di Giuseppe Savagnone*
Ai mezzi di comunicazione è
arrivato quello che fin dalla vigilia interessava: la ferma condanna della
mafia. Di questo, e quasi soltanto di questo, parlano i titoli dei giornali
all’indomani della visita di papa Francesco in Sicilia.
E, in effetti, nei discorsi del
pontefice in Sicilia il tema della criminalità mafiosa è stato davvero molto
presente, come era del resto suggerito dal 25° anniversario dell’assassinio di
don Pino Puglisi per mano di un killer di Cosa Nostra. Tanto più che la lotta
contro la mafia, a distanza di venticinque anni, non è ancora affatto vinta.
Peraltro, dopo i lunghi anni del silenzio, la Chiesa fa bene a ribadire ad ogni
occasione ciò che per troppo tempo, in passato, non aveva detto, e cioè che non
si può essere cristiani e mafiosi allo stesso tempo, come il papa ha
espressamente ribadito durante la messa al Foro Italico di Palermo.
Il vero problema, però, al di là
delle denunce, è l’incapacità della pastorale ordinaria della di tradurle in
una educazione sistematica che cambi la mentalità della gente, a cominciare
dalle nuove generazioni. Ma questo non riguarda solo il caso della mafia.
Certo, è scandaloso che proprio in un terra come la Sicilia, dove la
religiosità è più viva, rispetto a molte altre regioni d’Italia – chiese piene
la domenica e nelle solenni funzioni dell’anno liturgico; percentuali ridicole
di non avvalentesi dell’ora di religione; grande rispetto per il clero e i
religiosi –, il fenomeno mafioso continui ad essere profondamente radicato e
sopravviva a tutti i colpi. Ma è altrettanto scandaloso che quest’Isola sia
cronicamente afflitta da un malgoverno che sostituisce clientelismo, lotte
intestine di potere, sistematico perseguimento degli interessi privati, alla
corretta gestione della cosa pubblica.
In questo disastro, la presenza
dei cattolici – ufficialmente maggioritaria, come si diceva – non sembra
portare alcuna differenza. Le parrocchie continuano imperturbabili a tenere i
loro corsi di catechismo, a celebrare le loro messe, le loro prime comunioni, i
loro matrimoni. Come sul Titanic dove, mentre la nave affondava, l’orchestrina
della sala feste continuò a suonare imperterrita …
Anche quest’Isola sta affondando.
Lo dice il crescente ritardo economico sul resto d’Italia. Lo dice il tasso di
disoccupazione giovanile, al 52,9%. Lo dicono i dati Svimez, secondo cui il 27%
dei ragazzi siciliani – più di uno su quattro – vanno a studiare fuori della
Sicilia. E sono spesso i più qualificati e intraprendenti!
Papa Francesco, cominciando la
sua visita, è partito con coraggio da questo quadro: «Non sono poche le piaghe
che vi affliggono. Esse hanno un nome: sottosviluppo sociale e culturale;
sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani;
migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze;
gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiari».
Perché, come ha detto
rivolgendosi alla comunità cristiana di Piazza Armerina, «considerare le piaghe
della società e della Chiesa non è un’azione denigratoria e pessimistica», ma
«significa per noi cristiani assumere la storia e la carne di Cristo come luogo
di salvezza e liberazione. Vi esorto, pertanto, a impegnarvi per la nuova
evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle
sue croci e sofferenze».
Queste croci, peraltro, non sono
il frutto di un destino scritto nelle stelle. Sono le persone a determinare la
loro storia. a farla essere una storia vincente di vita, o in una storia di
sconfitta, che porta alla rovina individui e comunità. «Quel che porta alla
sconfitta» – ha detto Francesco parlando a Palermo – «è amare il proprio. Chi
vive per il proprio perde (…), mentre chi si dona trova il senso della vita e
vince».
