L’analisi degli ultimi terribili fatti di cronaca
mette in luce la difficoltà degli adolescenti a rapportarsi col mondo degli
adulti e la necessità delle agenzie educative di intervenire.
Secondo il vicepresidente Agesc Claudio Masotti la scuola non deve abdicare a quelli che
sono i suoi diritti/ doveri ricordando e ricordandosi che una società non può
reggersi in assenza del principio di autorità. Ribadire quali sono i valori
fondanti in cui si basa una società è un dovere che non può essere messo in
discussione e che va continuamente ribadito ed affermato.
Il dilagare della violenza esercitata da bande di
delinquenti minorili è un argomento di stringente attualità che preoccupa i
genitori. Secondo lo psichiatra ed educatore Maurizio Colombo la necessità, in
età adolescenziale, di riunirsi in gruppi di coetanei, è un fatto fisiologico e
parte integrante del percorso di presa di coscienza di sé e di emancipazione
del ragazzo. Ciò può portare anche ad assumere atteggiamenti critici nei
confronti dei genitori e del contesto sociale, ma non dovrebbe mai assumere contenuti
devianti. «L’adolescente che un po’ per volta si distacca dal nucleo familiare,
per elaborare la perdita è spinto a cercare sostegno in qualcosa che possa
sostituirlo, magari contrapponendosi ad esso. Il genitore, che nell’infanzia
era percepito come depositario di grandi virtù, sottoposto ad un più acuto
esame critico, si rivela come “umano” e quindi fallibile e affetto da molte
umane debolezze» spiega Colombo.
Sovente il ragazzo in una società consumistica in
cui i valori tradizionali sono andati in crisi, rimprovera i suoi per non
avergli garantito una “adeguata” ricchezza che gli può garantire uno status che
spesso identificato nella possibilità di possedere oggetti di lusso. «Questo è
particolarmente vero nelle comunità degli immigrati. Statisticamente la seconda
generazione è la più a rischio: se la prima, infatti, ha patito il distacco dal
paese natio ma ha continuato a valersi dei principi appresi nella terra natale,
i figli degli immigrati si sentono completamente disancorati e lontani tanto dalla
cultura di origine, tanto da quella del paese natale. «Si percepiscono
discriminati e qualche difficoltà a scuola, unita al fatto di crescere in
quartieri di periferia, acuiscono la frustrazione ed alimentano la convinzione
di non poter riscattare la loro infelice condizione. Il risentimento e la
conseguente disperazione si traducono in comportamenti smodatamente
aggressivi». Ma, come hanno dimostrato i fatti terribili di Manduria
– con una baby gang tutta italiana arrivata ad accanirsi contro un uomo anziano
e disabile fino a farlo morire – «la convinzione di non potersi riscattare in
alcun modo conduce ad un abietto nichilismo, evidenziato dalla teatralità che
spesso identifica le loro imprese» in ogni contesto. Anche in quelli più
agiati. Il desiderio di apparire ai propri occhi come a quelli dei compagni
come onnipotenti, gioca un ruolo non secondario, ma l’aspetto più significativo
è la volontà di urlare in faccia alla società la loro diversità, il furore, il
disprezzo, «Contrariamente al delinquente comune, che si preoccupa di non
essere identificato, il giovane teppista agisce in modo da essere riconosciuto
come tale. Filma le sue malefatte, si abbiglia in modo inconfondibile,
reitera il delitto in modo goffo e non studiato rinunciando così implicitamente
alla possibilità di sottrarsi alla inevitabile punizione. Questo non per
autopunirsi, ma perché – ribadisce Colombo – vuole testimoniare la sua
esistenza, il suo rancore, e il suo odio nei confronti della società».
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