di Pasquale Hamel
Anche oggi, che il ritmo della vita moderna assorbe le nostre menti
in modo totalizzante, ricordare l’immane tragedia della Shoah è
necessario perché, come spesso sentiamo ripetere, c’è il rischio
di dimenticare quanto invece non può e non deve essere dimenticato.
Ha ragione, dunque, Elisa Springer - che ha personalmente conosciuto
cosa è stata la Shoà - nell’affermare che “tanto
grande è il rischio di dimenticare, che occorrerebbe un anniversario
di Auschwitz al giorno!”.
Ma la memoria non va strumentalizzata e,
per ciò stessa, confusa con altre tragedie che giornalmente
riempiono le cronache dei nostri giornali come, purtroppo, spesso
qualcuno anche per miserabili giochi politici tenta di fare, perché
come scrive Elena Loewenthal, quanto accadde in quei terribili anni
che vanno dal 1942 al 1945 “fu un evento senza precedenti perché
mai era stato deciso a tavolino lo sterminio, l’annientamento di un
popolo in quanto tale”. Un atto, dunque, di suprema barbarie del
quale, come figli della civiltà europea, dovremmo tutti vergognarci
perché quei carnefici, checché se ne dica, erano partecipi della
nostra stessa cultura e, come ha evidenziato Hanna Arendt, erano
uomini come noi, formati e informati della nostra storia e, per di
più, ciascuno di loro “era pressoché normale, né demoniaco né
mostruoso.”
Esiste, dunque, un dovere della memoria, un ricordare
per non dimenticare che deve diventare monito collettivo e
individuale giornaliero anche perché, lo scrive con coraggio Zigmunt
Bauman, “Il sospetto è che l’Olocausto non sia stato un’antitesi
della civiltà moderna e di tutto ciò che (secondo quanto ci piace
pensare) essa rappresenta. Noi sospettiamo (anche se ci rifiutiamo di
ammetterlo) che l’Olocausto possa semplicemente aver rivelato un
diverso volto di quella stessa società moderna della quale ammiriamo
altre e più familiari sembianze; e che queste due facce aderiscano
in perfetta armonia al medesimo corpo”.
Questo terribile sospetto
non può che essere fugato da una vigilanza attiva, dal trasformare
il mero ricordo
in memoria viva per trasmetterlo e consegnarlo alle generazioni
future, perché l’orrore non si ripeta.
La memoria della Shoà non
può dunque essere assimilata alle consuete celebrazioni retoriche,
memorie cristallizzate e meramente istituzionalizzate, ma, credo,
debba assumere, proprio per i motivi che abbiamo sommariamente
elencato, un significato più profondo e, ad un tempo, più
drammatico perché diventa riflessione sullo stesso senso dell’essere
uomo in questo mondo. Dunque, ricordare, fare memoria, è dovere
morale anche perché, è bellissima questa frase del grande regista
Jean-Luc Godard che qui mi pregio di trascrivere a conclusione,
“dimenticare lo sterminio fa parte dello sterminio stesso.”
MATTARELLA: " .... Sono passati settantaquattro anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Eppure, nonostante il tanto tempo trascorso, l’orrore indicibile che si spalancò davanti agli occhi dei testimoni è tuttora presente davanti a noi, con il suo terribile impatto. Ci interroga e ci sgomenta ancora oggi.
Perché Auschwitz non è soltanto lo sbocco inesorabile di un’ideologia folle e criminale e di un sistema di governo a essa ispirato. Auschwitz, evento drammaticamente reale, rimane, oltre la storia e il suo tempo, simbolo del male assoluto. Quel male che alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni.... "
Nessun commento:
Posta un commento