Qui il quadro, come è evidente,
si è allargato. Non si tratta solo della mafia e dei mafiosi. Certo, loro sono
l’emblema di una mentalità e di una prassi che porta a calpestare gli altri
nell’illusione di “vincere”. Neppure il problema è solo quello del
sottosviluppo. Sono in gioco le sue radici più profonde, da cercare nella
deriva di una società che si è allontanata radicalmente dal Vangelo, anche se,
come in Sicilia, continua a seguire i rituali. Le piaghe dell’Isola sono in
realtà la manifestazione estrema di quelle dell’Italia, anche se in Sicilia si
rivelano con particolare evidenza nella loro carica distruttiva.
«Non è facile», ha riconosciuto
Francesco, «portare avanti la fede tra tante problematiche. Non è facile, io lo
capisco». Ma proprio la fede può costituire la molla per uscire da questa
situazione e cambiarla. Tocca ai cristiani uscire all’immobilismo. Bisogna, per
questo, cambiare noi stessi. Non sono solo i mafiosi ad «amare il proprio».
Sono in tanti, anche credenti, a cercare solo di fare i propri interessi, nelle
relazioni umane, nel lavoro, nelle scelte politiche. Non uccidono nessuno,
certo. Ma possono assistere senza nessun particolare scrupolo allo sfascio
della società.
Da questa falsa innocenza il Pontefice
ha messo in guardia non solo i mafiosi, ma tutti: «Dio ci liberi», ha detto,
«dal pensare che tutto va bene se a me va bene, e l’altro si arrangi. Ci liberi
dal crederci giusti se non facciamo nulla per contrastare l’ingiustizia. Chi
non fa nulla per contrastare l’ingiustizia non è un uomo o una donna giusto. Ci
liberi dal crederci buoni solo perché non facciamo nulla di male».
Ai giovani di Palermo il Papa lo
ha raccomandato con particolare forza: «Gesù sempre chiama a prendere il largo:
non accontentarti di guardare l’orizzonte dalla spiaggia!». E ha sottolineato:
«Abbiamo bisogno di uomini e donne che vivono relazioni libere e liberanti, che
amano i più deboli e si appassionano di legalità, specchio di onestà
interiore».
Come possono vescovi, preti,
operatori pastorali, contribuire a questo rinnovamento radicale? Il Papa è
stato su questo punto molto diretto: «Alla nostra età, ne abbiamo visti tanti
di progetti pastorali faraonici… Cosa
hanno fatto? Niente! I progetti pastorali, i piani pastorali sono necessari, ma
come mezzo, un mezzo per aiutare la prossimità, la predicazione del Vangelo, ma
di per sé stessi non servono. La via dell’incontro, dell’ascolto, della
condivisione è la via della Chiesa».
Per educare anche solo umanamente
i giovani, i preti, i laici più maturi, devono accompagnarli nella loro vita
quotidiana (che fine ha fatto la vecchia direzione spirituale?), guardarsi
negli occhi con loro. Le mega-manifestazioni possono servire, ma non possono
sostituire questa prossimità concreta a livello personale. Don Pino, ha fatto
notare il Papa, «più che parlare di giovani, parlava coi giovani. Stare con
loro, seguirli, far scaturire insieme a loro le domande più vere e le risposte
più belle. È una missione che nasce dalla pazienza, dall’ascolto accogliente,
dall’avere un cuore di padre e mai di padrone. La pastorale va fatta così, con
pazienza e dedizione, per Cristo a tempo pieno».
E attraverso questo, educare le
persone, soprattutto i giovani, a momenti di calma riflessione sul Vangelo. Ci
ha insistito molto, Francesco: «Leggere il Vangelo, tutti i giorni, un piccolo
passo del Vangelo. Non prende più di cinque minuti. Forse un piccolo Vangelo in
tasca, nella borsa… Prenderlo, guardare, e leggere. E così, tutti i giorni,
come goccia a goccia, il Vangelo entrerà nel nostro cuore e ci farà più
discepoli di Gesù e più forti per uscire, aiutare tutte le problematiche della
nostra città, della nostra società, della nostra Chiesa. Fatelo, fatelo». Una
presenza nuova dei cristiani, capace di rinnovare la società siciliana – e non
solo quella – potrà nascer solo da qui: dal recupero di una vita interiore di
cui, si sia credenti o no, abbiamo tutti un disperato bisogno.
*Direttore
Ufficio Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo.
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