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lunedì 17 settembre 2018

PAPA FRANCESCO A PALERMO – NON SOLO MAFIA

di Giuseppe Savagnone*

Ai mezzi di comunicazione è arrivato quello che fin dalla vigilia interessava: la ferma condanna della mafia. Di questo, e quasi soltanto di questo, parlano i titoli dei giornali all’indomani della visita di papa Francesco in Sicilia.
E, in effetti, nei discorsi del pontefice in Sicilia il tema della criminalità mafiosa è stato davvero molto presente, come era del resto suggerito dal 25° anniversario dell’assassinio di don Pino Puglisi per mano di un killer di Cosa Nostra. Tanto più che la lotta contro la mafia, a distanza di venticinque anni, non è ancora affatto vinta. Peraltro, dopo i lunghi anni del silenzio, la Chiesa fa bene a ribadire ad ogni occasione ciò che per troppo tempo, in passato, non aveva detto, e cioè che non si può essere cristiani e mafiosi allo stesso tempo, come il papa ha espressamente ribadito durante la messa al Foro Italico di Palermo.
Il vero problema, però, al di là delle denunce, è l’incapacità della pastorale ordinaria della di tradurle in una educazione sistematica che cambi la mentalità della gente, a cominciare dalle nuove generazioni. Ma questo non riguarda solo il caso della mafia. Certo, è scandaloso che proprio in un terra come la Sicilia, dove la religiosità è più viva, rispetto a molte altre regioni d’Italia – chiese piene la domenica e nelle solenni funzioni dell’anno liturgico; percentuali ridicole di non avvalentesi dell’ora di religione; grande rispetto per il clero e i religiosi –, il fenomeno mafioso continui ad essere profondamente radicato e sopravviva a tutti i colpi. Ma è altrettanto scandaloso che quest’Isola sia cronicamente afflitta da un malgoverno che sostituisce clientelismo, lotte intestine di potere, sistematico perseguimento degli interessi privati, alla corretta gestione della cosa pubblica.
In questo disastro, la presenza dei cattolici – ufficialmente maggioritaria, come si diceva – non sembra portare alcuna differenza. Le parrocchie continuano imperturbabili a tenere i loro corsi di catechismo, a celebrare le loro messe, le loro prime comunioni, i loro matrimoni. Come sul Titanic dove, mentre la nave affondava, l’orchestrina della sala feste continuò a suonare imperterrita …
Anche quest’Isola sta affondando. Lo dice il crescente ritardo economico sul resto d’Italia. Lo dice il tasso di disoccupazione giovanile, al 52,9%. Lo dicono i dati Svimez, secondo cui il 27% dei ragazzi siciliani – più di uno su quattro – vanno a studiare fuori della Sicilia. E sono spesso i più qualificati e intraprendenti!
Papa Francesco, cominciando la sua visita, è partito con coraggio da questo quadro: «Non sono poche le piaghe che vi affliggono. Esse hanno un nome: sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiari».
Perché, come ha detto rivolgendosi alla comunità cristiana di Piazza Armerina, «considerare le piaghe della società e della Chiesa non è un’azione denigratoria e pessimistica», ma «significa per noi cristiani assumere la storia e la carne di Cristo come luogo di salvezza e liberazione. Vi esorto, pertanto, a impegnarvi per la nuova evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle sue croci e sofferenze».
Queste croci, peraltro, non sono il frutto di un destino scritto nelle stelle. Sono le persone a determinare la loro storia. a farla essere una storia vincente di vita, o in una storia di sconfitta, che porta alla rovina individui e comunità. «Quel che porta alla sconfitta» – ha detto Francesco parlando a Palermo – «è amare il proprio. Chi vive per il proprio perde (…), mentre chi si dona trova il senso della vita e vince».
