Il termine nasce a fine
Ottocento ma non è legato a un concetto bene definito.
Federico Finchelstein propone un legame con il fascismo ma non convince.
Federico Finchelstein propone un legame con il fascismo ma non convince.
Lo storico argentino cerca le
esperienze comuni tra le esperienze populiste passate e recenti, arrivando a
definire il fenomeno «democrazia autoritaria» e «teologia politica» Gli
strumenti concettuali appaiono labili e i confini così ampi da divenire
evanescenti
di DAMIANO PALANO
«Dove i concetti mancano, ecco che al punto giusto compare
una parola », diceva Mefistofele nel Faust.
E qualcosa del genere è accaduto probabilmente per la parola
“populismo”: un vocabolo nato sul finire dell’Ottocento negli Stati Uniti, ma a
lungo rimasto circoscritto a un ambito piuttosto limitato, prima di conoscere
una straordinaria fortuna nell’ultimo quarto di secolo. A dispetto di un
utilizzo quantomeno inflazionato, al termine non è però legato un concetto
chiaramente definito. E anche per questo il dibattito condotto dagli studiosi
su cosa sia davvero il “populismo” – se si tratti cioè di un’ideologia, di una
mentalità, di uno stile retorico, di una modalità organizzativa, o altro – è
ben lontano dall’aver raggiunto una conclusione. E ovviamente la discussione è
diventata ancora più accesa dopo la conquista della Casa Bianca da parte di
Donald Trump, da molti considerato il portabandiera del nuovo “populismo
globale”.
Il libro di Federico Finchelstein Dai fascismi ai populismi.
Storia, politica e demagogia nel mondo attuale si inserisce proprio in questo
dibattito. In particolare, il lavoro dello storico argentino – da quasi un
ventennio trasferitosi negli Stati Uniti – nasce dall’insoddisfazione nei
confronti della gran parte della riflessione recente, accusata di due limiti:
per un verso dalla convinzione che il populismo sia un fenomeno nuovo,
innescato soprattutto dalla vittoria di Trump; per l’altro, dall’assenza di
riferimenti ai precedenti storici del populismo, e in particolare al regime di Juan
Domingo Perón in Argentina. Al contrario, sostiene Finchelstein, è
indispensabile riconoscere gli elementi comuni tra le esperienze populiste del
passato e quelle più recenti. E soprattutto è necessario comprendere il
fenomeno con la prospettiva di una «storia globale». A dispetto di queste
premesse, senz’altro condivisibili, il quadro che lo studioso dipinge finisce
però col ricorrere a categorie interpretative piuttosto evanescenti.
La tesi di fondo è che esista una stretta parentela tra
fascismo e populismo: quest’ultimo sarebbe in sostanza una «democrazia
autoritaria », oltre che un movimento – né di destra né di sinistra –
«portatore di una concezione intollerante della democrazia, in cui il dissenso
è ammesso ma viene dipinto come privo di qualsiasi legittimazione«. Dopo il
1945, il populismo avrebbe riformulato gli obiettivi del fascismo adattandoli a
un contesto democratico, senza però perdere il carattere autoritario. Pur
riconoscendo la variabilità delle forme in cui il fenomeno si è presentato, Finchelstein
propone un’articolata griglia definitoria, che considera il populismo, fra
l’altro, come «una forma estrema di religione politica», «una visione
apocalittica della politica», «una teologia politica fondata da un leader del
popolo che ha tratti messianici e carismatici», «una concezione omogenea del
popolo». Ma già da questa definizione emerge il limite di un notevole lassismo
concettuale.
Desta senz’altro qualche perplessità il fatto che
Finchelstein definisca l’ideologia fascista come «parte di una più vasta
reazione intellettuale all’Illuminismo » e come una «reazione alle rivoluzioni
progressiste del lungo
XIX secolo». In questo modo si fornisce una visione
monolitica del fascismo, trascurandone l’infatuazione per il progresso, le
ambizioni di radicale modernizzazione della società, gli elementi di affinità
con il socialismo. Qualche ulteriore perplessità è sollevata dalla stessa
categoria di «fascismo globale», che riconduce a un’unica matrice ideologica
regimi e movimenti in realtà piuttosto eterogenei. Ma problemi ancora più
evidenti emergono quando lo storico passa a considerare il populismo.
Contestando i tentativi di ridurre i fenomeni a ideal-tipi costruiti
astrattamente, Finchelstein ritiene si debba cominciare dalla storia, e cioè dai
caratteri delle esperienze populiste, a partire dal primo caso di regime
populista, individuato nel peronismo argentino. In altre parole, a suo avviso
non si deve tentare di definire teoricamente il concetto di populismo. Si
devono invece registrare gli elementi principali dei regimi e dei movimenti
populisti emersi nella storia. E proprio dall’osservazione di tali casi
risulterebbe una straordinaria affinità – che non è però un’identità – tra
populismo e fascismo. Ma, se il peronismo rappresentò davvero una
riformulazione di alcune componenti del fascismo, simili legami risultano
quantomeno più deboli per molti di quei leader che Finchelstein annovera nella
famiglia populista, come – per fare solo alcuni nomi – Carlos Menem, Alberto
Fujimori e Silvio Berlusconi. Le difficoltà non sono comunque solo queste. Il
populismo viene dipinto infatti in modo impressionistico, al tempo stesso, come
un’ideologia, un tipo di regime politico, uno stile, una visione del mondo e
molto altro. I confini del populismo diventano così davvero molto evanescenti.
Fra l’altro, Finchelstein sembra inconsapevole del fatto che il peronismo venne
definito “populismo” solo a posteriori, che quella categoria è il risultato di
una rielaborazione compiuta dalle scienze sociali, e che, più in generale, non
esistono testi fondativi della visione del mondo populista: e proprio queste
circostanze rendono quantomeno problematico definire il populismo come
un’ideologia, al pari di quella fascista e socialista. Ma altrettanto critica è
la definizione del populismo come “democrazia autoritaria”, soprattutto perché
non viene chiarito quali sarebbero gli elementi “empiricamente osservabili”
tali da rendere “autoritaria” una democrazia (senza al tempo stesso
trasformarla in un regime non competitivo e dunque non democratico). Il
rompicapo diventa così davvero insolubile. E la parola “populismo” rischia di
diventare una sorta di passepartout che promette di spalancare tutte le porte,
ma che non ne apre davvero nessuna.
Federico Finchelstein - Dai fascismi ai populismi - Storia,
politica e demagogia nel mondo attuale
Donzelli. Pagine 278. Euro 28 ,00
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