Nei suoi recenti incontri con Acli, Mcl e altre associazioni
“accanto” alla gente il cardinale Gualtiero Bassetti ha chiesto di lavorare
sulla «grammatica dell’umano» e di tradurla in «grammatica sociale e quindi
politica». «Sono queste le fondamenta – ha insistito –. Da qui deve
ripartire il laicato cattolico italiano: da una base comune e da radici
condivise». Il risveglio di una presenza cattolica nel sociale e poi in politica
è probabilmente la cifra della presidenza Cei targata Gualtiero Bassetti, il
cardinale «due di briscola» – come lui stesso si era definito quando papa
Francesco gli consegnò la berretta nel 2014 – che con le sue carte intende
giocare una partita di ampio respiro, forse destinata a non portare frutti
nell’immediato ma sorretta dalla logica biblica del seminatore che lascia ad
altri il raccolto delle messi. E i semi che in questi primi due anni al vertice
Cei sta gettando il porporato cresciuto a Firenze, culla dell’umanesimo
cristiano che nel Novecento è stato vivificato da figure come Giorgio La Pira,
don Lorenzo Milani, don Divo Barsotti o anche dalla missione poetica di Mario
Luzi, sono quelli che vogliono contribuire a rinsaldare il legame fra
l’Italia e il cattolicesimo democratico, promuovendo una spiritualità incarnata
e superando la tentazione dell’indifferenza nei confronti della vita pubblica
che caratterizza il presente e ha segnato il più prossimo
passato.
Da pastore di comunione qual è – come ha dimostrato prima da
rettore e vicario generale a Firenze e poi nelle tre diocesi che ha guidato come
vescovo, Massa Marittima-Piombino, Arezzo-Cortona-Sansepolcro e adesso
Perugia-Città della Pieve – Bassetti ha a cuore l’urgenza di «ricucire»,
«ricostruire» e «pacificare» l’Italia. Un’Italia bella ma fragile, ripete. Oggi,
dalla “cattedra” della Conferenza episcopale italiana, guarda a un Paese
sfilaccicato, inquieto, a tratti rancoroso. Un’operazione di rammendo che vale
in particolare per il laicato cattolico. L’ultimo ventennio si è
contraddistinto per una divisione politica, talora aspra, all’interno del mondo
ecclesiale italiano che è diventata ancora più marcata negli ultimi tempi. E
ha avuto come conseguenza quella dell’irrilevanza dei cattolici sulla scena
politica. Ci sono state, sì, persone sostenute da uno spirito evangelico di
servizio che hanno scelto di impegnarsi in un determinato schieramento, restando
per lo più “monadi”, cui non è stato possibile (o addirittura impedito) di
declinare l’idealità di credente in decisioni concrete. L’episcopato italiano ne
è consapevole. E sa che una parte non minoritaria della comunità cristiana non
si sente rappresentata da alcuna forza politica in campo. Altrettanto è
cosciente che anche il voto verso una parte o l’altra è spinto più dal motto
“turiamoci il naso...” che dalla convinta adesione a una piattaforma
programmatica.
Ecco perché non ha alcun presupposto l’idea che la Chiesa
italiana appoggi oppure contrasti questo o quell'esecutivo, questa o quella
maggioranza.
Come ha chiarito Bassetti a dicembre ad “Avvenire”: «La Chiesa italiana parla e
dialoga con tutti. Perché è una comunità di fedeli in Cristo e non certo un
partito politico. Quindi non può stare all'opposizione di alcun governo. Oggi
come in passato siamo “voce critica” ma al tempo stesso accogliamo le iniziative
che riteniamo opportune e che sono a favore del bene comune. Ovviamente non
bisogna cercare scorciatoie demagogiche. Soprattutto non bisogna soffiare sul
fuoco del conflitto sociale». E nella stessa conversazione ha lanciato la
proposta di un «forum civico» che metta «in rete» associazioni o anche singole
esperienze «di uomini e donne di buona volontà che hanno a cuore il bene comune»
della nazione. È una proposta sinodale, verrebbe da dire, un invito a camminare
insieme, un itinerario fraterno dal basso. Rimuovendo prima di tutto un
macigno che blocca il laicato: la «sterile divisione tra i cosiddetti “cattolici
del sociale” e i “cattolici della morale”», ha sintetizzato il cardinale.
Per
questo il contributo essenziale dei cattolici al Forum, un punto di partenza
necessario per costruire laicamente una rete più ampia e inclusiva, non può che
essere la Dottrina sociale della Chiesa. Che va presa nella sua interezza
e non saltando a piè pari princìpi o concetti, ha ricordato il porporato
nella Messa a metà gennaio per i cento anni dall'appello di don Sturzo
ai “liberi e forti” con cui nacque il Partito popolare.
Un appello che oggi la Chiesa italiana fa risuonare da Nord a
Sud. Con prese di posizione dei vescovi e di esponenti di associazioni,
movimenti e realtà ecclesiali. A esempio l’arcivescovo di Bologna, Matteo
Zuppi, ha chiesto ai fedeli di «fare rete» spendendosi per la città
dell’uomo. A Milano l’arcivescovo Mario Delpini ha creato una Commissione
per la promozione del bene comune con l’intento di «sostenere quella domanda di
impegno e testimonianza nel sociale e nel politico». Fausto Tardelli, vescovo
di Pistoia, la città della prima Settimana sociale dei cattolici, ha
auspicato «una nuova bella stagione di impegno politico dei cattolici, capace di
catalizzare le forze e i sogni di tanti uomini e donne di buona volontà» e in
grado di esprimere «quella parte dei cittadini che non si ritrova negli attuali
schieramenti». Il vescovo di Faenza-Modigliana, Mario Toso, ha pubblicato
da poco il saggio Cattolici e politica in cui raccomanda agli stessi
pastori di essere coraggiosi esortando i laici all'impegno per la cosa pubblica.
