di discutere una questione di attualità, specie se
confinante con la politica, molti professori ci penseranno due volte, nel
timore che un tweet li accusi di avere insultato chi sta al potere, mettendoli
nei guai.
Molti altri, per fortuna, non si piegheranno. È affidata a
loro la speranza che la nostra scuola non soccomba al nuovo fascismo incombente.
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