È necessario uscire dalla
trappola del futuro garantito, per riporre al centro un patto
intergenerazionale alimentato dalla logica della promessa e dell’impegno.
«Le nuove generazioni ci spingono non
solo a metterci in relazione, ma ci insegnano anche a relativizzarci, a
considerarci non “possessori” della vita, ma “genitori” nel senso più ampio del
termine. Ci spingono a essere persone capaci di lasciare spazio, capaci di
consegnare»
di PIERPAOLO TRIANI*
Il rapporto tra le generazioni, con
l’allungamento dell’età media della popolazione, risulta più esteso nel tempo
(e perciò potenzialmente più intenso e ricco di scambi); ugualmente, con il
rafforzarsi dell’individualismo, appare più frammentato e più sterile. Nuovi
nodi strutturali stanno facendosi sempre più chiari: come fare in modo che i
bisogni e i diritti delle persone di ogni generazione siano rispettati? Su
quali aspetti è possibile intervenire affinché le generazioni più adulte, per
la prima volta più numerose, non 'schiaccino' quelle giovani? Come evitare che
le generazioni numericamente più 'forti' non danneggino quelle più 'deboli'?
Come garantire lavoro per lungo tempo a tutti? Come riequilibrare un utilizzo
scriteriato delle risorse del pianeta, tutto concentrato sui vantaggi immediati
invece che alla sostenibilità sul lungo periodo?
La dinamica intergenerazionale
comporta sempre una sorta di patto più o meno implicito, che regola i rapporti
e gli scambi tra le generazioni, che può assumere forme diverse a seconda di
che cosa si ponga al centro. È su questo aspetto che vi è bisogno di
rinnovamento. Non basta preoccuparsi di lasciare in eredità 'sicurezze',
abbiamo bisogno, come mondo adulto, di riscoprire la necessità di consegnare ai
giovani delle buone ragioni per costruire, continuamente e incessantemente, una
vita umana più giusta e solidale. Si tratta di riconoscere che il legame tra le
generazioni continua a restare generativo quando non ha soltanto la forma della
trasmissione di beni materiali, ma quando è animato dalla logica della
promessa .
Promettere è affermare, con scelte
concrete, che vale la pena impegnarsi. Ma per che cosa? Per quale presente e
per quale futuro vogliamo nuovamente promettere e chiedere alle nuove
generazioni di lasciarsi coinvolgere e portare le loro energie e risorse?
Un patto intergenerazio-nale non può essere neutrale, ma richiede delle
opzioni e delle linee di azione. Rilanciare l’impegno di un rapporto
intergenerazionale più solidale e generativo comporta innanzitutto di
operare sulle condizioni organizzative ed economiche della vita sociale.
Occorrono nuove politiche per la famiglia e per il lavoro, ma anche una
rinnovata attenzione alle reti sociali, al valore dei 'corpi intermedi',
alla partecipazione. Tutto questo è necessario, ma non sufficiente se non
è accompagnato da uno sforzo, propriamente educativo, che operi su alcuni
aspetti culturali fondamentali.
Per uscire da uno sguardo chiuso
abbiamo bisogno di un mondo adulto attento a trasmettere non soltanto la 'cura
del sé', ma il senso del noi, l’attenzione e la passione per un bene più
grande, per il bene di tutti. Si tratta al riguardo di aiutarci a guardare e
interpretare la realtà non soltanto dal nostro punto di vista, o pensando
semplicemente ai bisogni del proprio gruppo (che Mounier avrebbe chiamato di
'noialtri'), ma tenendo presente l’interdipendenza tra le parti. Si tratta
al riguardo di scegliere di coltivare uno sguardo che considera le diverse
generazioni (ma anche le diverse culture) unite da un destino comune; che
riconosce il valore di ogni generazione, anche quelle più deboli e silenziose;
si tratta, per riprendere papa Francesco, di accogliere e coltivare una
dinamica sociale dove si cerca di far prevalere l’unità sul conflitto, e dove
lo sguardo d’insieme è considerato necessario per valorizzare le singole
parti.
L’assoluto affettivo, l’amore di
sé inteso in modo narcisistico, ha notato Pierangelo Sequeri ,
ferma la storia. Per questo motivo rilanciare il patto tra le
generazioni significa recuperare il senso di ciò che è prima di
noi e di ciò che sarà; comporta lo scegliere di ricominciare
a far sentire le nuove generazioni
dentro un cammino comune, un’avventura condivisa; il ritornare ad elaborare narrazioni
capaci di far sentire le persone dentro una storia dove il bene interpella
continuamente la responsabilità di ciascuno. Occorre 'pensare per generazioni',
come ha evidenziato in un suo saggio Ivo Lizzola, che riprendendo l’idea
dell’albero genealogico, osserva: «Senza alberi genealogici resta parziale e in
un certo senso mutilata, la nostra coscienza del tempo e della storia,
pregiudicando il delinearsi di una nostra responsabilità storica e di legami
meno generici, meno manipolabili, meno asfittici. Il legame sociale non viene
alimentato, e si costruisce solo sul presente, sugli interessi e gli scambi di
oggi, sulle rappresentazioni e le ansie attuali: nel corto respiro di due, tre
generazioni. Non si radica nell’intreccio di tanti alberi, che hanno fatto la
vicenda della storia e delle storie, che si sono ramificati attraversando la
storia e le storie locali» .
Un rapporto intergenerazionale
promettente significa, inoltre, uscire - come avevano già ben indicato alcuni
anni fa Benasayag e Schimt - da una narrazione che presenta il futuro solo come
'minaccia', come una realtà poco desiderabile. Occorre infatti innalzare gli sforzi
per un’educazione che apra gli orizzonti della mente e del cuore delle persone,
che parli del futuro come un insieme di possibilità non già predefinite, ma
consegnate alla libertà, all’impegno, alla scelta responsabile. Alimentare il
futuro comporta al riguardo l’aiutare le persone a prendere sul serio la
ricerca del bene, del giusto, del vero, del bello, dell’amabile. Temi che
possono erroneamente apparire fuori moda, ma che in realtà rappresentano il
nucleo fondante della nostra umanità. Un nuovo patto
intergenerazionale chiede di scegliere la generatività come 'cifra' della vita
adulta e come dinamica di fondo dei legami tra le generazioni. Quattro, ci
ricordano Magatti e Giaccardi, sono i verbi che fondano la logica generativa
umana: desiderare, mettere al mondo, prendersi cura, lasciare andare. È su
quest’ultimo, in conclusione, che vorrei soffermarmi un momento: «Il lasciar
andare dice insieme che siamo stati insostituibili e che non siamo
indispensabili. Consente di procedere oltre quello che abbiamo costruito, e di
progredire in un modo che è per noi inaspettato. Perché così il mondo si rifà
sempre nuovo, anziché ripetersi a immagine e somiglianza dei nostri limiti e
dei nostri schemi». Avere uno sguardo realmente intergenerazionale
significa riconoscere che abbiamo bisogno di imparare continuamente a non
pensarci 'per sempre' e 'indispensabili'; in questo aspetto il ruolo delle
nuove generazioni è fondamentale. Ci spingono non solo a metterci in relazione,
ma ci insegnano anche a relativizzarci, a considerarci non 'possessori' della
vita, ma appunto dei 'genitori' nel senso più ampio del termine. Ci spingono ad
essere persone capaci anche di lasciare spazio; capaci di consegnare.
*Docente di Pedagogia -Università Cattolica Sacro
Cuore
Articolo pubblicato in "Dialoghi", trimestrale dell'Azione Cattolica
www.Avvenire.it
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