Mc 13, 24-32
Dal Vangelo
secondo Marco
24In quei giorni,
dopo quella tribolazione, il sole si
oscurerà,la luna non darà più
la sua luce, 25le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno
sconvolte. 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con
grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e
radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino
all’estremità del cielo. 28Dalla pianta di
fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano
le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete
accadere queste cose, sappiate che egli è Vicino, è alle porte.30In verità io vi dico: non
passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno.32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né
gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.
Commento di don Fabio Rosini,
biblista
L’anno liturgico volge al termine e la liturgia ci regala
una parte del capitolo 13 del Vangelo di Marco dove si spazia dal parlare della
fine dei tempi alla profezia sulla distruzione di Gerusalemme del 70 dopo
Cristo. Ma qual è l’argomento? La fine di tutto
o “solo” di Gerusalemme? Le lingue ebraico-aramaiche tendono alla “polisemia”.
Vuol dire che una sola parola ha sempre tanti sensi: “poli”, molteplice,
“semia”, significato.
Come mai questa pedante spiegazione? Perché il testo di
questa domenica non può essere letto senza tener conto di questa caratteristica
della mentalità semitica, e se descrive qualcosa di storico, in realtà include
anche qualcosa di meta-storico, la fine delle cose. E non solo – che è poi
l’aspetto più importante.
Cosa dice della fine? Che è
il tempo in cui il sole e la luna si oscurano e le stelle cadono dal firmamento. È il rovesciamento del quarto giorno della creazione, il
crollo dell’ordine stabilito. Ma è in quel momento che il Figlio dell’uomo
arriva, come una seconda creazione, ed è l’occasione in cui gli angeli
vanno a radunare gli eletti.
La natura, che segnala i suoi cambiamenti di stagione, funge
da paradigma: se per vedere che l’estate è vicina si guarda all’evoluzione
dell’albero di fico, allora per capire che il Figlio
dell’uomo sta arrivando bisogna guardare a quei segnali cosmici di
sconvolgimento.
E poi c’è la più sibillina delle frasi: «Non passerà questa
generazione prima che tutto questo avvenga»… e allora Gesù parlava solo a
quelli che lo ascoltavano? Per chi è dunque questo discorso? Sia per la fine dei tempi che per la distruzione di Gerusalemme del 70 dopo
Cristo, ma anche per quelli che lo ascoltavano. Infatti nella passione e morte
di Cristo il sole si oscura e la creazione è sconvolta. E al terzo giorno il
Figlio dell’uomo si mostra ai suoi risorto e inaugura una vita che non è
secondo questo mondo, quella che il Battesimo offre.
CONVERSIONI AUTENTICHE.
Ma questo non è neanche solo per quella generazione: è anche
per la nostra.
Perché succede proprio questo nella storia di ogni
conversione autentica e nei salti di qualità della fede: le potenze celesti che
non funzionano più sono i nostri punti di riferimento che crollano, quando il
nostro pantheon personale ci delude e la luce in cui abbiamo confidato si rivela fasulla. Quello è il momento del Figlio
dell’uomo.
Certe crisi personali sono molto più che benedette. Certe
delusioni che abbattono le colonne della nostra esistenza sono una visita di
Dio. Il giorno del Signore è quel momento in cui subiamo un azzeramento, e
capiamo di vivere di stupidaggini. Una malattia lo fa, ti fa crollare il sole e
le stelle. Un cambiamento repentino può relativizzare tutto. Allora il Figlio
dell’uomo manda a cercare il nostro cuore, e setaccia i suoi eletti, cerca la
verità che è in noi. E chi lo accoglie si scrolla di dosso tanta spazzatura.
In greco crisis
vuol dire valutazione, discrimine, chiarimento, giudizio. Benedette le crisi.
In esse il Figlio dell’uomo ci viene a cercare.
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