Qui il quadro, come è evidente, si è allargato. Non si tratta solo della mafia e dei mafiosi. Certo, loro sono l’emblema di una mentalità e di una prassi che porta a calpestare gli altri nell’illusione di “vincere”. Neppure il problema è solo quello del sottosviluppo. Sono in gioco le sue radici più profonde, da cercare nella deriva di una società che si è allontanata radicalmente dal Vangelo, anche se, come in Sicilia, continua a seguire i rituali. Le piaghe dell’Isola sono in realtà la manifestazione estrema di quelle dell’Italia, anche se in Sicilia si rivelano con particolare evidenza nella loro carica distruttiva.
«Non è facile», ha riconosciuto Francesco, «portare avanti la fede tra tante problematiche. Non è facile, io lo capisco». Ma proprio la fede può costituire la molla per uscire da questa situazione e cambiarla. Tocca ai cristiani uscire all’immobilismo. Bisogna, per questo, cambiare noi stessi. Non sono solo i mafiosi ad «amare il proprio». Sono in tanti, anche credenti, a cercare solo di fare i propri interessi, nelle relazioni umane, nel lavoro, nelle scelte politiche. Non uccidono nessuno, certo. Ma possono assistere senza nessun particolare scrupolo allo sfascio della società.
Da questa falsa innocenza il Pontefice ha messo in guardia non solo i mafiosi, ma tutti: «Dio ci liberi», ha detto, «dal pensare che tutto va bene se a me va bene, e l’altro si arrangi. Ci liberi dal crederci giusti se non facciamo nulla per contrastare l’ingiustizia. Chi non fa nulla per contrastare l’ingiustizia non è un uomo o una donna giusto. Ci liberi dal crederci buoni solo perché non facciamo nulla di male».
Ai giovani di Palermo il Papa lo ha raccomandato con particolare forza: «Gesù sempre chiama a prendere il largo: non accontentarti di guardare l’orizzonte dalla spiaggia!». E ha sottolineato: «Abbiamo bisogno di uomini e donne che vivono relazioni libere e liberanti, che amano i più deboli e si appassionano di legalità, specchio di onestà interiore».
Come possono vescovi, preti, operatori pastorali, contribuire a questo rinnovamento radicale? Il Papa è stato su questo punto molto diretto: «Alla nostra età, ne abbiamo visti tanti di progetti pastorali faraonici…  Cosa hanno fatto? Niente! I progetti pastorali, i piani pastorali sono necessari, ma come mezzo, un mezzo per aiutare la prossimità, la predicazione del Vangelo, ma di per sé stessi non servono. La via dell’incontro, dell’ascolto, della condivisione è la via della Chiesa».
Per educare anche solo umanamente i giovani, i preti, i laici più maturi, devono accompagnarli nella loro vita quotidiana (che fine ha fatto la vecchia direzione spirituale?), guardarsi negli occhi con loro. Le mega-manifestazioni possono servire, ma non possono sostituire questa prossimità concreta a livello personale. Don Pino, ha fatto notare il Papa, «più che parlare di giovani, parlava coi giovani. Stare con loro, seguirli, far scaturire insieme a loro le domande più vere e le risposte più belle. È una missione che nasce dalla pazienza, dall’ascolto accogliente, dall’avere un cuore di padre e mai di padrone. La pastorale va fatta così, con pazienza e dedizione, per Cristo a tempo pieno».
E attraverso questo, educare le persone, soprattutto i giovani, a momenti di calma riflessione sul Vangelo. Ci ha insistito molto, Francesco: «Leggere il Vangelo, tutti i giorni, un piccolo passo del Vangelo. Non prende più di cinque minuti. Forse un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa… Prenderlo, guardare, e leggere. E così, tutti i giorni, come goccia a goccia, il Vangelo entrerà nel nostro cuore e ci farà più discepoli di Gesù e più forti per uscire, aiutare tutte le problematiche della nostra città, della nostra società, della nostra Chiesa. Fatelo, fatelo». Una presenza nuova dei cristiani, capace di rinnovare la società siciliana – e non solo quella – potrà nascer solo da qui: dal recupero di una vita interiore di cui, si sia credenti o no, abbiamo tutti un disperato bisogno.

*Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.




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