E la Conferenza episcopale sarda ha inviato alla «partecipazione alla
vita politica attiva» e a «sconfiggere l’astensionismo». I sussulti
dell’associazionismo sono testimoniati - per citare un caso - dal convegno sulla
“Nostra Europa” che lo scorso novembre ha riunito sette sigle cattoliche a Roma
con Bassetti, ma anche dal vivace dibattito intra moenia e poi sui media,
soprattutto in queste pagine, che coinvolge anche intellettuali o “firme”
giornalistiche.
Non siamo certo ai vagiti di un partito, della Dc 4.0,
della Balena bianca del Ventunesimo Secolo. Infatti fa storia a sé
l’attivismo del vescovo emerito di Prato, Gastone Simoni, pastore attento
all’ambito socio-politico a cui ha dedicato un segmento ragguardevole del suo
ministero. Prima ha voluto il “Collegamento sociale cristiano” per far dialogare
i cattolici della diaspora post Democrazia cristiana; ora propone “Insieme”, un
contenitore-aggregazione che si è già presentato sulla ribalta nazionale. Una
proposta personale, animata comunque dalla sollecitudine pastorale di un
«supplemento d’anima» necessario nell’agone politico.
Quel che è sicuro è lo sprone a non chiudersi nel cerchio
protetto della parrocchia o dell’associazione, a sporcarsi le mani con «la più
alta forma di carità», direbbe Paolo VI. E Bassetti si ispira per alcuni tratti
proprio a Montini, al suo lungimirante cammino con gli universitari della Fuci
di cui fu assistente durante gli anni bui del fascismo. Nella mente del
presidente della Cei c’è in primo luogo la formazione. Laici «adeguatamente
formati nella fede» e «chiamati ad assumere come bussola dei loro comportamenti
quella “visione martiriale” della politica evocata da papa Francesco», ha
suggerito il cardinale. Una via è rappresentata dal profondo rinnovamento delle
Scuole socio-politiche – se ne contano oltre settanta nelle diocesi – insieme a
corsi promossi da facoltà o istituti teologici e alla formazione “permanente”
che si tocca con mano in numerosi movimenti e associazioni. Imprescindibile è
anche il contributo di pensiero che deve arrivare dal mondo accademico, a
cominciare dall’Università Cattolica incalzata a elaborare progetti per la “casa
comune” italiana. Poi, per Bassetti, ci sono i soggetti sociali da difendere e
valorizzare, ovvero le famiglie e i giovani. Da loro occorre prendere le
mosse. Il Forum civico ha bisogno del protagonismo dei trentenni o
quarantenni, ha insistito il porporato. Senz’altro serve quell’alleanza fra
generazioni ribadita più volte da papa Bergoglio, quell’incontro delle future
leve con la saggezza degli “anziani”. Ma il presidente della Cei affida le
chiavi del progetto a donne e uomini nel fiore degli anni, non compromessi con
un passato divisivo. Questo passo, anche generazionale, implica una netta
presa di distanza da tutte le attuali esperienze politiche. Esperienze che
separano e frammentano, nel clima da scontro fra destra e sinistra, fra
sovranisti e anti-sovranisti, fra populisti e anti-populisti. C’è bisogno di
andare oltre, senza anacronismi ma memori della storia, e con un’avvertenza
imprescindibile: i cattolici impegnati non devono essere eterodiretti e neppure
“baciapile” o più clericali del clero. Da qui il richiamo a una «sana laicità» e
alla «responsabilità propria» dei laici, «ponte fra la Chiesa e il
Paese».
L’asse intorno a cui ritrovarsi è appunto la «grammatica
dell’umano»: l’uomo al centro, il personalismo cristiano. È l’abbraccio
alla vita, dal concepimento alla sua conclusione naturale, in ogni circostanza e
in ogni luogo. Quindi attenzione ai temi bioetici – come Bassetti ha
ricordato nella Messa per don Sturzo –, alle radici cristiane,
all’educazione. Ma al contempo ecco i rimandi alla solidarietà,
alla giustizia sociale, alla promozione umana integrale.
L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ha già prospettato i temi cardine: il
lavoro e la disoccupazione; il decremento delle nascite; la famiglia attaccata
dalle ideologie o che si spezza verso la quale servono ben altre politiche di
sostegno; i giovani; la cura dei poveri, degli “scarti” inclusi i migranti; la
salvaguardia del Creato e della delicata Italia; l’Europa intesa come
famiglia di popoli in pace che supera egoismi e rancori identitari e che non è
prigioniera del “paradigma tecnocratico” denunciato da papa Francesco
nella Laudato si’. E che cos’è tutto ciò se non il Vangelo che si fa
vita e cultura, che entra fra le pieghe (e le piaghe) della storia, compresa
quella dell’Italia contemporanea?
Giacomo Gambasi in "Avvenire"
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